Papa Francesco e i preti-sposati : quale speranza ?  

di p. Giuseppe dall’Abruzzo


 Fin dal giorno in cui, dalla Loggia della Basilica di S. Pietro, Mons. Jorge Bergoglio fu presentato alla Comunità ecclesiale mondiale, come “Papa Francesco”, la prima sensazione che ho provato è stata quella di trovarmi di fronte ad un uomo “timido, schivo, di poche parole”, ad un cristiano, ad un presbitero e ad un vescovo, che sa esprimersi con grande umiltà e con la costante preoccupazione di comprendere e immedesimarsi nel prossimo, specialmente in coloro che soffrono.
Ma, soprattutto, di trovarmi di fronte ad un vero “Pastore” del “gregge” che  “crede” profondamente nella Parola ( lÒgoj) di Dio, fattosi uomo e venuto ad abitare in mezzo a noi per rivelarci  il “vero volto” di quel Dio che nessuno ha mai visto (Gv 1,18). Il volto di Dio-Padre che ama tutti e ciascuno – indistintamente - di un amore infinito e misericordioso.  
La seconda sensazione è stata quella di trovarmi di fronte ad un vescovo che in quanto successore degli apostoli, non si é mai preoccupato della “sua carriera” ecclesiastica, né ha mai discusso con i suoi confratelli  per capire chi “fosse più grande” tra di loro, come invece avevano fatto gli Apostoli ( Mc 9,33-34).  
Ma, sull’esempio del Maestro, “rivestendosi del grembiule”si è messo sempre a “servizio dei fratelli” facendosi prossimo a tutti nell’amore.
Soprattutto ora che, in quanto successore di Pietro, gli è stato affidato il compito di “confermare i fratelli nella fede” e “presiedere nella carità la “Comunità ecclesiale mondiale.  
 “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri: Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni e gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli per gli altri ( Gv 13,3435).
“ Abbiate cura del gregge di Dio che vi è stato affidato, sorvegliandolo non perché costretti, ma volentieri, come piace a Dio; non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge” ( 1Pt 5, 2-4).
Ascoltando, in seguito le sue parole rivolte al “Popolo di Dio” ed osservando il suo comportamento e il modo di “relazionarsi” con le persone, soprattutto con quelle che, per circostanze particolari della vita, si trovano in situazioni di sofferenza, di abbandono e di disagio – la mia impressione iniziale si è trasformata in certezza, perchè il suo comportamento non era  dettato da “una esigenza di copione”, ma scaturiva dalla coerenza che lo Spirito Santo ha maturato in lui, tra la sua “conoscenza-esperienza” di Dio, di Gesù Cristo, dell’uomo, del creato e la sua “azione”.
Infatti, le parole che sono alla base di ogni riflessione di Papa Francesco e costituiscono un “leit-motiv” nella formulazione dei suoi messaggi, sono : la parola “amore” che definisce il più eccelso dei sentimenti umani e che costituisce per Papa Francesco la fonte di ispirazione primaria nella realizzazione delle sue azioni e nella formulazione dei suoi messaggi. Ma la parola  “amore”  porta necessariamente ad altre due parole : all’incontro e all’unità, cioè a quella condizione tra gli uomini  nella quale ognuno, a partire dalle proprie peculiarità, ma ispirato da un sentimento di amore, si adopera per la crescita materiale e spirituale dell’altro.
 “ Gesù, giunto nella Regione di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli : La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo”?.. “ Ma voi, chi dite che io sia?”  ( Mt 16, 13-15; Mc 8,27-30; Lc 9,18-21).
Facciamoci la stessa domanda : Chi è Mons. Jorge Bergoglio, oggi Papa Francesco ?
Per molte personalità che lo hanno frequentato e lo frequentano è  l’uomo degli incontri personali, che ti avvince con i suoi modi e ti sorprende con i suoi orientamenti.
Per la gente comune che si trova ad incontrarlo per una qualche ragione, è una persona semplice e calorosa, piena di attenzioni, grandi e piccole.
Per molti che conoscono il suo pensiero religioso, è il sacerdote, il vescovo impegnato perché la Chiesa si apra all’incontro con la gente attraverso un messaggio di comprensione e di entusiasmo.
E’ il pastore, rispettoso della dottrina e della disciplina ecclesiastica, ma nello stesso tempo portatore di una concezione moderna e profondamente spirituale dell’essere Chiesa e del vivere il Vangelo in mezzo alla società moderna..
E’ un Pastore, convinto che sia necessario passare da una Chiesa che “regolamenta la fede” ad una Comunità ecclesiale che “trasmette, agevola e testimonia la fede”... convinto  che la Comunità ecclesiale mondiale sia posta di fronte a tante sfide, ad una società alla ricerca, molto spesso inconscia, di un modo per saziare la propria sete di trascendenza. A uomini e donne che cercano un senso alla propria vita, che vogliono amare ed essere amati e raggiungere la felicità.
Se questa è l’immagine che molti – compreso me - hanno di Papa Francesco, mi sembra lecito ed opportuno domandarci : quale sarà il comportamento di Papa Francesco di fronte ad un “esodo costante e crescente” di presbiteri dall’ “istituzione Chiesa”, molti dei quali poi si sposano ?  Cosa ne pensa Papa Francesco del  “ dono del celibato  che lo Spirito Santo dà  solo ad alcuni, non a tutti, ma che il Diritto Canonico (can 277 §1) ha trasformato, poi , in un obbligo per coloro che sono chiamati da Dio ad essere presbiteri ed “amministratori dei misteri” di Dio nella comunità ecclesiale ?
Riuscirà Mons. Jorge Bergoglio, ora Papa Francesco, chiamato ad essere successore di Pietro, a trovare una soluzione al “problema di un celibato imposto per legge”, affinchè i  tanti “preti-sposati”, sparsi nelle varie comunità diocesane del mondo, possano partecipare attivamente alla vita del popolo di Dio, e la loro presenza, da scomoda ed ingombrante per molti, possa diventare per tutti un dono prezioso dello Spirito per l’avvento del “regno di Dio” nel cuore di ogni uomo ?
Io che sono prete, da quasi 50 anni – mancano solo pochi mesi- ma sono anche - da 45 anni - uno dei tanti preti-sposati, non ho alcuna risposta pronta da dare, ma ho solo una speranza nel cuore : la speranza che Papa Francesco, lasciandosi guidare dal Vangelo, inizi - anche con i preti-sposati - un dialogo costruttivo e rispettoso della dignità  e libertà delle persone, proprio come fece Gesù con i  12 che aveva scelto come Apostoli.
“ Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a Lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo...” ( Mt 5,1-2)
Questo è stato lo spirito ed il motivo che  mi ha spinto a scrivere, qualche mese fa, una lettera a Papa Francesco, nella quale  gli raccontavo la mia storia di “prete sposato” e gli esprimevo quale fosse “ la Chiesa” che amo e  in cui credo.
Non so se quella lettera  gli sia arrivata, né se l’abbia letta o se, invece, si sia persa nei meandri “degli intrighi curiali”.
Non ho chiesto a  Papa  Francesco di telefonarmi per darmi conferma, come è solito fare con le persone che si trovano a vivere una condizione di “particolare sofferenza”, perché sono  convinto che Papa Francesco – in quanto pastore del gregge – sia quotidianamente partecipe alla sofferenza delle persone, specialmente dei più piccoli, degli anziani... delle persone emarginate.....compresa la categoria dei preti-sposati.
Lo scopo di quella lettera è stato quello di  “riaccendere una piccola lampada”, per attirare  l’attenzione di Papa Francesco su un problema che ritengo sia di vitale importanza per la Comunità ecclesiale, e,  la cui soluzione, anche se non potrà essere immediata, richiede che si inizi a dialogare tra “pastore”  e “pecore” del gregge a lui affidato, in un contesto di  “charitas” reciproca, di stima e di fiducia, per valutare e trovare insieme alla comunità ecclesiali, le soluzioni che tengano presenti, anzitutto, il bene della comunità ( prae oculis habita salute animarum, quae in Ecclesia  suprema semper lex esset debet) ( can 1752) e rispettino, nello stesso tempo, la dignità e la libertà delle persone.
I preti-sposati che - come me – non esercitano più il ministero ( can. 292) sono molti quelli che continuano a “vivere” il loro “servizio prebisterale”, con impegno e generosità, nelle diocesi e nelle comunità parrocchiali ove risiedono con la famiglia.  Ma ce ne sono molti altri che, in queste comunità parrocchiali “vivono” situazioni di disagio, di emarginazione e di abbandono...circondati dalla più totale “indifferenza”di molti vescovi e  presbiteri.
Ho letto, molto tempo fa il libro “ I cinque figli del vescovo”  di Lino Tonti ( un prete-sposato). In questo libro, sua figlia Chiara scrive una lettera al Papa Giovanni Paolo II per chiedergli “perché non dà ai preti il permesso di sposarsi, dal momento che, per sua esperienza personale – in quanto figlia di un prete sposato -  può affermare, senza timore di offendere la verità, che è possibile per un prete  “formare una sua famiglia” ed essere, nello stesso tempo, anche un “bravo prete” - come lo è suo padre” – cioè capace di svolgere il suo ministero con competenza, amore e dedizione.
 Chiara potrebbe essere considerata “la portavoce di tutte le donne ed i figli di preti sposati che, molto spesso, non hanno voce per esprimersi, ma che, nonostante tutto, hanno sempre tenuta salda la propria fede, senza mai stancarsi di interrogarsi su cosa significasse amare, sentirsi cristiani, discepoli del Signore, sperando sempre in ciò che è giusto e impegnandosi quotidianamente per poterlo realizzare ed essere così “un segno” credibile del Signore risorto.  
Chiara, citando le parole che il papa Giovanni Paolo II disse all’Angelus del 10 novembre 1996 : “Penso ai sacerdoti in difficoltà spirituale e materiale ed anche a quanti purtroppo hanno lasciato l’impegno assunto. Per tutti invoco dal Signore sostegno ed aiuto…” - fa osservare che se  molti presbiteri hanno lasciato l’“impegno assunto” - intendendo con tale espressione  il ministero - lo hanno lasciato non per loro volontà , ma perché costretti da una legge del Diritto Canonico (can 277 §1) che rendendo il “celibato” un obbligo, proibisce a chi si sposa di  continuare ad esercitarlo (can. 292).
Si tratta di una legge imposta da uomini ad altri uomini (Presbyterorum Ordinis, 16). Una legge che potrebbe essere modificata, abolendonon tanto il celibato” che è un dono dello Spirito, ma la “obbligatorietà” del celibato.
Se invece per “impegno assunto” si intende la “fedeltà nell’amministrare i misteri di Dio” che sono destinati a tutti, allora questa fedeltà amministrativa può essere “assolta” sia da un prete celibe, che da un “uomo sposato-prete”, come da un “prete-sposato”. Infatti, invertendo l’ordine dei fattori, il prodotto ( cioè il risultato) non cambia. L’importante è che il minimo comun denominatore sia l’ “essere prete” e non la sua modalità di essere : celibe o sposato.
Infatti, chi riceve l’Ordinazione si prostra con tutto il corpo e poggia la fronte sul pavimento del tempio, accettando così di essere lui stesso “ il Pavimento sul quale cammineranno gli altri” come la roccia sostiene lo zoccolare di un gregge”.
E questo si può realizzare attraverso il ministero di “uomini sposati- prete”, come dimostrato nella vita di ogni giorno, nella Chiesa Cattolica Orientale, come da “uomini preti-sposati”, come si può constatare nella vita di famiglia di tanti preti-sposati.
Ma per maturare questa mentalità che affonda le sue radici nel Vangelo, c’è molta strada da fare, perché i “preti che hanno lasciato l’istituzione ecclesiastica”, ancora oggi, sono considerati e paragonati da alcuni - con molta leggerezza e superficialità – a Giuda, il discepolo che ha tradito il suo Maestro, con un bacio. Ignorando volutamente però – forse per nascondere la propria “sete di denaro”, che Giuda  non ha tradito Gesù ( cioè non ha consegnato Gesù a coloro che volevano ammazzarlo) per amore di una donna, bensì per  30 denari.
Ancora una volta, si rivelano “vere” le parole che  Gesù rivolse ai suoi discepoli : “Non si può servire Dio e Mammona” , cioè la ricchezza, il denaro (Mt 6,24; Lc 16,13).
Al contrario, Gesù non ha mai detto ai suoi discepoli che non si può servire Dio e amare, nello stesso tempo, la propria moglie o il proprio marito”. Gesù ha lasciato alla sua Comunità come unica certezza  per essere credibile, quella dell’amore ( Gv 13,34-35)
E, accanto a vescovi, preti e fedeli santi, ce ne sono molti altri che sono incoerenti ed avidi di onori,  di potere e di denaro ( Mc 9,33-34).
Gesù voleva che la “comunità dei credenti” fosse luogo di comunione e di amore, il sale della terra che si scioglie per insaporire. Invece, spesso, la Chiesa – nella sua parte organizzativa ed istituzionale - sembra un enorme granello, compatto e fastidioso  sotto i denti.
In realtà se avessimo il coraggio di analizzare le attese che l’uomo contemporaneo ha nei confronti del prete, si potrebbe constatare che in fondo, c’è in lui una sola grande attesa: egli ha sete di Cristo.
Ma, “gli strumenti” che donano Cristo non possono porre degli ostacoli “burocratici” alla “perenne giovinezza”  e “fantasia creativa” di Dio, sostituendo ad essa gli equilibri provvisori della mente umana.
La parola che si sovrappone alla Parola. La filosofia all’annuncio. La morale alla grazia. Il rito alla vita. L’organizzazione alla testimonianza. Lo spettacolo alla verità. Sarebbe come pretendere di ingessare Gesù Cristo, la Parola di Dio..
Spero che Papa Francesco, lasciandosi guidare dallo Spirito Santo, abbia la sapienza del dialogo e sappia rivestirsi dell’umiltà dell’ascolto. E si ascolta con tutta la persona. Si ascolta con l’udito, raccogliendo le parole che sono come dei ponti costruiti per unire le rive che ci separano e raccogliendo i silenzi, specialmente quelli che a volte gridano con il loro scomodo fragore perchè sanno di solitudine, ingiustizia, agonia di persone.



Martedì 17 Settembre,2013 Ore: 19:56