LA COSCIENZA UNA VOCE INSOPPRIMIBILE

di Giuseppe Castellese

Durante il convegno di Cefalù (18-21 novembre 2010), tema portante “La coscienza una voce insopprimibile”, poco per volta è emersa una domanda che si è fatta (sopratutto dopo l’intervento splendido di Nicola Gratteri – magistrato) convinzione:
-viviamo in un “sistema” in cui “collante”, volenti o nolenti, restano i rapporti di tipo economico che ineluttabilmente implicano aggregazioni di tipo “gerarchico” e quindi di casta e questo in qualsiasi tipo di aggregazione sociale, sia esso potere economico, politico, religioso.
Sono emersi, a momenti, entusiami… ma la convinzione che brilla come percezione di brevi momenti di lucidità asettica è che “solo Cristo” ha saputo e potuto sottrarsi alle forze del sistema. Dopo Cristo, anche tra i primi discepoli, quando va bene si naviga a vista. Ma poi, quando le strutture-istituzioni si impongono, l’economia (il “mondo” o “mammona”) ha il sopravvento anche nelle titubanze del vescovo che non sa decidersi tra la chiarezza del “consiglio evangelico” (se questo parroco è “chiacchierato” o colluso, trasferiscilo!) e il tatticismo prudente del “governare” (il vescovo non trasferisce il parroco perché “nessun altro andrà a dire messa lì”). E a nulla vale l’insistere (“facciamo una cosa… voi lo spostate e andate voi ogni settimana a dire messa in quella parrocchia”) poiché il Vescovo preferisce “non rispondere”.
È sempre così e dovunque? La risposta sembra poterla cogliere dallo stesso “incedere” del magistrato il quale, in uno “spaccato” in cui emerge il suo stesso, personale percorso (“io non sono stato a scuola a Oxford e non sono cresciuto nei salotti della borghesia: io andavo a scuola con l’autostop, son cresciuto con i figli dei mafiosi”) ci mostra la realtà nel cui brodo culturale siamo immersi: “spesso la chiesa viene gestita come potere; non tutti hanno il coraggio di rifiutare le lusinghe del mafioso del paese; molte volte ho sentito negli anni passati preti o vescovi parlare contro le mafie ma poi non essere consequenziali con le omelie”.
Questo tipo di osservazioni si fa ancor più coerente e pregnante nell’intervento di Lilia Sebastiani quando tratta della “coscienza pacificata dei separati e divorziati risposati” e, soprattutto quando si tocca la nota dolente delle “separazioni giudiziali” scoperte come filone aurifero per professionisti di settore, salta fuori… come quasi nessuno sia “immune” poiché il sistema sembra “stritolare” nelle sue spire “tutti i poteri”. Allora è da escludere che figli di mafiosi, laureati (per intrinseche capacità, o per la potenza del padre e in questo caso i novelli laureati sono quelli del “se potrei”) dilaghino anche nei settori nobili delle professioni non solo della salute ma anche della “giustizia” sulla famiglia nel cui disfacimento sembra potersi trovare nuova linfa alla corruzione più perversa? E la domanda si fa implorante verso il magistrato antimafia: possibile che la stessa magistratura non sia immune da fenomeni di infiltrazione specialmente laddove, attraverso procedure senza fine, si destabilizza anche la cellula fondante la stessa società statuale e di diritto?
Perciò resta fondamentale riproporre per tutti (magistrato incluso) la coerenza tra quel che diciamo e quello che facciamo… e non solo “avvicinare quei giovani di oggi costruiti come polli di batteria” o “donare il sangue”, o visitare gli anziani depositati nelle case di riposo perché “la famiglia è senza valori” ma, in positivo, trovare gli strumenti per ridare senso e stabilità alla famiglia anche col non consentire il suo dissanguamento nelle estenuanti procedure per “separazione” divenute spesso piste inestricabili ambite da voraci professionisti.


Luned́ 22 Novembre,2010 Ore: 15:22