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Ultimo aggiornamento: November 05 2009 15:49:12.
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Autore | Città | Giorno | Ora |
Federico La Sala | Milano | 05/11/2009 | 15.46 |
Titolo:Crocifisso braccio di ferro inutile di G.E. Rusconi |
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Crocifisso braccio di ferro inutile
di GIAN ENRICO RUSCONI (La Stampa, 05.11.2009) Il crocifisso è un pezzo d’arredamento obbligatorio dell’aula scolastica, come la carta geografica d’Italia, la fotografia del Presidente o il busto di Cavour? Oppure è uno specifico segno religioso, diventato troppo potente e problematico per essere ridotto alla «tradizione nazionale degli italiani»? Di questi italiani che non hanno più idea di che cosa significhi redenzione, salvezza, peccato ma in compenso strapazzano «le radici cristiane»? I clericali si illudono se ritengono che lo spazio pubblico, che continuano ad evocare come legittimo luogo di espressione della religione, si mantiene con una dubbia difesa giuridica della presenza del crocifisso in aula. Per questo la sentenza della Corte europea di Strasburgo suscita le solite furibonde discussioni, anziché mettere in moto un confronto ragionato di posizioni. E comportamenti coerenti. In termini giuridici la sentenza di Strasburgo è ineccepibile quando parla del «diritto dei genitori di educare i figli in linea con le loro convinzioni e con il diritto dei bambini alla libertà di religione». E’ un principio base di tutte le Costituzioni democratiche. Ma - si obietta - è esattamente quello che affermano anche i genitori cattolici che sostengono la necessità di esporre il crocifisso. In più per essi «la libertà di religione» comprende la manifestazione pubblica della loro fede, dei suoi segni e simboli. Scuola compresa. Il guaio è che ad essi non importa se questa esigenza entra in collisione con il principio su cui si fonda. E negano ad altri lo stesso diritto. Qui scatta un altro riflesso: il principio maggioritario, per cui l’esigenza dei dissenzienti o dei pochi rompiscatole (spesso considerati stravaganti o eccentrici) non viene riconosciuta o viene banalizzata. Questo conflitto investe in profondità convinzioni ed emozioni. Ma non è una contrapposizione di valori a disvalori o assenza di valori - come pensano i clericali e gli agnostici devoti in politica. E’ importante insistere su questo punto se vogliamo andare alla sostanza del problema prima di vederlo tradotto in termini giuridici. Va respinta con energia l’accusa che chi (non credente o diversamente credente) vorrebbe rimuovere dallo spazio pubblico scolastico il segno della fede cristiana è una persona intollerante, insofferente, addirittura carica di astio contro la religione cristiana. Cristianofobica, si dice ora. Questa affermazione dovrebbe essere respinta per primi dai credenti seri. Qualcuno lo fa, ma troppo sommessamente e viene subito zittito come amico dei laicisti. Lo stesso vale per l’accusa - su cui si insiste volentieri oggi - di rinnegare la tradizione popolare nazionale. Qualcuno non esita a parlare del crocifisso come di una componente simbolica dell’italianità. Il fondo della contraddizione è toccato dai leghisti che da una parte contestano e sbeffeggiano l’identità nazionale, e dall’altro difendono il crocifisso nelle scuole come simbolo intoccabile di tale identità. Gli interrogativi di fondo sono due: il crocifisso è un segno religioso forte, specifico, storicamente e teologicamente inconfondibile (addirittura incompatibile) con altri? Oppure è un’immagine culturale, universale - di umanità sofferente, di amore universale? O addirittura è semplicemente uno straordinario motivo di creatività artistica e culturale di cui il nostro Paese è testimonianza eccezionale? Se è vero il primo caso, vale il principio della libertà di coscienza. Ed è pertanto ridicola la protesta che la sentenza di Strasburgo miri a colpire una sensibilità preziosamente italiana. In realtà anni fa la stessa questione è stata affrontata e giuridicamente risolta nello stesso senso nella moderata e cristiana Germania, con un esemplare confronto tra la Corte costituzionale federale e la Corte regionale della Baviera. Se è vero il secondo caso, non si capisce perché - magari in nome del sempre declamato pluralismo dei valori - non si riconosca ad altre tradizioni culturali di essere portatrici - a pieno titolo - di umanità, tolleranza, solidarietà ecc. A quanto dicono alcune rilevazioni, pare che alla maggioranza degli italiani ripugni l’idea di mettersi materialmente a staccare i crocifissi dalle aule cui ci si è abituati «tradizionalmente» appunto. Ma non credo che il punto sia iniziare un braccio di ferro tra autorità scolastiche, associazioni di genitori, gruppi di pressione vari per togliere o lasciare i crocifissi. La vera novità è non eludere il problema, parlarne in modo responsabile e pacato tra corpo docente, genitori e alunni stessi, soprattutto quelli delle classe superiori. Forse si farà la scoperta che i ragazzi sono più maturi di quanto non si sospetti. E soprattutto si smetta di «demonizzare» (è il caso di dirlo, in tempi di dubbi anche sul diavolo?) chi solleva problemi di civiltà giuridica - e non solo. |
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Autore | Città | Giorno | Ora |
Federico La Sala | Milano | 05/11/2009 | 15.49 |
Titolo:Uno sprone all’esercizio della libertà - di Vito Mancuso |
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Quel richiamo all’amore vale per l’intera umanità
di Vito Mancuso (la Repubblica, 05.11.2009) Dietro la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo vi è la preoccupazione in sé legittima di tutelare la libertà, in particolare la libertà religiosa dei bambini che potrebbe venir minacciata dalla presenza di un crocifisso nelle aule scolastiche. In realtà vi sono precisi motivi che rivelano l’infondatezza di tale preoccupazione, e mostrano al contrario che dal crocifisso scaturisce uno sprone all’esercizio della libertà in modo giusto e coraggioso. Il primo di questi motivi si può esprimere con le parole con cui domenica scorsa Eugenio Scalfari concludeva il suo articolo, quando, rivolgendosi al cardinal Martini e dopo aver ribadito il suo ateismo, scriveva: "Sia lei che io sentiamo nel cuore il messaggio che incita all’amore del prossimo. A lei lo invita il suo Dio e il Cristo che si è incarnato; a me lo manda Gesù, nato a Nazaret o non importa dove, uomo tra gli uomini, nel quale l’amore prevalse sul potere". Da queste parole schiettamente laiche appare che il simbolo del crocifisso è un invito all’amore universale, in particolare a quell’amore che non teme di scontrarsi con l’arroganza e la forza del potere. Ma se è lecito scrivere come fa Scalfari che in Gesù l’amore prevalse sul potere, è altrettanto lecito vedere nella sua croce l’esatto opposto, cioè la prevalenza del potere sull’amore. Così Natalia Ginzburg, anche lei distante dal cristianesimo, scriveva sull’Unità del 22 marzo 1988 (riprendo la citazione dall’Avvenire di ieri): "Il crocifisso è il segno del dolore umano. La corona di spine, i chiodi, evocano le sue sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte è il segno della solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo. Per i cattolici, Gesù Cristo è il figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente l’immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e del prossimo". Sia nel caso di Scalfari sia nel caso della Ginzburg siamo in presenza di forti personalità non cristiane che vedono nel crocifisso un simbolo del più alto ideale che agli uomini sia possibile abbracciare, cioè quello dell’impegno a favore del bene e della giustizia anche a rischio della perdita della vita fisica. E perché dovremmo privare i nostri ragazzi di questo richiamo? Il secondo motivo a favore del mantenimento del crocifisso nelle aule scolastiche consiste nel bisogno di simboli radicato nell’anima umana fin dalle sue origini e che contraddistingue particolarmente la gioventù. Tutti siamo stati ragazzi e tutti abbiamo avuto i nostri poster incollati con lo scotch sull’armadio della camera, come oggi avviene con i nostri figli. Quali poster ideali è in grado la scuola italiana di presentare alla mente dei giovani? Quali esempi concreti di umanità, quali modelli esemplari di vita? È chiaro che Gesù di Nazaret non è il solo modello (per fortuna!), ma è altrettanto chiaro che è il principale individuato dalla nostra tradizione spirituale, culturale e civile lungo i suoi secoli di storia. E perché dovremmo privare i nostri ragazzi di questo simbolo concreto? Perché lasciare solo una parete bianca e vuota? Mi sento di aggiungere che anche chi non crede non ha nulla da perdere dal confronto con questo simbolo carico di storia e di pensiero, persino l’ateismo ha da guadagnare nel confrontarsi con il simbolo della croce, come mostrano, per fare solo tre celebri esempi, Feuerbach con "L’essenza del cristianesimo", Nietzsche con "L’anticristo" e Bloch con "Ateismo nel cristianesimo". Perché ci sia negazione, ci deve essere qualcosa da negare, sennò c’è solo il nulla, l’afasia: le zucche vuote di Halloween di cui parla il cardinal Bertone Un terzo motivo riguarda il fatto che la croce è presente non solo nelle aule scolastiche ma in molti altri simboli e luoghi, nei quali non si vede perché debba rimanere se nelle aule scolastiche viene considerata una minaccia. Mi riferisco per esempio a numerose bandiere europee compresa quella della Finlandia (la nazione da cui viene la signora all’origine del ricorso alla Corte di Strasburgo), mi riferisco a numerosi stemmi di città italiane (ora che scrivo mi vengono in mente Milano e Genova, e penso anche a Venezia col suo leone che regge un vangelo, pericoloso elemento conturbante da sostituire quanto prima con un codice di diritto), mi riferisco a migliaia di opere d’arte e di croci presenti nelle città e sui monti italiani. E poi come si potrà leggere e studiare in classe la Divina Commedia senza turbare la libertà religiosa dei non cattolici? E quando si chiama un’ambulanza come non urtare la sensibilità di qualcuno visto che si presenta la Croce Rossa? Duemila anni di storia, grazie ai quali nel bene e nel male siamo quelli che siamo, non si cancellano con una sentenza. Il diritto non può affermarsi astrattamente ignorando i contesti e le tradizioni dei popoli. Se lo fa, non è giustizia. |