CHIESA DI VERTICE - CHIESA DEL VANGELO
MATRIMONIO E CELIBATO, FORME D'AMORE D'ELEZIONE

Per un celibato d'elezione facoltativo


di Mario Arnoldi,
mario.arnoldi@tempidifraternita.it

Ringraziamo la redazione di Tempi di Fraternità (per contatti www.tempidifraternita.it ) per averci messo a disposizione questo articolo sul tema del celibato obbligatorio pubblicato sul numero di Giugno-luglio 2010.
“Maschio e femmina li creò”
I racconti biblici di Gen 1,1-31 e Gen 2,4b-24 attribuiscono al Signore il dono d’amore della creazione dell’uomo e della donna, come cul­mine del processo creativo. “Dio creò l’uomo a sua immagine; / a immagine di Dio li creò; / maschio e femmina li creò”. “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile... Il Signore plasmò, con la costola che aveva tolto all’uomo, una donna e la con­dusse all’uomo… Per questo l’uomo abbando­nerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne…”.
Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, / riempite la terra; / trasfor­matela e lavorate / sui pesci del mare / sugli uccelli del cielo / e su ogni essere vivente...”. Al termine della creazione “Dio vide che tutto questo era buono - anzi, riguardo l’uomo e la donna - molto buono”.
Secondo l’antico Testamento, cioè il primo Patto tra il Signore e l’umanità, il senso e il compito del matrimonio sono da un lato il completamento reciproco nell’amore di uomo e donna (Gen 2,18; Gen 2,24), e d’altro lato la procreazione (Gen 1,28) per offrire il dono dei figli all’umanità ed al Regno.
Il completamento di sé nell’amore e la ripro­duzione della vita sono un cambiamento radi­cale rispetto al passato - il padre e la madre vengono abbandonati -, un cambiamento du­raturo e organizzato da una sistema giuridico variegato nel corso dei secoli. Inoltre sono un’immagine dell’alleanza del Signore col suo popolo. La pienezza dell’unione uomo donna e la sua stabilità, affermata in Gen 2,24, sarà interpretata secondo le esigenze concrete del popolo che cammina, si ferma, combatte, con­quista, è cacciato, di nuovo cammina, nuovamen­te si ferma... e tollererà il divorzio (Dt 24,1-4).
Si può dire che la legislazione matrimoniale del primo Patto porta l’impronta sia della creazione e dell’amore divino sia delle esigenze dei limiti umani.
I due fini, unione d’amore e procreazione, nel corso della storia, godranno a volte di una valu­tazione di parità, più spesso la procreazione sarà considerata fine primario a causa della sotto­valutazione dell’amore fra uomo e donna e della sessualità. Solo negli ultimi decenni, presso la parte più aperta del popolo di Dio, vediamo pie­namente valorizzati i due aspetti.
Gesù e il matrimonio
Gesù Cristo ricupera gli aspetti originari del ma­trimonio. Egli, in Mt 19,3-9, citando solenne­mente Gen 1,27 e 2,24, conferma per la comu­nità della nuova alleanza le caratteristiche primigenie del matrimonio, e tutto il nuovo Patto riafferma la doppia funzione del matrimonio, os­sia la comunione di vita e di amore (cfr. Mc 10,6 s; Mt 19,4 s; 1 Cor 7,3-5; 1 Pt 3,7) e la finalità della procreazione (cfr. 1 Tim 2,15; 5,10-14).
Con l’opera redentrice di Gesù il matrimonio acquista inoltre un significato nuovo, un valore aggiunto rispetto ai precedenti, infatti i due sposi diventano portatori l’uno verso l’altro, e quindi ai figli, della salvezza di Dio e Gesù Cristo. Car­lo Carretto scriveva nel 1949 un libro dal titolo efficace di Famiglia piccola Chiesa, in cui espri­meva per la prima volta questi principi per il mondo giovanile del dopoguerra: fu un testo molto discusso.
San Paolo, nelle diverse trattazioni del tema (1 Cor 7,2; 1 Cor 7,8-10; Ef 5,22-23), riprende, approfondisce, aggiunge elementi, come quel­lo di allargare a tutte le genti il dono della sal­vezza nel matrimonio.
Come durante la storia del popolo ebraico, i valori del matrimonio presentati da Gesù e da­gli apostoli si son dovuti confrontare con la sto­ria. Tuttavia i valori antichi e nuovi si fondono come proposta cristiana completa.
La vergogna del celibato nell’antico Patto e la sua valorizzazione nel nuovo
Nel primo Patto il celibato è ritenuto una ver­gogna (cfr. Is 4,1) e impedisce all’uomo la rea­lizzazione della vita piena. Non esiste un termi­ne ebraico per dire “celibe”. La possibilità del celibato appare per la prima volta nel libro del profeta Geremia, motivato dalla chiamata di Dio (Ger 16,1 ss); tuttavia questo non modifica la concezione veterotestamentaria, che considera la vita celibataria come una dolorosa rinuncia (Ger 15,17; Ger 16,3 ss).
E’ Gesù che parla per la prima volta del celi­bato come di una chiamata positiva per promuo­vere il regno di Dio. In Mt 19,11 ss, Gesù ac­cenna alla possibilità di un celibato carismatico “per il regno dei cieli”. Qui si pensa a una ri­nuncia volontaria a causa del regno di Dio, per la quale Dio dona la volontà e la forza, ed è una scelta che non ha nulla a che vedere con l’osti­lità nei confronti del corpo o con un pregiudi­zio ascetico.
Paolo, apostolo non sposato, recepisce posi­tivamente queste parole di Gesù e in 1 Cor 7,26-40 raccomanda a quei Corinzi non ancora spo­sati il celibato come forma di vita da preferire, come disponibilità verso Dio e di fronte all’ur­genza escatologica. Paolo presuppone comun­que il matrimonio come chiamata normale dei cristiani (v. 2), mentre definisce esplicitamente il celibato come un carisma, un dono, che non è dato a tutti (v. 9), lasciando perciò ai Corinzi piena libertà (vv. 28,35,36,38) di seguire il suo “consiglio” (vv. 25,26,40).
Anche in Paolo la raccomandazione del celi­bato non può essere intesa come una svalutazione del matrimonio legata all’ostilità verso il corpo. Proprio Paolo, come già Gesù Cristo, ha sottolineato che il vincolo matrimoniale è por­tatore del dono della grazia divina.
Origini del celibato obbligatorio nella Chiesa
Solo col secolo III, ai tempi di Tertulliano, ve­diamo nella Chiesa i primi spunti del celibato obbligatorio, quando, rispetto alle origini cri­stiane, la valutazione dello “stile e dello stato di vita” dei ministri prende il sopravvento sul servizio pastorale stesso. La prima legge di cui abbiamo testimonianza risale al “concilio di Elvira”, Spagna, all’inizio del secolo I V, che sta­bilisce la continenza assoluta dei chierici (ve­scovi, sacerdoti, diaconi) sposati. Chi non os­serva questa proibizione, dichiara il canone 33, è escluso dalle funzioni ecclesiastiche”. La sacralità del culto non era ritenuta compatibile con l’impurità che si riteneva legata ai rapporti matrimoniali. La svalutazione del matrimonio e della sessualità, fatta propria da molti padri della Chiesa, in questo modo si diffonde am­piamente.
Se il tema del sacro è fondamentale per com­prendere l’origine della legislazione del celiba­to ecclesiastico obbligatorio, non si deve dimen­ticare d’altro lato l’aspetto ascetico-escatologico che vede nel celibato uno stato di totale dispo­nibilità nei confronti del servizio divino e l’an­ticipazione della situazione finale dell’umani­tà. E’ questa la motivazione che sottosta al celi­bato obbligatorio del monachesimo che perma­ne tuttora.
La situazione in Oriente è diversa. La proibi­zione del matrimonio riguarda solo i Vescovi (legge dell’imperatore Giustiniano del 528). Nel 692 il concilio di Trullo stabilì inoltre che i sa­cerdoti e i diaconi potessero sposarsi solo pri­ma dell’ordinazione e a tali norme si attiene la disciplina attuale, anche nelle chiese orientali unite a Roma. In campo protestante, la riforma abolì il celibato come imposizione estranea al Vangelo. Al contrario, la disciplina cattolico-ro­mana fu ribadita dal concilio di Trento, 1546-1563, e, più recentemente, confermata dal dirit­to canonico.
ll celibato obbligatorio negli ultimi decenni
Con alterne vicende il problema del celibato ob­bligatorio è rimasto costantemente all’ordine del giorno nel corso degli ultimi decenni, e le di­scussioni continuano ancora in tante realtà di base, incrociando posizioni diverse: chi sottoli­nea la difficoltà di una ricostruzione storica at­tendibile del celibato; chi afferma la convenien­za di inquadrarlo in qualche forma di pratica comunitaria e all’interno di un programma di vita spiritualmente intenso e impegnato; chi, pur apprezzando il suo valore intrinseco, auspica an­che la possibilità di ordinare uomini sposati che abbiano dato prova di esemplare vita cristiana e di valido impegno pastorale; soprattutto molte sono le voci di chi chiede l’abolizione della sua obbligatorietà, riportandolo alla sua originaria natura di scelta d’elezione e quindi non impo­sta obbligatoriamente.
La risposta gerarchica a queste discussioni ri­badisce la posizione tridentina. Il celibato ob­bligatorio viene considerato come conveniente anche se non necessario dal Concilio Vaticano II (PO 16); successivamente esso ha un’altra ratifica nella Sacerdotalis caelibatus di Paolo VI (1967) ed è sottoposto a una lunga discus­sione nel Sinodo del 1971, che conferma a lar­ga maggioranza il celibato obbligatorio nella Chiesa romana.
L’intervento più aggiornato è ora quello della Pastores dabo vobis (Esortazione apostolica post-sinodale 1992), abbastanza aperta ai sug­gerimenti accumulatisi negli ultimi tempi, ma decisamente ferma sulle posizioni tradizionali, sulla linea dello stesso Sinodo, che aveva affermato: “Ferma restante la disciplina delle Chie­se orientali, il Sinodo, convinto che la castità perfetta nel celibato sacerdotale è un carisma, un dono, ricorda ai presbiteri che essa costitu­isce una grazia inestimabile di Dio per la Chie­sa e rappresenta un valore profetico per il mon­do attuale”.
Mozione in favore del celibato d’elezione facoltativo
Interpretando la posizione di molta parte della chiesa cattolico-romana di base, Hans Kung, te­ologo e prete cattolico di grande autorità, che ha vissuto in prima persona la storia della Chie­sa romana dal Concilio Vaticano II sino a oggi, ha affermato con forza la necessità del celibato facoltativo, in occasione dello scandalo dei preti pedofili. Il celibato obbligatorio non è certo la causa dello scandalo, ma sicuramente ne è il “brodo di cultura”.
Penso anch’io che il “celibato non eletto vo­lontariamente”, ma imposto come “pacchetto unico” con il sacerdozio e con lo stato monacale, in epoca di secolarizzazione e di smarrimenti postsecolari diffusi, crei una situazione di soli­tudine interiore che fa emergere gli istinti pri­mari e indistinti che albergano nell’animo uma­no, legati alla sessualità, positiva se vissuta in modo corretto, perversa se non adeguatamente educata. I suggerimenti del Sinodo del 1971 non sono riusciti a creare, in modo allargato nella Chiesa cattolica, le condizioni di comunità, di disponibilità, di povertà auspicati per praticare il celibato prescritto. Spesse volte, proprio in contesti di comunità educative, si creano le si­tuazioni favorevoli alla pedofilia.
Concludo quindi scegliendo e proponendo le indicazioni bibliche del celibato facoltativo e non quelle del celibato obbligatorio affermato dalle strutture ecclesiastiche nel corso dei seco­li . Il celibato, per la sua “nobiltà”, non può es­sere imposto ma accettato per libera scelta. An­che per i religiosi e i monaci non si discute il significato ascetico ed escatologico del celiba­to, ma la sua scelta riacquisterà tutta la sua for­za e il suo pieno significato solo se tornerà a essere libera e non imposta.
Per saperne di più
R. Penna, G. Perego, G. F. Ravasi (a cura di), Temi teologici della Bibbia, San Paolo, 2010
G. Vivaldelli, J-B Edart, Matrimonio, in idem, 2010
Enzo Bianchi, Verginità e celibato, in idem, 2010


Luned́ 05 Luglio,2010 Ore: 15:21