Il Celibato obbligatorio come configurato nel Diritto Canonico della Chiesa Latina costituisce un’aperta violazione della dignità umana.

di Perin Nadir Giuseppe ( presbitero-sposato della Chiesa Cattolica)

Penso ormai che la maggioranza del Popolo di Dio, quando legge dei testi, degli articoli di giornale o di riviste che scrivono sul “celibato dei preti o sente parlare di tale argomento, conosca il significato della parola celibato e quale sia il ruolo e la missione del prete nella comunità ecclesiale.
Ma, ciò che non si conosce, forse, sono le sfumature del significato della parola celibato, per non parlare del “vero volto” che il prete dovrebbe avere nella comunità parrocchiale, nella quale è stato chiamato ad essere “il servitore del gregge” ( 1Pt 5,1-3).
Provo solo a mettere in evidenza queste sfumature, senza voler, per questo, rivestire il ruolo del professore, ma con la sola finalità di essere di aiuto a comprendere meglio il contenuto della mia riflessione che segue.
Il Celibato (= il non sposarsi) quando è una scelta fatta in piena libertà riveste il significato di dono gratuito dello Spirito Santo e di conseguenza non si può meritare. Per questo viene chiamato carisma. Tale scelta, libera da ogni condizionamento, rende la persona celibe capace di generare e trasmettere vita, trasformando la sua esistenza in una sorgente di luce, di gioia, di serenità, di speranza e di dignità.
Mentre, il Celibato imposto per legge canonica, perde la sua caratteristica di dono (carisma) che lo Spirito Santo da solo ad alcuni perchè “a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene” ( 1Cor12,7) e “lo Spirito le distribuisce a ciascuno come vuole” ( 1Cor 12,11).
Il celibato imposto per legge canonica diventa, per la persona, un “obbligoda accettare e da osservare. Un modello di vita al quale doversi adeguare, chiedendo a Dio, con umiltà ed insistenza, l’aiuto per poterlo realizzare.
Per questo, molti preti, di cui nessuno potrà mai conoscerne il numero, perchè solo Dio conosce il cuore dell’uomo, vivono il celibato obbligatorio con profonda sofferenza, perchè non lo hanno mai accettato, ma solamente subìto, per forza maggiore. Molto spesso, per paura delle difficoltà economiche che si devono affrontare quando si decide di “uscire dal tempio” o per la paura di “perdere la propria reputazione” o il prestigio legato allo “stato clericale”.
Questi preti pur avendo maturato nella propria coscienza la convinzione di essere veramente “innamorati” della donna che hanno conosciuto, non hanno, però, il coraggio di cogliere l’invito di Dio : “Esci dalla tua terra e va dove ti mostrerò” ( Gn 12,1). Preferiscono continuare ad “annegare” la loro vita e la loro dignità nella menzogna, incuranti della devastazione morale e psicologica che tale atteggiamento causa sia in loro stessi che nelle donne che si sono, sinceramente, “innamorate “di loro.
Questo celibato imposto per legge canonica, ma mai pienamente accettato da molti preti, ha contribuito a distruggere nel tempo la loro stessa identità di uomini e di cristiani, rendendo la loro vita “un inferno”....una terra arida e deserta, senza frutti. Dove tutto quello che viene seminato: sentimenti, emozioni, sensibilità, amore, condivisione... muore e dove più nulla riesce a nascere, crescere e svilupparsi nella maturità del pensiero e nella coerenza dell’agire; dove la stessa dignità dell’uomo e della donna viene continuamente “deturpata” e “stuprata”.
Preferiscono continuare a vivere i loro rapporti occasionali di “amore”, nella “clandestinità”, illudendosi, in tal modo, di avere la coscienza a posto, perchè, alla fine, ragionando in punta di diritto canonico si sono convinti che “ un prete viola la legge del celibato, inteso come scelta di non sposarsi, non quando va a letto con una donna, ma quando sposa la donna con cui “va a letto”.
Eppure, di fronte a questo scempio della dignità umana, che il celibato imposto per legge canonica ha prodotto e continua a produrre nelle persone della Comunità ecclesiale, la suprema autorità della Chiesa non retrocede di un passo, venendo così meno al principio fondamentale che deve sempre guidare il suo agire : la salvezza delle anime ( canone 1752) “prae oculis habita salute animarum...quae in Ecclesia suprema semper lex esse debet”.
Il Concilio Vaticano II nel Decreto sul ministero e la vita dei presbiteri, n. 16, ha affermato“... il celibato, che prima veniva raccomandato ai preti, in seguito è stato imposto per legge nella Chiesa latina a tutti coloro che si avviano a ricevere gli Ordini Sacri.
Questo sacrosanto Sinodo torna ad approvare e confermare tale legislazione, per quanto riguarda coloro che sono destinati al Presbiterato, avendo piena certezza nello Spirito che il dono del celibato, così confacente al Presbiterato della Nuova Legge, viene concesso in grande misura dal Padre, a condizione che tutti coloro che partecipano del Presbiterato di Cristo con il Sacramento dell’Ordine, lo richiedano con umiltà ed insistenza”.
Dal momento che ogni dono che Dio fa all’uomo, lo fa senza porre alcuna condizione, perchè Dio dona se stesso e il suo amore ad ogni uomo, indipendentemente dal comportamento dell’uomo stesso, i Padri Conciliari, invece di parlare del “celibato imposto” come di un dono (carisma) che viene concesso in grande misura dal Padre a condizione che.... avrebbero fatto bene a dire, invece, che il celibato imposto, viene concesso in grande misura dal Padre ai presbiteri, allo stesso modo in cui viene concesso un “Premio Nobel”, proprio perché tale premio viene concessoa condizione che”..... quelle persone a cui viene concesso, se lo siano meritato attraverso il loro impegno di studio e di sacrificio nei vari campi della scienza e della tecnica, allo scopo di migliorare la qualità della vita umana.
Il Papa Paolo VI, a sua volta, aveva puntualizzato che “spetta all’autorità della Chiesa stabilire, secondo i tempi e i luoghi, quali debbano essere, in concreto, gli uomini e quali i requisiti perché essi possano essere ritenuti adatti al servizio religioso e pastorale della Chiesa. La vocazione sacerdotale rivolta al culto divino e al servizio religioso e pastorale del popolo di Dio, benché divina nella sua ispirazione e benchè distinta dal carisma che induce alla scelta del celibato come stato di vita consacrata, non diventa definitiva ed operante senza il collaudo e l’accettazione di chi, nella chiesa, ha la potestà e la responsabilità del ministero per la comunità ecclesiale”[i].
Nelle parole appena citate del Concilio Ecumenico Vaticano II e del Papa Paolo VI , c’è la risposta al perchè, il celibato imposto per legge canonica, sia da ritenersi un’aperta violazione della dignità umana.
Partendo dal principio che lo “sposarsi” è un diritto naturale dell’uomo e della donna , perchè è volontà di Dio che tutti gli uomini e tutte le donne si possano sposare”[ii] ...... e, tenendo presente :
a) che è conforme al diritto naturale che il diritto positivo stabilisca quanto è necessario perchè il patto matrimoniale sia valido e socialmente riconosciuto, dal momento che l’essere umano ( uomo, donna) fa parte di una società (civile, religiosa) ed il matrimonio ha rilevanti conseguenze sia per i coniugi che per i loro figli e per la società stessa...
b) che il diritto positivo può porre delle restrizioni legali, sia di carattere permanente che transitorio, al diritto naturale di sposarsi[iii] solo quando queste restrizioni sono richieste da gravi ed oggettive esigenze dello stesso istituto matrimoniale a causa della sua rilevanza sociale e pubblica[iv] e che per questa ragione, il matrimonio, per il diritto positivo, non è valido senza l’osservanza delle legittime norme sancite dall’autorità civile e, nel caso del matrimonio dei battezzati, dall’autorità religiosa...
c) che il matrimonio tra battezzati è governato dalla Legge divina (cioè dal diritto naturale) e dal Diritto Canonico[v] dove viene evidenziato che il patto matrimoniale o l’alleanza di amore istituita dallo stesso Creatore e strutturata con leggi proprie[vi] - mediante il quale, l’ uomo e la donna costituiscono tra di loro il consorzio di tutta la vita, ordinato per sua natura al bene dei coniugi e alla procreazione ed educazione della prole - sia stato elevato da Gesù Cristo alla dignità di Sacramento[vii]...
d) che il matrimonio è una realtà umana e nello stesso tempo una realtà sociale, civile, religiosa che ha un interesse primario sia per i non cristiani che per i cristiani e che, nella complessità dei suoi aspetti, si richiama non solo al diritto civile o al diritto canonico, dai quali riceve la sua struttura giuridica, ma anche a numerose altre scienze, ciascuna delle quali offre il suo contributo per determinarne ed approfondirne la natura, le finalità e i valori....
Mi sembra giusto e doveroso domandarsi : Perchè il prete, nella Chiesa Cattolica di Rito Latino, non può sposarsi ? Dal momento che è un uomo come tutti e di conseguenza ha il diritto di godere degli stessi diritti naturali degli altri esseri umani – come lo “ius connubii” ?
La risposta è chiara e molto semplice : perchè la suprema autorità della Chiesa ha stabilito, mediante una legge canonica (canone 277 §1) che l’ordine sacro è un impedimento a contrarre matrimonio[viii] . E tale impedimento di diritto ecclesiastico è connesso con la legge del celibato[ix].
Tuttavia, se è vero che “E’ diritto esclusivo della suprema autorità della Chiesa stabilire degli impedimenti per i battezzati” ( canone 1075 §2) è altrettanto vero, per quanto riguarda il matrimonio, che per poter mettere degli impedimenti alla libera scelta di sposarsi ci vogliono delle gravi ed adeguate ragioni oggettive richieste dallo stesso istituto matrimoniale a causa della sua rilevanza sociale e pubblica( cfr. Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, 22 ottobre 1983), altrimenti - come affermò lo stesso Papa Paolo VI nell’Enciclica Populorum Progressio n. 37 - la soppressione o anche la limitazione di tale diritto costituisce un’aperta violazione della dignità umana.
Mi sembra, allora, doverosa un’altra domanda : quali sono queste gravi ed adeguate ragioni richieste dallo stesso istituto matrimoniale in base alle quali - coloro che nella comunità ecclesiale hanno il potere giurisdizionale - hanno imposto, per legge canonica, il “celibato” a tutti coloro che sono chiamati da Dio per “esercitare il ministero presbiterale rivolto al culto divino ed al servizio religioso e pastorale del popolo di Dio” [x] ?
Inoltre :perchè, nella Chiesa Cattolica Orientale è stata data la possibilità ai preti di potersi sposare solo prima” della loro ordinazione, e non dopo aver ricevuto il sacramento dell’Ordine [xi] ?
Tralascio le ragioni sulle quali la suprema autorità della Chiesa ha fondato, nel passato, l’imposizione del celibato.
Mi limito solamente a quanto già specificato dal Concilio Vaticano II : “Il celibato, che prima veniva raccomandato ai preti, in seguito è stato imposto per legge nella Chiesa latina a tutti coloro che si avviano a ricevere gli Ordini Sacri perchè confacente al Presbiterato della nuova legge”, mentre il Papa Paolo VI disse chiaramente che: “....la vocazione sacerdotale rivolta al culto divino e al servizio religioso e pastorale del popolo di Dio, è divina nella sua ispirazione, ma è distinta dal carisma del celibato...”
Da queste affermazioni risulta evidente che la suprema autorità della Chiesa, ha imposto ai preti di non potersi sposare, non per “una “grave ed adeguata ragione oggettiva richiesta dallo stesso istituto matrimoniale per la sua rilevanza sociale e pubblica”, ma solo per il fatto che “ il celibato” è stato giudicato confacente al Presbiterato della Nuova Legge, pur essendo la vocazione sacerdotale distinta dal carisma del celibato”.
Si tratta quindi di una motivazione di convenienza e per di più non richiesta dallo stesso istituto matrimoniale, dal momento che presbiterato e celibato sono due vocazioni distinte.
E quando la soppressione o anche la limitazione del diritto naturale di sposarsi viene fatta dal diritto positivo senza una “grave ed adeguata ragione oggettiva richiesta dallo stesso istituto matrimoniale per la sua rilevanza sociale e pubblica, siamo di fronte ad un’aperta violazione della dignità umana, come affermò lo stesso Papa Paolo VI nell’Enciclica Populorum Progressio n. 37.
Senza entrare nel merito delle ragioni o dei torti di chi è ottimista o pessimista circa la soluzione del problema legato ad “un celibato imposto”, sono convinto che prima o poi questa “obbligatorietà” del celibato, come è ora configurata nel Diritto Canonico, verrà tolta, sia perchè la struttura della Chiesa istituzionale è ormai in piena crisi, sia perché le verità garantite non interessano più, sia perchè le deleghe di coscienza hanno fatto il loro tempo e sia perchè l’autoritarismo ha le armi spuntate.
L’istituzione ecclesiastica dovrà necessariamente trasformarsi, altrimenti si ridurrà ad uno sparuto manipolo di “integralisti o di “politici”, cioè, persone che vorrebbero utilizzare la Chiesa a fini strumentali, oppure, come schieramento per opporsi e contrastare altri schieramenti religiosi o politici. Ma, se il cristianesimo si riducesse ad un “bastione difensivo”, varrebbe ancora la pena di essere cristiani ?
Se Gesù dice di aver vinto il mondo - e io ci credo – significa che le tragedie sociali, presenti o passate, sono tutte dimostrazioni della sconfitta di una società sia civile che religiosa, se dicente cristiana, basata su dominio e denaro, cioè sull’esatto contrario di quello che ha detto Gesù, cioè sul “servizio” e la “condivisione”.
Oggi è la stessa umanità, sia nella sua dimensione personale che planetaria, che non viene più riconosciuta da chi, per sete di potere e di prestigio personale, pretende di dettare le leggi che frantumano i diritti e gli interessi vitali delle persone e della stessa sopravvivenza del genere umano.
E, i più deboli, persone e interi popoli, ne soffrono le drammatiche conseguenze perché l’uomo viene annullato di fronte al sacro valore del denaro e del potere.
Ancora una volta ci troviamo nel bel mezzo di un “passaggio” da compiere, di una pasqua da vivere e realizzare, non rinunciando, però, a quella libertà dello spirito che è denuncia dell’ingiustizia e della violazione della dignità umana.
Diventa sempre più chiaro e ardente nell’uomo il desiderio di libertà da tutte quelle strettoie che hanno anche il sapore ideologico di servirsi di categorie religiose, per affermare una presunta verità - come quella di un celibato “sommamente confacente” con la vita sacerdotale” – quando manca la spirituale propensione alla misericordia, all’ascolto e al dialogo.
Essere un prete cattolico sposato nella società di oggi, per me significa rappresentare nella comunità in cui vivo con la mia famiglia, un respiro di luce e di semplice ricerca di ciò che, in ogni tempo, ci può avvicinare alla dimensione dell’eterno, come vittoria su ogni ristrettezza che ha sapore di morte.
Ho imparato dalla mia vita di prete sposato che la persona di Gesù, pieno di attenzione verso i più sofferenti, non si può confondere con gli apparati e con le cerimonie che distraggono dall’immediata esperienza di un amore condiviso proprio con chi non può offrirti che il suo dolore ed il suo desiderio di liberazione.
La sete di risurrezione che noi preti sposati ci portiamo dentro e che viviamo nel nostro ministero di servizio agli ultimi della terra, assieme alle nostre famiglie, in mezzo alla strada, nelle periferie delle città, “puzzando ogni giorno di pecora”, anche se queste “pecore” non sono state a noi “canonicamente” affidate, è una vittoria su un modo di vivere che nega l’amore.
Ed è quello Spirito di amore - patrimonio di tutti e di ciascuno - che Gesù ci ha donato affinché potessimo “ comprendere” la “buona notizia” che Lui ci ha rivelato “ quando verrà Lui, lo Spirito della verità, vi guiderà alla verità tutta intera” ( Gv 16,13)- che si afferma anche nella vita di famiglia di ciascun prete sposato, essendo principio e fine del nostro stesso essere, della nostra storia di uomini e di cristiani, della nostra felicità che lui ci ha donato.

Note di chiusura
i Cfr. Paolo VI, Encicliche e Discorsi, Ed. Paoline, Roma 1968, Vol.XVI,p.264
iiNella Sacra Scrittura, infatti, c’è scritto: “ Dio creò l’uomo simile a sé, lo creò ad immagine di Dio, maschio e femmina lo creò” (Gn 1,27). “Poi, Dio, il Signore disse: “ Non è bene che l’uomo sia solo. Gli farò un aiuto adatto a lui” ( Gn. 2,18). Li benedisse con queste parole siate fecondi, diventate numerosi, popolate la terra” ( Gn 1,27)
iii Lo stesso Diritto canonico afferma “ tutti possono contrarre matrimonio, se il diritto non ne fa loro divieto” ( canone 1058).
iv cfr. Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, 22 ottobre 1983.
v cfr. Titolo VII del Codice di Diritto Canonico – canoni 1055-1165
vi cfr. Gaudium et Spes n. 48,1
vii cfr canone 1055 § 1
viiiAttentano invalidamente al matrimonio coloro che sono costituiti negli ordini sacri” (canone 1087) e ugualmente “Attentano invalidamente al matrimonio coloro che sono vincolati dal voto pubblico perpetuo di castità, emesso in un istituto religioso” ( canone 1088). Ma non basta, perché anche l’uomo che è sposato non può ricevere il sacramento dell’Ordine: “sono semplicemente impediti dal ricevere gli ordini:1) l’uomo che è sposato, tranne che sia destinato legittimamente al diaconato permanente ( canone 1042 §1).
ix I chierici sono obbligati ad osservare la perfetta e perpetua castità per il Regno dei cieli, per cui sono vincolati al celibato, che è un dono speciale di Dio, mediante il quale i sacri ministri, con cuore indiviso, possono più facilmente aderire a Cristo e sono in grado di dedicarsi con maggiore libertà al servizio di Dio e del prossimo”( canone 277 §1)
x cfr. Paolo VI, Encicliche e discorsi, Vol. XVI, p.264
xi cfr. CCEO : “Attenta invalidamente il matrimonio colui che è costituito nell’Ordine Sacro” (canoni 804, 805).



Giovedì 10 Ottobre,2013 Ore: 15:52