STATO E CHIESA: UNA SOLA QUESTIONE. AL GOVERNO DELLA CHIESA UN PAPA CHE PREDICA CHE GESU’ E’ IL FIGLIO DEL DIO "MAMMONA" ("Deus caritas est") E AL GOVERNO DELL’ **ITALIA** UN PRESIDENTE DI UN PARTITO (che si camuffa da "Presidente della Repubblica"), che canta "Forza Italia" e grida viva il "Popolo della libertà" (1994-2010). Questo è il nodo da sciogliere ...
L’ITALIA, IL CASO BOFFO, E LA CHIESA CADUTA SOTTO E DENTRO IL CUPOLONE DI LUCIFERO. Note di analisi di Marco Politi e Giancarlo Zizola

Grande è il disordine sotto la Cupola di san Pietro, ma non è segno di vitalità. Alla fine forse ha ragione Ratzinger: il futuro della buona novella non verrà dalle strutture, bensì dalle minoranze creatrici.


a cura di Federico La Sala

 LA QUESTIONE MORALE, QUELLA VERA - EPOCALE. AL GOVERNO DELLA CHIESA UN PAPA CHE PREDICA CHE GESU’ E’ IL FIGLIO DEL DIO "MAMMONA" ("Deus caritas est") E AL GOVERNO DELL’ **ITALIA** UN PRESIDENTE DI UN PARTITO (che si camuffa da "Presidente della Repubblica"), che canta "Forza Italia" e grida viva il "Popolo della libertà" (1994-2010).

TEOLOGIA-POLITICA LUCIFERINA... A SILVIO BERLUSCONI UN "NOBEL"

COSTITUZIONE ED EVANGELO . "DIO E’ AMORE": "CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1 Gv., 4. 1-8). 
  VIVA L’ITALIA. LA QUESTIONE "CATTOLICA" E LO SPIRITO DEI NOSTRI PADRI E E DELLE NOSTRE MADRI COSTITUENTI. Per un ri-orientamento antropologico e teologico-politico.


Triste ma distante

 

di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 5 febbraio 2010)

Benedetto XVI è amareggiato. Segue infastidito il verminaio del caso Feltri-Osservatore e lavora al suo libro su Gesù. Ma Ferrara sul Foglio minaccia: la decapitazione di Vian è questione di giorni. Intanto la Curia vive un clima di disorientamento totale, nave senza nocchiero in una mefitica bonaccia. Sembra far parte del destino tragico di questo pontificato il susseguirsi di tempeste continue: errori, sviste, conflitti con le grandi religioni, violente polemiche interne, miserabili risse dietro le quinte.

Nell’ultimo affaire nessuno si assume le sue responsabilità. Il direttore dell’Osservatore Romano (e se non lui la Santa Sede) non smentisce accuse gravissime. Feltri non porta nessuna prova a sostegno della sua denuncia. L’ex direttore dell’Avvenire Boffo continua a non chiarire il perché della condanna per molestie, lasciando che improvvisati portavoce diffondano la versione che tace per proteggere una terza persona. Il vero molestatore? I magistrati di Terni hanno già escluso pubblicamente che le telefonate di molestie partite dal cellulare di Boffo siano state fatte da qualcun altro.

In questo groviglio si inserisce pure il brontolio malmostoso dei ciellini per non essere riusciti ad approdare sulla poltrona della direzione di Avvenire, che il cardinale Bagnasco ha poi attribuito al vice di Boffo, Marco Tarquinio. Non per caso lo scrittore ciellino Antonio Socci è in prima fila nell’esigere aggressivamente da Vian di chiarire il suo ruolo nelle manovre anti-Boffo: “Il giornale del Papa - scandisce Socci - è al tappeto, nella persona del suo direttore, e le autorità vaticane, in testa la Segreteria di Stato, non possono più tirare avanti come se nulla fosse”. Di fatto, pochi escludono che Feltri una telefonata imprudente da Oltretevere abbia potuto riceverla.

Il Papa, ammettono i monsignori di Curia, “è triste e amareggiato”. Il suo atteggiamento è ambivalente. Si lascia informare degli sviluppi dello scandalo, perché non può fare diversamente, e al tempo stesso se ne allontana psicologicamente. Quasi non fossero queste le cose che realmente contano. C’è nel suo approccio il realismo del confessore (che conosce le miserie degli uomini) e il distacco del monaco che guarda all’orizzonte dell’eternità. Nel palazzo apostolico ricordano la sua preghiera-invettiva nella Via Crucis del 2005, mentre Wojtyla stava morendo: “Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che nel sacerdozio dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! Quanto poco rispettiamo il sacramento della riconciliazione, nel quale egli ci aspetta, per rialzarci dalle nostre cadute! Signore, salvaci”.

Ma questo mistico realismo fa sì che Benedetto XVI guardi anche con una certa distanza alla macchina della Chiesa, agli apparati di Curia, ai conflitti che si svolgono nelle strutture ecclesiastiche. “E’ come se tutta questa struttura materiale per lui fosse in fondo secondaria”, spiega un vescovo che lo conosce bene.

A cosa pensa, dunque Papa Ratzinger? Si concentra sui suoi libri, sulle sue encicliche, su tutto ciò che è pensiero e parola del Romano Pontefice. “Sente come suo compito - dice chi gli è vicino - quello di ribadire la retta dottrina e annunciare i valori essenziali del cristianesimo”. Rivolge il suo impegno alla lotta contro la secolarizzazione in Europa, al confronto con la scienza, al dialogo tra fede e ragione, tra credenti e non-credenti. In ultima analisi il suo focus consiste nel ribadire al mondo contemporaneo la necessità di aprirsi alla Trascendenza.

Se il suo sguardo è rivolto a questi ampi orizzonti, la gestione della Curia e degli “affari interni” della Chiesa rischia di rimanere affidata a se stessa. Ratzinger ne conosce bene i peccati. Ancora mercoledì ha ricordato all’udienza che le ambizioni di “carriera e potere” sono tentazioni, da cui “non sono immuni neppure coloro che hanno un ruolo di animazione e di governo nella Chiesa”.

Monito verace. Ma poi, nella gestione complessa della struttura imperiale cattolica, manca il polso della guida quotidiana. “C’è come uno spappolamento in Curia - commenta un veterano dei sacri palazzi - e in tante vicende, non solo nell’affare Boffo-Feltri, si avverta la mancanza di diplomazia, di cautela e di un agire senza strafare, che ha sempre caratterizzatogli uomini di Chiesa”.

Incalza un altro esponente della gerarchia ecclesiastica: “Non si intravvede il filo logico delle azioni. Manca la ratio gubernandi, l’arte del governo. Magari ci fosse un regista occulto, che regge le fila di questo scandalo, come si immagina certa stampa! Il guaio è che non c’è, e nessuno sa cosa sta accadendo”. La realtà odierna negli organismi centrali della Chiesa, conclude un monsignore di Curia, appare piuttosto come un “arcipelago di interessi e visioni differenti”.

Grande è il disordine sotto la Cupola di san Pietro, ma non è segno di vitalità. Alla fine forse ha ragione Ratzinger: il futuro della buona novella non verrà dalle strutture, bensì dalle minoranze creatrici.


Lotte vaticane e il caso Boffo

di Giancarlo Zizola (la Repubblica, 5 febbraio 2010)

«Nessuno ricorderà più questo episodio entro sei mesi» assicurava un dirigente della Segreteria di Stato vaticana a un ambasciatore, all’indomani della bufera mediatica su Dino Boffo. L’impressione del diplomatico era che la sottovalutazione del trauma non fosse tanto il prodotto di una sapienza vaticana che «pensa in secoli» e sdrammatizza naturalmente gli incidenti di giornata, con lo sguardo lungo sull’Eterno. Ed è probabile che nel rapporto al suo governo alla fine di quella torrida giornata di fine agosto egli sollevasse il dubbio se la diplomazia vaticana sotto Ratzinger mantenesse un sufficiente grado di realismo nelle analisi delle complicate vicende nelle quali dovevano avvolgersi e a volte contorcersi le relazioni tra la Chiesa e gli Stati nella nuova situazione mondiale.

La trasformazione delle dimissioni del direttore di Avvenire per l’attacco proditorio del giornale della famiglia Berlusconi in una «bomba a orologeria» sotto l’establishment vaticano era l’ultima cosa che i principali collaboratori di Benedetto XVI potevano attendersi. L’immagine che il mondo vaticano ha offerto di sé, nella congiuntura della nuova bufera, è stata di un organismo in difficoltà a reagire prontamente, forse per difetto di una percezione accurata dei vari fattori in gioco, in parte rimasti oscuri, o per la mancanza di un organismo direttivo che coordini i diversi «castelli» in cui si frammenta la curia. Può aver giocato anche, secondo alcuni, il timore di un altro attacco, che lambisca tonache alte.

In gran parte delle narrazioni, ricorre il riferimento al fianco paradossale dell’affare: un papato che si spende nella moralizzazione degli apparati gerarchici, che non arretra dalla linea dura nella repressione della pedofilia del clero e cala sui vescovi il prepensionamento per «gravi cause», si vede obbligato a misurarsi con conflitti non precisamente edificanti nel cortile di casa, la Chiesa in Italia, e nello stesso apparato centrale.

Disfunzioni istituzionali da tempo deplorate, anche in sede di Sinodi episcopali. Chiuso nella sua biblioteca, concentrato sui suoi scritti teologici, blindato dalla sua segreteria personale, il Papa non potrebbe essere chiamato a rispondere direttamente di alcune inadeguatezze osservate nella sua cabina di regia in Segreteria di Stato, a cui compete il controllo della curia. Il tasso di infortunistica del governo ecclesiale è del resto diminuito rispetto ai tempi di Regensburg, anche se le risorse intellettuali e politiche dei collaboratori del Papa non potrebbero colmare, per quanto generose, il vuoto di un sistema collegiale quale il Concilio Vaticano II aveva prefigurato, con i rappresentanti dei vescovi a coadiuvare il pontefice nella guida della Chiesa universale. Una delle riforme rimaste inevase, forse la più combattuta dal nucleo duro della curia romana.

La conseguenza è visibile, una centralizzazione senz’anima, che si autoconsuma in spartizioni di potere, carrierismo e rimozione del principio di realtà. Le opzioni personali di Papa Ratzinger hanno fatto affluire nei ranghi centrali nuovi leader. È normale che ogni Papa cerchi di avere mano libera rispetto al sistema di comando formato dal predecessore. Ma non sembra che le nuove risorse installate riescano a influenzare la struttura in modo da acquisirne l’adattamento culturale complessivo o almeno una sufficiente coerenza interna.

Sull’insieme ha fatto irruzione la tensione fra il cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, e l’ex vicario cardinale Camillo Ruini. Il «caso Boffo» si va definendo sempre più precisamente come derivata di una divergenza politica che ha nei due leader della Chiesa romana i suoi principali terminali. Bertone è salesiano di spicco, un pastore più che un politico, e non teme di gloriarsene: la sua politica è oratoriale, la sua diplomazia alla salesiana, all’insegna dell’embrassons nous. È alle sue doti di «humanitas» che Benedetto XVI ha rivolto ogni elogio nella lettera con cui lo ha recentemente confermato in carica. Ma Bertone ha in comune con Ratzinger anzitutto la solitudine istituzionale. È uno scudo per la sua libertà di azione e la sua indipendenza, ma anche un limite.

Per quanto i suoi interventi pubblici siano giudicati meno soddisfacenti di quelli inarrivabili del suo Superiore, pure egli continua ad appoggiare la direttiva della prima enciclica di papa Benedetto «Deus caritas est»: «La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato». Questo non significa - aggiungeva a scanso di equivoci - disinteresse della Chiesa al risveglio della cultura sociale in un cattolicesimo inquinato dall’individualismo liberista, come deplorato dalla successiva enciclica sociale «Caritas in veritate».

L’opzione scartava le pretese integralistiche di un certo cattolicesimo, con l’appello a non strumentalizzare l’appartenenza cristiana per occupare pezzi di potere politico. È muovendosi in questa prospettiva che Bertone si è trovato in rotta di collisione con il protagonista della Chiesa della visibilità pubblica in Italia, Ruini, l’uomo che Wojtyla spalleggiato da CL aveva investito del compito di assicurare alla Chiesa «un ruolo trainante» nella società italiana in termini di influsso socio-politico.

Nel 2007,una volta insediato alla testa della Cei il cardinale Angelo Bagnasco, Bertone non tardò a raggiungerlo con una lettera programmatica, articolata in due punti: 1.Priorità all’impegno della Chiesa nell’evangelizzazione di un paese in via di scristianizzazione; 2. Le relazioni con partiti e istituzioni politiche, gestite dalla Cei, venivano avocate alla Segreteria di Stato.

Alla fine della torrida estate 2009, Bertone seppe dai giornali che Ruini aveva aperto le porte del suo appartamento al premier Berlusconi, appena alluvionato dalla bufera sul porno di Stato, e al suo fido Gianni Letta. Era il segnale di una dicotomia al vertice, allo stesso tempo la rivendicazione di autonomia di Ruini. Egli mostrava di voler continuare a tessere come d’abitudine la sua rete politica, pur sapendo di porre in essere azioni difformi dalla prospettiva astensionista definita dalla direttiva Bertone. Che non si trattasse di un episodio lo confermava l’ulteriore incontro del cardinale con Fini, poi con Berlusconi e Letta, a pochi giorni dall’udienza del Papa l’8 gennaio. Una volta innervata nel cuore del governo ecclesiale, questa contraddizione si traduceva in un indebolimento oggettivo per la linea del duo Ratzinger-Bertone. Ma aveva anche ricadute sulla nuova leadership della Cei, per la riduzione dei margini di mediazione disponibili al cardinale Bagnasco alle prese con la transizione del dopo-Ruini. Anche se la linea più pastorale del nuovo presidente sembrava riscuotere consensi fra un elevato numero di vescovi, convinti che restare fermi sulla figura di Chiesa politica significherebbe scavarsi la fossa.

Bisognava dunque fare i conti ancora con il disegno di Ruini, deciso a ripristinare a Roma i tratti salienti di una Chiesa neo-costantiniana, per la quale le coscienze da formare sarebbero tanto meglio raggiungibili dall’etica cattolica quanto più soddisfacente fosse l’esito della raccolta dell’8 per mille concordatario, più sicuro l’organico dei professori di nomina e dottrina cattolica nelle scuole pubbliche, più votate in Parlamento leggi conformi ai principi cattolici, col favore della maggioranza di centro-destra.

Una tensione alta. Che comportava scelte concrete, ad esempio nel rinnovo del Rettore della Cattolica, finora sotto controllo ciellino o sulla questione dell’appoggio al «nuovo centro» di Casini e dell’orientamento del voto cattolico alle prossime regionali, se necessario anche intimando alle parrocchie di evitare di ospitare dibattiti con i candidati governatori. «Civiltà Cattolica»notava nel quaderno del 3 gennaio che si rafforza tra i cattolici la tendenza al rifiuto di un partito semplicemente identitario, l’opinione che «una forza organizzata di cattolici non serva, perché non bisogna confondere religione e politica». Ma il nuovo capitolo della storia Boffo provava la consistenza di un’opposizione interna potente e pronta a tutto, anche a mettere in minoranza il primato dello Spirituale sostenuto dal Papa e a mobilitare le schiere dei movimenti identitari sul terreno politico dove meno facile è il discernimento del confine tra la difesa dei «valori non negoziabili» e gli interessi concreti della destra .

Fonti vaticane hanno fatto osservare che questo "Boffo bis" era costruito su una ipotesi "disperata", quella che il semaforo verde dell’operazione fosse stato acceso da chissà chi ai piani alti del Vaticano. Ma non si esita ad ammettere che se l’obiettivo apparente dei registi dell’affare era l’indebolimento della figura di Bertone e la messa in moto di una resa dei conti nei Sacri Palazzi, la reale posta in gioco era di intercettare il tentativo di decontaminare la Chiesa dalla pretesa di farsi ancora arbitra delle sorti politiche. Le prossime elezioni regionali sono una sfida anche per la Chiesa, chiamata a verificare la sua disponibilità a rispettare più che in passato il diritto dei cattolici alla libera determinazione negli affari del corpo politico, pur riservandosi integra la missione propria sulle anime e sulle coscienze.

Del resto quando Bertone venne informato, - era in corso l’assemblea della Cei di maggio 2009,tre mesi prima dell’attacco di Feltri - che tra i vescovi girava la malsana «informativa» su Boffo, ebbe la reazione che ci si aspettava da lui: era una vecchia storia, nota in Segreteria di Stato da tempo. Si era già deciso che, per cumulo di mandati, non per altro, Boffo si sarebbe dimesso da Avvenire e si stava preparando per lui una importante carica nella Chiesa. Dunque, quella famosa storia, rimestata nella menzogna politica, non solo non era ritenuta degna di considerazione, ma nemmeno costituiva agli occhi dei massimi dirigenti della Chiesa un intralcio al futuro pubblico dell’ex direttore del giornale cattolico italiano. Parola del cardinale Bertone, oggi tirato in causa maldestramente come ispiratore della dannazione politica di Boffo.



Venerdì 05 Febbraio,2010 Ore: 13:05