Mi sta a cuore
LIBERI DI SPIRITO

di Stefania Salomone

La ricerca del senso delle cose, questo mi sta a cuore. Ho capito che avventurarsi in questa ricerca è già un traguardo. Sentirsi liberi di cercarlo, senza accontentarsi di risposte già preconfezionate da qualcuno che è pronto a venderle al mercato nero, come la farina in tempo di guerra. Potremmo definirla “libera ricerca spirituale”, se questo termine non fosse già sufficientemente abusato. Si tratta in sostanza di tuffarsi profondamente dentro se stessi per riportare alla luce il progetto originario, quello che in fondo siamo da sempre senza esserne consapevoli.
Mentre si sprofonda ecco che si smuovono le correnti interiori e le maree diventano ingovernabili, impetuose. Se fosse proprio questo ciò che chiamiamo Dio? Qualcosa di totalmente e assolutamente creativo, ma che lo diventa solo nella misura in cui noi lo portiamo alla luce.
E' da un pezzo che non riesco più ad immaginare un Dio-persona che si trova chissà dove, quello a cui ci si rivolge per chiedere o per ringraziare. O quello da temere, così caro alle religioni sempre meno spirituali; quello che si offende, che porta rancore, all'occorrenza anche per l'eternità. Una presenza che ha contraddistinto la formazione religiosa della gran parte dei cattolici, istruiti a sopportare la vendetta di un Padre irascibile e permaloso che per ciascuno ha previsto specifici piani spesso incomprensibili. Meno li si capisce e più si ricorre alle gettonate teorie che svuotano il pensiero e lo riempiono di assurde certezze capaci di trasformare la bellezza in senso di colpa e la passione in delitto.
È quel che accade quando le nostre scelte sono dettate dalla paura di sbagliare, o peggio ancora di trasgredire, specie laddove la presunta mancanza riguarda una legge “divina”. Nella mia esperienza con le “donne dei preti” riscontro con dolore quanto questa paura sia presente e determini le azioni e i gesti sia della donna che del chierico. La prima annaspa nel tentativo di liberarsi dalla trappola dorata di una relazione impari, condizionata dalla superiorità dell’uomo sacro che impone tempi e modalità fortemente penalizzanti ad una storia già di per sé complicata. Il secondo cerca di vivere la relazione occultando il senso di colpa per aver tradito l’istituzione, i confratelli e le aspettative che tutti ripongono in lui. In molti casi, specie se si tratta di preti giovani, questa condizione mortificante è superata dalla consapevolezza che il celibato obbligatorio non è un dogma di fede e le relazioni sono affrontate con maggiore disinvoltura. Forse troppa, stando alle testimonianze delle loro compagne, spesso abbandonate perché la storia “sta diventando troppo seria”, salvo poi constatare che un’altra donna, meno impegnativa e pretenziosa, era già nell’aria. Ma anche così il celibato è salvo.
Ecco, allora da qui la domanda: qual è il senso di tutto questo? E come uscirne? Combattere affinché l’istituzione ecclesiastica decida per l’abolizione di questa norma o cercare la forza e la strada per superare ed eliminare ciò che impedisce di essere autentici?

* Segreteria del Gruppo romano di Noi Siamo Chiesa e coordinatrice del Blog “Amore Negato”, che tratta di celibato e delle “donne dei preti” (http://www.ildialogo.org/phpBB302) sul sito “Il Dialogo”

Articolo pubblicato su ADISTA n. 58 del 23/07/2011



Mercoledì 20 Luglio,2011 Ore: 20:55