NATALE E’ MARATONA DA CORRERE FINO IN FONDO

di Vincenzo Andraous

Sul Natale che aspetta una risposta


Alla fine di ogni maratona, di ogni fatica svolta bene per raggiungere la meta, c’è sempre bisogno di fermarsi a pensare, di bloccare le membra doloranti, di sanare gli sbalzi di temperatura cui è chiamato il cuore.
Una maratona è corsa lenta, di sacrificio, non c’è spazio per una fede fasulla, per un credo a metà prezzo, per una forza di volontà raccattata a margine, c’è l’espulsione delle tossine, non ci sono scorciatoie né facili ammende, unicamente quanto siamo capaci di dare, per ciò che abbiamo ricevuto.
Sono i giorni dell’Avvento, della luce che non muore, della speranza che non arretra, della vita che ritorna anche attraverso una maratona, il momento del traguardo a portata di mano, tutto dentro un ringraziamento che sa di amore profondo.
Natale del Bambino che nasce, per comprendere che non rinunciare alla vita, significa scegliere di pensare, di conoscere, di credere, proprio come nella maratona, che conduce alla pace, alla serenità, alla gioia del proprio compito portato a termine.
Il Natale e la maratona accompagnano i passi di ogni esistenza, anche quando la vita appare come una straordinaria discesa, ma è pur sempre salita. E’ nascita del giovane che è in noi, finalmente non siamo più relegati alle ultime parole recitate malissimo, è festa delle gambe, della testa, del cuore, è maratona che s’allunga, che s’allarga, che non s’arrende, maratona di Natale per tutto l’anno.
Natale è inizio del nuovo mondo, quello che è da intendere per quello che è, nel rispetto di ciò che è, di ciò che siamo, di quanto possiamo essere migliori per fare diventare migliori anche gli altri, scegliendo itinerari possibili, sottovento, alle realtà virtuali che ci vengono scagliate addosso, per quei valori che sistematicamente non sappiamo più realizzare.
Il Bimbo è un giovane adulto, non consente ai bicchieri di vino di fare futuro, non traveste di accettazione la festa degli uomini, sbarra la via ai tentativi infruttuosi di dichiarare morto il Padre, quel Dio è morto, attraverso il passa parola della roba-droga, delle cose-inutili, del piacere-fuggente che stordisce. Della violenza che non si esaurisce, degenerazione che si apprende socialmente, mentre noi con le spalle voltate al Bambino, assumiamo identità disperate che non ci danno tregua e come ha detto qualcuno: chi non muore, non nasce e non vive, tanta è la paura, che rinunciamo alla vita. Alla Sua vita.
Il Bimbo è là, non per la rappresentazione di una notte stellata, è là per noi che non sappiamo dargli altro che pacche sulle spalle, qualche soldo di compassione, un po’ di speranza riciclata l’anno precedente.
Natale non è giorno da ricordare come si fa con la festa di compleanno, per lo scooter ricevuto in dono, non è ricorrenza dedicata alle compassioni minori che durante l’anno evitiamo accuratamente, non è neanche giorno di armistizio per i conflitti spacciati per interessi superiori.
Occorre avere Natale e quel Bimbo negli occhi, prima ancora che nelle parole di una preghiera, portarlo negli occhi per guardare un mondo meno estraneo, un mondo dove finalmente amore sta a rispetto, a vita, a fede da vivere insieme, perché in quella culla di bambino, Lui è disposto a morire mille volte ancora per noi tutti, anche per me.
 
 
 


Sabato 26 Dicembre,2009 Ore: 17:16