Un anno dalla morte di Carlo Maria Martini

di Mirella Camera

Dal blog a latere

31 agosto

È già passato un anno dalla morte di Carlo M. Martini e molti sono quelli che lo ricordano. Chissà perché, leggendo le parole che il card. Scola gli dedica osservando il suo ritratto appeso in Arcivescovado (1), mi è venuto in mente il mito della caverna di Platone.

Un nesso c'è, in effetti: quanto si può strappare, alla realtà, con un'immagine? Cosa può restituire, di una vita, uno schizzo sfuggente giocato sulle ombre e sulle luci, pur magistralmente combinate da un bravissimo pittore, capace di interpretarne l'anima? Può davvero dirci qualcosa di più? O può solo suggerire e indicare? E quindi, rimandare ad altro?

Ricordo tutti quei giovedì sera in Duomo, al freddo, strizzati in migliaia sulle panche o accovacciati sul pavimento, a bere avidi quel lunghissimo silenzio stupefacente che seguiva il dispiegamento della Parola: frazionata come una forma di pane fresco, saporita come un gran pranzo, zampillante come un giovane torrente di montagna. Totalmente nuova per noi, consumatori, nel migliore dei casi, di grandi tiritere teologiche alla moda o, nel peggiore, di brevi letture domenicali ripetitive, smorte, scontate.
Era un mago, padre Martini, a scassinare le casseforti più ostiche, a squadernarci davanti i tesori delle Scritture cavando pietre preziose con mille riflessi dalle pieghe nascoste di un solo versetto, di una sola parola. Lui non illustrava, illuminava. Non prendeva spunto, ci portava al punto. Non costruiva edifici retorici, trivellava il testo fino alle falde più profonde.

L'esperienza e il ritratto. Il senso ultimo e la spiegazione. La Parola e il suo commento. La realtà e la sua ombra, si potrebbe dire - tornando al mito della caverna. E guardando a molta parte della Chiesa, viene spontaneo chiedersi: ma di cosa vive, di Parola o di commento? Di senso ultimo o di spiegazioni?

I Padri della Chiesa, i grandi filosofi, i teologi, i fondatori di ordini e di movimenti, gli esegeti, i giuristi ecclesiastici, i predicatori, tutti nei secoli hanno accumulato parole sulla Parola. Spesso necessarie, per carità. A volte troppo compiaciute.
E ora ci ritroviamo come in una grande casa nobiliare un po' in decadenza, con le molte stanze piene di gioielli antichi, una libreria sterminata, quadri d'autore, oggetti preziosi, stoffe trapuntate, soprammobili, libri d'arte, argenteria, vecchie foto, ricordi... e l'affanno per mantenere tutto questo, una montagna di beni di famiglia cresciuti (e accresciuti) per duemila anni, ci ha fatto dimenticare l'unico vero tesoro sopra il quale e grazie al quale la casa è stata costruita un tempo e poi ampliata nelle generazioni, e cioè l'antico pozzo che ancora la rifornisce d'acqua. Che magari non finisce nemmeno a tavola perché si preferisce quella in bottiglia.

Il ritratto del cardinale Martini, già Arcivescovo della diocesi ambrosiana, ora si è aggiunto, su una delle innumerevoli pareti della Casa, alla fila autorevole dei suoi predecessori in una processione severa che incute rispetto e sacralità: ce lo racconta lo stesso cardinale Scola un po' turbato, si direbbe: lo sfondo scuro, gli occhi penetranti, le mani sospese...

Ma c'è stato un tempo in cui, non senza lo sconcerto e una certa insofferenza dei maggiordomi del nobile Casato, lui si accampava a lungo vicino al pozzo, felice di attingere l'acqua per tutti quelli che la volevano: per i ragazzi ancora in bilico tra studi e giochi, ansiosi e trafelati; per i passanti occasionali o per tutti quelli che, nel circondario, sapevano quanto buona era quell'acqua. E i suoi occhi ridevano, le sue mani disegnavano nell'aria orizzonti nuovi...

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(1) Il volto che cerca il Volto di Cristo, il Sole24Ore  




Lunedì 02 Settembre,2013 Ore: 09:15