CONSIDERAZIONI A MARGINE DELL’ESAME DI STATO

di Renata Rusca Zargar

PARTE I

LA LETTERATURA ITALIANA

Da diversi anni, intervengo come Presidente di Commissione all’Esame di stato (una volta Esame di Maturità). Ritengo questa un’esperienza utile e interessante, momento di incontro e confronto, al di là del fine generale di valutazione imparziale dei candidati con commissari interni ed esterni e di verifica dell’uniformità formativa e di acquisizione delle conoscenze e competenze di alunni della scuola di stato.

Ascoltando i candidati, ho imparato parecchie cose curiose (per me), come il funzionamento dei semafori a richiesta, la sicurezza nelle piscine, i pericolosi effetti dell’elettricità sul corpo umano, i misteri degli integrali e molto altro.

Dopo quest’ultima sessione, essendo io ormai in quiescenza (purtroppo!), vorrei esprimere alcune considerazioni che ho ricavato, però, dall’esperienza di diversi anni, in particolare riguardanti la mia materia di insegnamento, italiano.

In differenti località e scuole, ho riscontrato, in alcune classi, che i candidati erano in grado di esporre la vita di un autore (con dovizia di particolari –alcune volte li avrei chiamati addirittura pettegolezzi) e persino la sua “poetica”, cioè il suo particolare modo di scrivere e interpretare l’arte (distinguendo spesso in primo periodo, secondo periodo ecc.). Poi, però, alla banalissima domanda: “Bene, cosa hai letto?” gli esaminati rimanevano un po’ sconcertati perché o non ricordavano o non avevano letto nulla. Un ragazzo –italiano- mi ha risposto addirittura che non aveva letto (Ungaretti) perché non capiva bene l’italiano!

Sono consapevole del fatto che non tutti i diplomandi, specialmente nelle scuole tecniche dove mi sono trovata, siano dei letterati. Però, mi chiedo: se sapessimo a menadito che Picasso ha avuto un periodo blu, un periodo rosa ecc., ma non avessimo mai visto neppure la foto di un suo quadro, che senso avrebbe? Andremmo mai a una mostra dove siano elegantemente esposte le vite dei pittori senza i quadri?

La letteratura, se è sinonimo di vite di personaggi e descrizioni di tecniche di scrittura o contenuti che vengono solo citati, è meglio che sia abolita dalla scuola. Un tale studio, infatti, allontana per sempre l’individuo dalla lettura dei Grandi, dallo straordinario incontro con idee, immagini, storie di persone che, certamente, hanno avuto una vita, della quale dobbiamo anche sapere per comprendere l’opera, ma specialmente ci hanno lasciato testimonianze alle quali attingere prima di tutto per puro piacere.

Ogni opera d’arte esiste perché è opera d’arte e deve essere gustata come un fresco gelato, inglobata nel nostro cervello, cuore, anima, sensi… Deve essere per noi esempio di vita, gioia della nostra intelligenza, sviluppo di capacità critica, confronto, pensiero.

Senza questo, per favore, lasciatemi dimenticare il nome della moglie (e del soprannome!) di Montale (io l’ho conosciuto e lo guardavo con meraviglia da lontano come un dio sceso sulla terra perché avevo letto i suoi versi) o le città in cui è vissuto Verga…

L’arte è prima di tutto passione, anche per chi la propone e deve farla amare. Certo, nelle poche ore di lezione non si può fare tutto: le classi sempre più numerose, forse più disinteressate, rallentano il lavoro. Ma iniziamo dalla lettura e spiegazione di qualche testo fatta con amore: gli alunni cercheranno da sé, un giorno, altri testi di cui non abbiano potuto beneficiare a scuola.

Non c’è abbastanza tempo? Allora lasciamo la vita ai biografi e leggiamo, magari, una poesia, perché la poesia non è solo riservata agli studiosi, ma è patrimonio dell’umanità tutta, salvifica e magnifica forma di comunicazione che può incoraggiare l’anima a crescere e a proiettarsi in alto.

Vogliamo divertirci un po’? Recitiamo “E lasciatemi divertire” e non ci sarà alunno che non si diverta! (La poesia non è affatto noiosa né soggetto solo per femmine, è stata resa così, purtroppo, da sempre, dalla scuola!) Gli esempi possono essere infiniti.

Certo, ci vogliono grandi ideali tra i docenti, grande forza morale in un periodo di estrema confusione. A maggior ragione, la letteratura può essere oggi maestra di vita.

PARTE II

INGLESE

Un problema di cui mi sono resa conto, invece, in questo ultimo esame, riguarda Inglese (Lingua e Civiltà straniera). In alcune classi, definite “articolate”, l’insegnante di questa materia si può trovare con più di trenta alunni di due diversi indirizzi (es: Meccanica e Elettrotecnica e automazione). Se nelle materie di indirizzo, appunto, la classe si divide e segue le sue discipline (circa metà degli alunni), nelle materie comuni rimangono tutti insieme. Per inglese, però, nella pratica, oltre ad alcuni argomenti uguali per entrambe le specializzazioni, in due ore settimanali, l’insegnante dovrebbe svolgere anche un programma diverso, attinente la terminologia della specializzazione (micro lingua). Si trova davanti, però, tutta la classe (sempre più di trenta persone)! Si può immaginare quale preparazione si possa richiedere a un Perito Capotecnico, dopo un tale percorso scolastico!

Non so perché, mi torna alla mente che, qualche anno fa, si diceva che avrebbero trionfato le tre “i” (inglese, informatica, impresa). Sull’informatica stendo un velo pietoso, contando sul fatto che, essendo -come usa dire oggi - “nativi digitali”, i giovani si arrangeranno da soli. Per l’inglese, mi chiedo quale importanza sia stata data a questa disciplina, considerando che 1) siano state addirittura ridotte le ore nel corso di studi 2) si lavori con un tal numero di alunni (che non sono obbedienti statue di cera) e con due diversi programmi (fatto comune, a quanto mi è stato detto, negli Istituti Tecnici).

Evidentemente, oggi, in un mondo globalizzato, computerizzato- e la lingua della tecnologia è l’inglese- con la possibilità di poter lavorare in altri paesi, a un Capotecnico l’inglese non serve a nulla!

Renata Rusca Zargar




Domenica 14 Luglio,2013 Ore: 17:32