Il prete che si sposa è preparato alla vita matrimoniale ?

di p. Nadir Giuseppe Perin

Ringraziamo di vero cuore il nostro carissimo amico p. Nadir Giuseppe Perin, prete-sposato dal 1968, per questo approfondimento che ha scritto per il nostro sito come contributo al dibattito sul tema dei preti sposati. p. Nadir Giuseppe Perin è dottore in Teologia dogmatica presso l'Università Pontificia dell'Angelicum in Roma; specializzato in Teologia Morale all'Università Lateranense - Accademia Alfonsiana di teologia Morale; Diplomato in Psychiatric Nursing presso la Mental Health Division di Toronto; specializzato in scienze psicopedagogiche presso l'Università di magistero dell'Aquila. Per contatti: nadirgiuseppe@alice.it )

Essendo un prete sposato, mi sono sempre chiesto se, quando io e Maria abbiamo deciso di sposarci, avessimo raggiunto quella maturità affettiva e sessuale, capace di dare una certa garanzia di stabilità al nostro rapporto di coppia. La risposta a questa domanda, almeno da parte mia è “ NO”.
Come mai, allora, il nostro rapporto di coppia dura ancora nel tempo da più di quarant’anni, (speriamo di arrivare insieme alle nozze di diamante) nonostante le tante difficoltà ( economiche, ambientali, malattie, terremoti....) incontrate?

Sono convinto che la vita matrimoniale, non meno di quella presbiterale, richiede una preparazione ed un aggiornamento continuo. Il che comporta “fare un cammino” che dura nel tempo per poter assimilare le esperienze e sviluppare la capacità di pensare, di volere e di amare.
Non si può improvvisare! E questo vale anche per il prete che si sposa.
Quando un prete si sposa, la prima cosa che la gente pensa è che “ ha fatto bene, perché anche lui è un uomo come tutti”. In altre parole anche i preti si sposano perché, come tutti i maschi sono “attratti” fisicamente dalle femmine, e viceversa. Il matrimonio è pensato come il lecito “rimedio della concupiscenza”, come del resto afferma lo stesso S. Paolo.
Sono rare le persone che pensano che un prete si sposa perché ritiene in coscienza che “quella sia la sua vocazione”!
Il prete dovrebbe decidere di sposarsi solo dopo aver compreso che Dio lo chiama a formarsi una famiglia ed è disposto a realizzare con la donna che ama un progetto di vita comune, nella condivisione di tutto quello che “è” e che “ha”.
Ma, quante persone, invece, si sposano perché si sentono reciprocamente attratte fisicamente, confondendo l’attrazione fisica con l’amore ? Non è vero, forse, che il “dichiararsi innamorati” poggia spesso su basi molto superficiali ? E si inizia il cammino di vita matrimoniale senza conoscersi ? Non è vero, forse, che spesso l’innamoramento dura finché dura l’attrazione fisica? E quando questa si smorza le coppie si “scoppiano” ed ognuno va per conto proprio oppure “ci si perde di vista”, rimanendo “coppia”, ma solo di fatto ?
E’ lecito, quindi, domandarsi se i preti che si sposano siano preparati ad affrontare la vita in comune, condividendo con l’altra tutto ciò che sono ed hanno. Sono veramente sicuri di conoscere la donna che amano e viceversa ? Che cosa vuol dire amare qualcuno? Che cosa significa “amore coniugale”?
Tutti sappiamo che ogni essere umano è caratterizzato dalle sua capacità di pensare, di volere e di amare.
L’intelligenza ci permette di non fermarci all’approccio superficiale, immediato, delle persone, delle cose e degli eventi, ma di cogliere dall’interno il significato, il senso ed i valori di tutto quello che ci circonda.
La volontà, creando i legame tra i nostri pensieri e i nostri atti, costruisce la nostra coerenza personale. Lungi dall’agire in maniera istintiva, cerchiamo di creare l’unità tra pensiero ed azione. Liberandoci progressivamente dal ripiegamento su noi stessi, entriamo in solidarietà con gli altri, elaborando un’etica di libertà responsabile.
Ma, le nostre risorse di intelligenza e di volontà trovano il loro coronamento nella capacità di amare.
Queste sono le facoltà, diversamente sfruttate dagli uni e dagli altri, ma che caratterizzano la persona umana. E, la vita spirituale appare come il fuoco interiore di ogni essere dotato di coscienza e di libertà, nel cuore di un mondo alla ricerca costante di fraternità.
Queste tre facoltà dell’uomo devono maturare contemporaneamente, proprio perché “maturità” significa “capacità di scegliere e ri-scegliere in maniera autonoma, consapevole e libera, nell’azione quotidiana, i valori oggettivi della propria vita di persona sposata, adeguandovi la soggettività.
Ma come si fa a scegliere o riscegliere se con le persone, con le cose e con gli eventi si riesce ad avere soltanto degli approcci superficiali e non si coglie il significato profondo, il senso ed i valori di quello che ci circonda ?
Come faccio ad essere una persona coerente se non riesco a creare dei legami tra i miei pensieri e le mie azioni che da essi sono ispirate ?
Come posso essere solidale con gli altri, rispettare la loro libertà, assumere un atteggiamento responsabile nei confronti di quello che mi circonda, se io vedo, voglio e cerco solo me stesso?
Come faccio ad amare veramente se non mi accorgo nemmeno di coloro che ho vicino e mi stanno accanto ?
Quando due persone si sposano non possono pensare di essere già un marito perfetto o una sposa perfetta, perché hanno appena iniziato, come coppia, un cammino quotidiano di conversione al dono ricevuto, cioè alla vocazione matrimoniale, che richiede : una maturazione nella conoscenza reciproca (intelligenza); una maturazione della volontà per “ritrovarsi” quotidianamente l’un l’altro e creare all’interno della coppia l’unità tra pensiero ed azione, pur nella diversità della personalità di ciascuno.
Un crescere insieme nell’amore reciproco…
L’amore coniugale, infatti, è la risonanza interna di un processo di stupore sul mondo, di conoscenza creativa, di un continuo rinnovamento. Un uomo e una donna possono restare uniti per diverse ragioni: dall’abitudine, dalla tenerezza, dall’aiuto reciproco, dal fatto di avere costruito delle cose in comune, ma soltanto se sono riscaldati dall’amore riescono a dare un senso e una direzione all’energia creativa del cambiamento, fatto di quella curiosità del nuovo, di quel sogno di trascendenza, di quella continua ricerca del “di più” a cui diamo, di volta in volta, il nome di curiosità, erotismo, slancio vitale, desiderio di conquista, fede o aspirazione all’Assoluto.
L’amore coniugale si sviluppa ed si approfondisce, se ciascuno dei due sposi riesce, per tutti i giorni della vita, ad apprezzare, ad ammirare la persona amata per quello che essa è, restando unica e non confrontabile con nessun altro; se ciascuno continuerà a cercare sé stesso, la propria verità, la propria essenza, con sincerità, con pulizia morale e si metterà contemporaneamente all’ascolto e al servizio dell’altro, diventando uno strumento della sua ricerca e della sua valorizzazione.
L’amore coniugale che dovrebbe dare il ritmo ad ogni cammino di coppia, possiede diverse caratteristiche.

1) La prima caratteristica è l’ impegno di reciprocità che significa pro-porsi vicendevolmente, attuare il vero rapporto a tu per tu, in cui nessuno sia estraneo, ma in cui ognuno prenda coscienza della propria corresponsabilità e s’impegni ad essere con-creatore della vita di famiglia, della propria storia e della storia dell’altro, perché la vocazione dell’uomo e della donna è quella di essere dei soggetti responsabili.
L’uomo e la donna sono veramente tali nella misura in cui, padroni delle proprie azioni e giudici del loro valore, diventano loro stessi autori del proprio processo, in conformità con la natura ricevuta in dono dal Creatore e della quale essi assumono liberamente le possibilità e le esigenze.
Questo significa che ogni uomo, ed ogni donna, in un modo o nell’altro, sono chiamati a prendere parte attiva alla creazione del loro futuro e di quello degli altri e che “la liberazione umana è il risultato dell’attività responsabile sia dell’uomo che della donna, allorquando affrontano il rischio di creare un domani più umano”.
Ognuno, nella ricerca della verità e nell’azione comune, nella collaborazione per costruire un mondo nuovo, diventa responsabile e corresponsabile dell’altro, in un rapporto di reciprocità. E’ il sì che ogni uomo ed ogni donna sono chiamati a pronunciare, come attori della propria storia. Un sì categorico, imperativo, per un cammino verso la scoperta di sempre nuovi aspetti della verità e verso la maturità della persona.
Nessuno degli sposi , però, deve o può aspettarsi tutto dall’altro, rimanendo in un atteggiamento passivo. Nessuno può pretendere di avere un qualsiasi tipo di monopolio sull’altro, dal momento che per realizzarsi, è necessario riconoscersi ed accettarsi reciprocamente come soggetti presenti a se stessi e agli altri.
Nella vita matrimoniale, quindi, ci si matura insieme, ma a condizione che si sappia essere disponibili l’uno all’altro. Dire di sì ad un cammino comune è dire di sì all’altro con il quale ci siamo messi in viaggio; è impegnarsi ad una reciprocità di “azione-reazione”, di un “dire-ascoltare”, in cui l’io si attua come io e il tu come tu. E’ in questa reciproca individuazione che si attua il noi, cioè la solidarietà tra persone coinvolte in una stessa umanità. Ogni dialogo è tale solo se i due si riconoscono e si accettano liberamente e responsabilmente come soggetti e non l’uno come oggetto dell’altro. E, il fondamento di questo, è la libertà dell’uomo e della donna di ri-creare e rinnovare il proprio mondo e se stessi, in conformità con la sua scelta.
Ogni volta che nel dialogo si lede questo principio, l’altro diventa “oggetto”. E, quando il mutismo, l’assenteismo e la passività subentrano nella vita di coppia, viene compromesso ogni tipo di incontro costruttivo.
L’impegno di reciprocità è prima di tutto, un impegno a riconoscere e ad accettare l’altro come essere libero e insostituibile di sé, occupante cioè un posto storico in cui nessun altro potrà mai sostituirlo, in quanto egli stesso non potrà mai accettare l’ipotesi di essere “oggetto” della sua storia per non venire meno alla sua natura.
Tale impegno aiuta la coppia ad essere resistente all’usura del tempo perché abitua ad andare all’altro con una mentalità non ristretta, egoistica, ma aperta e capace di dialogo.

2) La seconda caratteristica dell’amore coniugale è il rispetto reciproco perché la ferma volontà di realizzarsi insieme non può essere separata da un vicendevole e autentico rispetto. Dove c’è un vero rapporto umano, c’è sempre il rispetto sincero dell’uno per l’altra, perché ognuno considera l’altro come portatore di un messaggio da comunicare; anzi, considera l’altro stesso come un messaggio.
Il rispetto è quel senso maturo e profondo dell’amore vero che, pur unificando due persone, permette loro di essere, di vivere e di operare come persone singole, nella libertà. Proprio perché permette ad ognuno la libera espressione della propria personalità e, nello stesso tempo, favorisce e sviluppa l’impegno reciproco alla collaborazione che integra l’apporto di ognuno.
Il rispetto è una ricchezza che merita di essere posseduta. Ma, come ogni ricchezza, anch’esso è opera di conquista personale, quindi di sforzo continuo. Sforzo nel concretizzare il rispetto nella comprensione reciproca, attraverso una sintonizzazione sempre più perfetta; in uno spirito attento e aperto a penetrare l’uno il mondo dell’altro; nell’interesse autentico per le scelte e le responsabilità che ci si assume; nella disponibilità ad ogni richiesta di consiglio, di incoraggiamento e di aiuto concreto, perché ognuno sia veramente creatore della sua storia.
La prima condizione per attuare il rispetto reciproco è quella di non considerare l’io come fine e il tu come mezzo, ma ognuno deve riconoscere l’altro come principio dialogico e come tale rispettarlo.
Dal rispetto nasce l’amore come volontà a due e nel rispetto, l’amore si fa dialogo.
Se manca questo rispetto, l’io si fa dominatore e il tu diventa dominato, oggetto, cosa, questo; viene meno ogni rapporto di reciprocità io-tu, in quanto persone e soggetti liberi e operanti e si instaura un rapporto io-questo.
Nell’amore-rispettoso non esiste un soggetto che domina, attraverso la conquista ed un oggetto che viene dominato. Ci sono invece due soggetti che si incontrano per dare un nome al mondo, in vista della sua trasformazione.
Il rispetto è una delle componenti essenziali di ogni espressione dell’amore umano. Incontro, dialogo, amicizia, matrimonio, rapporti parentali ed educativi, si fondano e si mantengono soltanto sul rispetto reciproco. Il suo significato esula da qualsiasi forma di timore, ma denota, invece, la capacità di vedere una persona com’è, di conoscerne la sua individualità; di desiderare che l’altra persona cresca e si sviluppi per quello che è.
Il rispetto, escludendo ogni sfruttamento esige una disponibilità tale da permettere che l’altro cresca e si sviluppi secondo i suoi desideri, secondo i suoi mezzi e mai allo scopo di servirmi. Per questo diventa possibile solo se si possiede una maturazione di indipendenza, cioè se si può stare in piedi e camminare con le proprie forze, senza dover dominare o sfruttare nessuno.
Il rispetto presuppone la libertà e cresce con la libertà, perché l’amore è figlio della libertà, sia propria che altrui, mai del dominio. Soltanto attraverso la convinzione che l’altro sceglie liberamente il suo destino terreno ed eterno e i mezzi per perseguirlo, riesco a crearmi una disponibilità al rispetto della sua persona, delle sue scelte, delle sue operazioni, delle sue opinioni come delle sue convinzioni.

3) La terza caratteristica dell’amore coniugale è il dialogo perché l’amore è come il lievito. Esso permea ogni incontro umano, tanto più quello di coppia e trasforma l’incontro in vita.
Vivere la vita di coppia significa costruire la propria storia nell’impegno reciproco, in un clima di fiducia reciproca; è capacità di ricostruire gli animi nell’amore e nel rispetto concreto della persona, prendendo coscienza di essere soggetti e non oggetti, gli uni degli altri, imparando a rispettarsi come tali e assumendosene le conseguenti responsabilità. L’amore costruisce i rapporti tra due soggetti e non di un soggetto verso l’altro considerato come oggetto d’amore.
Amare l’altro come soggetto e amarsi vicendevolmente come soggetti, significa realizzare il dialogo nell’espressione più alta del rispetto reciproco della personalità.
Amare, di fatto, è “uscire dalla cella della solitudine, dell’isolamento, costituita dallo stato di narcisismo ed egocentrismo” ed entrare nel mondo della solidarietà, dell’impegno di reciprocità, della comunicazione attiva e corresponsabile, del dialogo con l’altro.
Ma la condizione essenziale, affinché l’amore dell’uno verso l’altro sia veramente tale e si realizzi come orientamento reciproco, è di scoprire le diverse facce della verità e di poter esprimere la capacità creativa di ciascun soggetto, diventando così la forma più alta di comunicazione. Attraverso la propria capacità di discernere, di esprimersi, di mettersi reciprocamente a confronto, ognuno si scopre di essere una parte vitale del rapporto dialogico e non qualcosa al di fuori, di esterno ad esso.
Nell’atto reciproco di proporsi, attraverso gli incontri e gli scontri, le opposizioni e le approvazioni, le riflessioni e le critiche, le scelte e le decisioni, l’organizzazione e l’azione, ogni soggetto si scopre creatore con l’altro e costruttore dell’uomo e della donna come tali.
Questa è la legge della vita che rende possibile a due persone di potersi realizzare in questo movimento di azione-reazione di amore, un movimento in cui è impegnata tutta la persona umana.
Anche la realizzazione di questo aspetto dialogico dell’amore coniugale non è facile da realizzare perché richiede uno spirito di povertà non indifferente ed una capacità di saper scoprire nell’altro sempre qualcosa di nuovo. L’amore per l’altro si mantiene sempre vivo quando, nella coppia, ciascuno si impegna, ogni giorno, a scoprire la “novità dell’altro”, e questo impegno diventa un’attitudine permanente dell’uno verso l’altro, come apertura reciproca nella piena disponibilità a darsi e ricevere l’altro.
Invece, capita spesso che nella vita di coppia si ha il timore di esprimere se stessi e di manifestare il proprio mondo di esperienze e di idee, perché non si è ancora sufficientemente convinti che ciò che esprimiamo, sia sempre un apporto ed un contributo, anche se in grado minimo, alla realizzazione del dialogo e che ogni scambio autentico sia una ricchezza e un arricchimento per chi coopera attivamente.
Ciò che bisognerebbe evitare in questo “gioco dialogico” è l’ atteggiamento paternalistico che ci fa sentire “responsabili degli altri”, ma poco “responsabili con gli altri”.
Il vero arricchimento reciproco si attua quando ogni soggetto della coppia mette in comune tutto ciò che è e tutto ciò che ha. Non sono io che devo arricchire paternalisticamente l’altro, ma siamo noi che dobbiamo arricchirci insieme e vicendevolmente. Ognuno ha le proprie ricchezze, le proprie capacità e i suoi doni particolari che sono il contributo per realizzare una creazione comune.
Questa disponibilità di ciascun componente della coppia diventa, nel tempo, un orientamento continuo e costante ad essere con l’altro, vivere con l’altro e agire con l’altro, piuttosto che “essere per”…”vivere per”…”agire per” l’altro.
Dalla scuola e dalla propria esperienza ognuno di noi ha imparato che ogni organismo vive, solo se le sue cellule si rinnovano continuamente. La vita, infatti, è un rinnovamento, una ricerca e un’ascesa continua. Lo stesso vale anche per la coppia che riuscirà a vivere in pienezza il suo matrimonio, se riuscirà a dare alla sua vita uno sbocco, una meta e un traguardo da raggiungere insieme.
La coppia “innamorata” non è quella che non modifica nulla, ma quella che riscopre continuamente il suo ambiente, la sua casa, i suoi interessi, i suoi amici, i valori spirituali che Dio ha posto nelle profondità dell’animo di ogni creatura. Resta innamorata se l’energia del cambiamento e l’energia esplorativa continuano ad operare rivitalizzandola. Infatti, l’amore è l’espressione dello slancio vitale che tende verso l’alto e che definisce e valorizza la coppia nel suo compito, se è vissuta come una realtà che “ha valore e che nello stesso tempo crea valore”.
Quello che invece rende fragile l’amore è la mancanza di fede e di fiducia, l’insicurezza, la meschinità, il dubbio dell’altro. Quando di fronte ad ogni difficoltà si cercano delle soluzioni al di fuori di sé stessi, rompendo così l’incantesimo dell’amore che svanisce nel tempo, significa che si è persa la capacità di guardarsi negli occhi con lo stupore, l’innocenza, la gioia e la delicatezza di un bimbo.

Per questo è necessario capire chi è “l’altro” nella dualità di coppia.
“E’ qualcuno che misteriosamente un giorno credi di conoscere e che il giorno dopo ti appare completamente diverso di come pensavi”. Comunque, l’altro componente della coppia, non deve essere considerato come un intruso, un concorrente che bisogna evitare, un servo che bisogna sapere addomesticare ai nostri fini, un oggetto da disporre a piacimento e sul quale esercitare il nostro dominio. L’altro è, invece, una persona responsabile, autore della sua storia, come io lo sono della mia, contro ogni tipo di manipolazione.
Attraverso questa presa di coscienza e il conseguente impegno, la coppia costruisce, giorno dopo giorno, se stessa, in un movimento di reciprocità dove il dialogo diventa presenza operante dell’altro a me e, presenza di me all’altro.
Certamente fare questa esperienza positiva di crescita e di maturità, come coppia, non è facile, né basta forse una vita per riuscire ad arrivare alla meta…ma quello che conta è provarci ogni giorno, avendo la consapevolezza del proprio limite personale, evidenziato molte volte dal limite della comunità e del tempo storico in cui viviamo.
A causa delle nostre sconfitte accettate, spesso cadiamo nella routine, nel pragmatismo senza anima che alla fine ci porta a vivere una vita che viene gestita dai condizionamenti fisiologici, psicologici, culturali, ecclesiali che ci privano della libertà e ci impediscono di trovare il senso della nostra esistenza.
Per questo è necessario che i due sposi “chiariscano, anzitutto, le verità essenziali che devono guidare la loro vita e poi intraprendano un cammino insieme per identificarsi liberamente con esse”.
Ma anche questa esperienza richiede tempo, impegno, costanza. Riconoscere i propri limiti, le cadute, le ferite, gli incidenti di percorso, ma sempre con la voglia di ricominciare… di andare avanti…
Ritornando alla domanda iniziale :E’ preparato il prete a vivere l’amore di coppia nel modo sopra descritto, in modo da dare stabilità alla sua vita matrimoniale ?”.
Credo che nessuno si possa dire preparato, ma sono convinto che tutti possiamo imparare come vivere la vita di coppia, perché l’amore più bello è quello che dura tutta una vita e la vita più bella è quella che dura tutto un amore.

p. Giuseppe dall’Abruzzo



Martedì 27 Settembre,2011 Ore: 14:43