Carlo Maria Martini, il pontefice mancato.

di Rosario Amico Roxas

In questo momento prevale il dolore per la perdita di un grande testimone del cristianesimo, ma non possiamo non ricordare il prelato Carlo Maria Martini, Arcivescovo emerito di Milano, una delle voci più autorevoli del mondo cattolico, che ha voluto offrire una riflessione sulla vita e sulla malattia, pronunziando le parole che il mondo cattolico voleva sentire dopo lo sterile dibattito aperto con il caso Welby.

Il Cardinale ha fatto parlare il cuore, prima che l’intelletto e lo ha fatto da malato parkinsoniano che “necessita di quotidiane terapie per reggere le fatiche” e che ha rifiutato l’accanimento terapeutico.

Nel “caso Welby” abbiamo assistito a due posizioni contrapposte; da una parte chi ha esasperato i toni, trasformando un evento umano in un “caso” alla ricerca di visibilità mediatica, e dall’altra un rigoroso cinismo dottrinale che è arrivato a negare i conforti religiosi, proiettando l’ombra di una Inquisizione che giudica, rifiutandosi di capire.

Carlo Maria Martini, il Pontefice mancato, ha invitato a capire sostenendo che:

“…di casi come quello di Piergiorgio Welby, che con lucidità ha chiesto la sospensione delle terapie di sostegno respiratorio per porre fine alla sua vita, saranno sempre più frequenti e, di conseguenza, la Chiesa stessa dovrà darvi più attenta considerazione pastorale” invitando, implicitamente, il mondo politico ad elaborare una normativa ma senza che questo implichi in alcun modo la legalizzazione dell’eutanasia.

Una legge in materia, riconosce Martini, è una “impresa difficile, ma non impossibile”, e indica nel modello francese una possibile soluzione, in quanto non viene legalizzata l’eutanasia, bensì, prevede che le cure mediche non debbano essere protratte con irragionevole ostinazione.

L’invito dell’alto prelato fu chiaro:

“guardando più in alto e più oltre che è possibile per valutare l’insieme della nostra esistenza e giudicarla alla luce non di criteri puramente terreni bensì sotto il mistero della misericordia di Dio e della promessa della vita eterna”.

E’ la risposta alla domanda che si è posta il mondo cattolico:
“E’ più importante l’uomo o il sabato ?” e, quindi, “Bisogna seguire la Fede o la Dottrina ?”

La Chiesa non ha bisogno di chiudersi nella torre d’avorio della Dottrina per proteggersi dalla evoluzione che, apparentemente, distoglie il mondo cattolico dalla sfera spirituale, deve proiettarsi all’interno del progresso per indicare la via dello sviluppo, esaltando l’uomo nei suoi fini, correggendo i mezzi che ne stravolgono la più intima essenza.
Una Chiesa presente e attiva nel mondo, capace, innanzitutto di capire.

Rosario Amico Roxas




Venerd́ 31 Agosto,2012 Ore: 19:44