La “proprietà commutativa” nel servizio presbiterale.

di p. Nadir Giuseppe Perin

Ringraziamo di vero cuore il nostro carissimo amico p. Nadir Giuseppe Perin, prete-sposato dal 1968, per questo approfondimento che ha scritto per il nostro sito come contributo al dibattito sul tema dei preti sposati. p. Nadir Giuseppe Perin è dottore in Teologia dogmatica presso l'Università Pontificia dell'Angelicum in Roma; specializzato in Teologia Morale all'Università Lateranense - Accademia Alfonsiana di teologia Morale; Diplomato in Psychiatric Nursing presso la Mental Health Division di Toronto; specializzato in scienze psicopedagogiche presso l'Università di magistero dell'Aquila. Per contatti: nadirgiuseppe@alice.it 

Sono passati quasi 50 anni da quando ho ricevuto il sacramento dell’Ordine nel grado del presbiterato e 44 anni, da quando ho “celebrato” il sacramento del mio matrimonio con Maria.

Lasciando da parte ogni “discussione teologica e disquisizione accademica” su quanto affermato nel can 845 §1 del Diritto Canonico e cioè che “ i sacramenti del battesimo, della confermazione e dell’ordine poiché imprimono il carattere non possono essere ripetuti”, credo di potermi ritenere, nell’oggi della mia storia, a pieno titolo e con un sentimento di una profonda riconoscenza al Signore, non solo un presbitero, ma un “presbitero-sposato”.

Oggi, specialmente da parte di alcuni Vescovi diocesani, ma non italiani, si parla della “possibilità” di chiamare al ministero presbiterale degli “uomini sposati”. Non so se questa possibilità sia remota o prossima, ma quando questo accadrà, avremo una “figura nuova”di presbitero per la Chiesa Cattolica Occidentale cioè lo “sposato-presbitero “.

Osservando queste due “diciture” : presbitero-sposato e sposato-presbitero, che sono uguali se consideriamo il risultato, ma diverse se consideriamo la tempistica per il raggiungimento dell’uguaglianza, mi sono chiesto perché non si possa applicare anche a queste due modalità di essere, la proprietà commutativa della moltiplicazione che dice “cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia”, assegnando, però, un significato diverso al termine prodotto che nella moltiplicazione indica il risultato ottenuto moltiplicando due numeri tra loro, mentre per il presbiterato indicherebbe il “servizio ministeriale” da svolgere nella comunità ecclesiale.

Allora, quale differenza ci potrebbe essere, se questo servizio venisse offerto alla comunità da un “ presbitero-sposato” e da uno “sposato-presbitero”?

Oppure, per quali ragioni - coloro che nella Chiesa hanno la responsabilità del ministero per la comunità ecclesiale - potrebbero scartare di servirsi del ministero del “presbitero-sposato” che già esiste all’interno della comunità ecclesiale – anche se reso e tenuto inattivo dalla Chiesa istituzionale - e preferire, invece, di servirsi del ministero di uno “sposato-presbitero”, figura che, nella Chiesa Cattolica Occidentale, ancora non c’é ?

Da un punto di vista di Diritto Canonico, tra le due modalità non c’è alcuna differenza perché per entrambe è stato necessario chiedere alla Santa Sede e ricevere dalla stessa, il “Rescritto di dispensa”. L’una per potersi sposare ( can 291) perché l’Ordine sacro costituisce un impedimento dirimente al matrimonio canonico (can 1087) ; l’altra per diventare presbitero, perché nel Diritto Canonico della Chiesa Cattolica d’Occidente, il matrimonio è un impedimento all’Ordine sacro ( can. 1042 §1) e la dispensa a tale impedimento “vir uxorem habens” è riservata alla Santa Sede ( can 1047, § 2,3) (can 1078 §1 ).

Mentre, per quanto riguarda il “percorso formativo” esistono delle differenze “di partenza”.

a) Per il presbitero-sposato sarebbe un ritorno ad un servizio già svolto e al quale si era preparato con anni di studio della teologia, della morale e della Sacra Scrittura, mentre gli anni trascorsi nel contesto di una “vita matrimoniale stabile” gli hanno permesso di maturare quella parte umana, affettiva e relazionale della sua personalità che nel periodo di formazione del seminario era risultata “carente”.

b) Per lo sposato-presbitero, invece, significherebbe un servizio nuovo al quale - dopo aver ottemperato a determinate condizioni – l’uomo dovrebbe prepararsi a tale ministero con un percorso di studio della teologia, della morale e della Sacra Scrittura, ma si troverebbe avvantaggiato per quanto riguarda la maturazione affettiva e relazionale della sua personalità, che ha avuto modo di perfezionare negli anni della sua “vita matrimoniale stabile”.

Stando così le cose, che cosa potrebbe significare la regola commutativa della moltiplicazione “ cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia”, in rapporto al servizio ministeriale del presbitero ?

Che, nella realtà, tra le due vocazioni (presbiterato e matrimonio) non c’è alcuna incompatibilità!

Personalmente lo posso testimoniare e come me, tanti altri presbiteri-sposati, dal momento che abbiamo avuto la possibilità di “spendere” gli anni della nostra vita lavorativa a servizio della comunità ”, senza, per questo, sottrarre nulla ai nostri doveri familiari di mariti e di padri. E, per quanto mi riguarda, attraverso l’esercizio quarantennale della mia professione, in lavoro subordinato, a servizio degli “ultimi” : delle persone anziane e malate; dei giovani con problemi di droga; dei socialmente disadattati con problemi familiari relazionali; dei giovani “handicappati.

In altre parole, come “presbitero-sposato”, pur non esercitando il ministero, “liturgicamente” dentro le mura di un Tempio, ho potuto vivere, con pienezza di dono, all’interno della comunità ecclesiale - sia la vocazione di presbitero : ascoltando, annunciando e testimoniando la Parola, attraverso l’amore vissuto e condiviso; spezzando insieme il pane quotidiano e sia la vocazione di marito e di padre, in conformità alla Parola di Dio.

Il pastore (il vescovo, il presbitero, il diacono) sia irreprensibile, marito di una sola donna; sobrio, prudente, decoroso, ospitale, pacifico e disinteressato; che sappia dirigere bene la sua casa, educare i suoi figlioli con perfetta dignità; perché se uno non sa dirigere bene la propria famiglia, come potrà avere cura della chiesa di Dio” ?  ( 1Tm 3,2-5).

Mi rendo conto come nell’oggi della storia della Chiesa, siano molti i presbiteri-sposati che hanno deciso di “scendere dal piedestallo del sacro” per vivere, da sposati, in mezzo alla gente. E’ stato Cristo che li ha invitati - come Zaccheo - a “scendere “subito” dal sicomoro” per potersi fermare a casa loro. “ Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua” ( Lc 19,5).

E, di fronte al mormorio di disapprovazione “ vedendo ciò tutti mormoravano...” ( Lc 19,7) che ancora oggi si leva da alcune parti della comunità ecclesiale, Cristo risponde, come allora: “ oggi, per questa casa, è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo” ( Lc 19,9).

Dal momento che il Vangelo contiene la “buona notizia” che ogni discepolo del Signore ha avuto la missione di “annunciare” al mondo intero e il Padre ha mandato sulla comunità ecclesiale, nel nome di Gesù, il Consolatore, lo Spirito Santo per insegnarci ogni cosa e ricordarci quello che Gesù ci ha detto” ( Gv 14,26), mi chiedo, a conclusione di questa riflessione : che cosa noi, presbiteri-sposati e sposati-presbiteri, potremmo fare di più e di meglio nella comunità ecclesiale della parrocchia nella quale viviamo con la nostra famiglia, affinché la nostra presenza, da scomoda ed ingombrante per molti, possa diventare per tutti un dono prezioso di Dio ?

Data la nostra esperienza di preti prima e di padri di famiglia poi, potremmo essere per i nostri figli e per i giovani della parrocchia un valido aiuto per comprendere, decodificare e vivere con responsabilità, l’amore che arde nel cuore dei giovani. Un amore che Gesù non ha mai soffocato in coloro che hanno avuto il coraggio di “accogliere la sua parola”, ma reso, invece, più sano, più forte e più libero.

Potremmo aiutare i giovani ad aprirsi al gusto della verità, per realizzare quella preziosa sintesi tra fede e ragione e giungere a conoscere il progetto divino sull’uomo, alla cui realizzazione Dio-Padre ci ha chiamati a collaborare, ritrovando in LUI il senso gioioso ed appagante dell’esistenza.

Come genitori, possiamo offrire ai nostri figli, testimonianze e motivazioni coerenti, rispettando i tempi della loro crescita, ben consapevoli che ogni processo educativo si snoda in un profilo di libertà, in cui nessuno ha il diritto di interferire e dove la misura di questa libertà è, ancora una volta, l’amore. Per cui, noi genitori, anche nell’ipotesi di trovarci di fronte ad un rifiuto della proposta di fede o di una scelta distante dall’esperienza cristiana, da parte dei nostri figli, dobbiamo sempre saper amare i nostri figli e con loro i giovani, offrendo loro fermezza nella parola, stabilità nei valori e coerenza di vita. Sicuri che questa prova silenziosa di un amore che sa attendere e rispettare anche scelte non condivise, diventa agli occhi dei figli e dei giovani una risposta d’amore molto più eloquente di mille discorsi.

Nessuna parola, infatti, se non la forza di un esempio concreto, può far comprendere ai nostri figli e ai giovani che la fede, attraverso l’amore, è un cammino di liberazione, è la gioia di un incontro che racchiude il senso stesso dell’esistenza e della pienezza di vita.

Ma, per arrivare a questo dobbiamo, prima di tutto noi e poi aiutare i nostri figli ed i giovani a vincere la “paura” di incontrarsi con Cristo, lungo le strade della vita, “scendendo, in fretta, dal sicomoro” sul quale eravamo saliti “ per vedere Gesù” ( quindi animati da buone intenzioni) per accogliere con gioia lo Spirito Consolatore, di cui parla Giovanni nel suo Vangelo, affinché abiti, in maniera trasparente e silenziosa, le stanze della nostra casa, diventando l’abile tessitore del filo della nostra esistenza di cui è composto il vestito dei santi, unendo, tagliando, rammendando e colorando la materia grezza che gli offriamo.

E, sarà proprio lo Spirito che con amore ammorbidirà le rughe della nostra vita, donandoci la forza silenziosa della pazienza. E, attraverso lo Spirito, noi presbiteri-sposati e “sposati-presbiteri e le nostre famiglie, potremo attingere a piene mani, alla vita di Dio dando così forma al nostro rapporto di coppia, al rapporto di comunione e di amore tra genitori e figli, nella condivisione del nostro essere ed avere, tra la nostra casa e le altre case, portando alla luce l’immagine sbiadita dell’amore che siamo.

P. Giuseppe dall’Abruzzo.



Mercoledì 09 Maggio,2012 Ore: 20:06