Se l’obbedienza si riconcilia con la libertà. Una ricerca della verità nello spirito dell’eresia

di Vito Mancuso

da Adista Documenti n. 24 del 23/06/2012


DOC-2452. ROMA-ADISTA. Un’appassionata riflessione intorno alle due polarità, apparentemente inconciliabili, tra cui tanto spesso, e in maniera tante volte tragica, si è sentita e si sente divisa la coscienza cristiana (e umana): Obbedienza e libertà, come appunto titola l’ultimo libro del teologo Vito Mancuso, pubblicato dalla casa editrice Fazi (Roma, 2012, pp. 208, euro 15), nella collana di libera ricerca spirituale “Campo dei Fiori”, diretta da Elido Fazi insieme allo stesso Mancuso (di questa collana Adista ha già presentato il capolavoro dell’ex frate domenicano Matthew Fox In principio era la gioia; il libro del teologo statunitense Paul Knitter Senza Buddha non potrei essere cristiano; la dirompente lettura del Vangelo di Luca del biblista Alberto Maggi Versetti pericolosi. Gesù e lo scandalo della misericordia, v. Adista nn. 33, 52 e 90/11).

Che l’obbedienza possa andare per mano con la libertà, è tuttavia chiaro fin dalla scelta di Mancuso di dedicare il libro «alla memoria degli italiani uccisi in quanto “eretici”, martiri della libertà religiosa, testimoni obbedienti del primato della coscienza», ponendo subito, con ciò, le carte in tavola riguardo a quale sia il senso della vita spirituale: «Essere liberi nella propria mente e nel proprio spirito, senza alcuna sudditanza esteriore, e al contempo coltivare una scrupolosa obbedienza interiore alla verità (o, che è lo stesso, al bene, alla giustizia, alla bellezza, all’amore)». Che è poi anche la condizione essenziale, e quanto mai trascurata, «per l’esercizio responsabile della teologia: per superare il paradigma dell’obbedienza esteriore all’autorità e affermare quello dell’obbedienza interiore (e quindi libera) al bene e alla giustizia». Passa necessariamente da qui la via per superare «il tragico paradosso» in cui si dibatte la coscienza cattolica: quello di una Chiesa attraverso cui continua a risuonare il messaggio di liberazione di Gesù, ma che «è governata nel suo vertice da una logica che rispecchia proprio quel potere contro cui Gesù lottò fino a essere ucciso». Ed è a questa «dottrina incoerente», prigioniera di una visione superata del mondo e dell’essere umano, che Mancuso oppone la sua proposta di una libera ricerca spirituale, affrontando con chiarezza alcuni dei nodi fondamentali dell’attuale dibattito non solo teologico – dalla logica del potere al primato della coscienza, dalla laicità al dialogo tra le religioni fino al nostro destino finale - sulla base del metodo della «messa in dubbio», dell’«interrogazione inquieta» dell’«indagine che procede senza predeterminare già quale debba essere il risultato finale»: «perché si possa dare un’autentica e liberante esperienza di verità – evidenzia il teologo - occorre aprirsi senza timore allo spirito dell’eresia». Una parola, “eresia”, che già il teologo evangelico Friedrich Schleiermacher, nel 1799, riteneva necessario «riabilitare». Anche perché, come Mancuso sottolinea nella Conclusione del libro, che qui di seguito riportiamo, «quando papa Leone X nella bolla Exsurge Domine del 15 giugno 1520 condanna come eretica la frase di Lutero secondo cui “è contro la volontà dello Spirito che gli eretici siano bruciati”, chi è, nella sostanza, il vero eretico? Chi rispetta la sacralità della vita, Lutero, che non vuole bruciare, o il papa, che vuole bruciare?». (claudia fanti)

UN INVITO ALLA COERENZA

di Vito Mancuso

Il cristianesimo non sa più produrre cultura a causa dell'incapacità di leggere adeguatamente il mondo, e tale incapacità va ricondotta alla sua frattura con la contemporaneità. Il fenomeno ha radici profonde. Il primo riferimento spontaneo è il 1789 della Rivoluzione francese, con la fine dell'Ancien Régime e il crollo del collateralismo Trono-Altare che aveva dominato l'Europa per secoli e che allora si estinse per sempre nella mente europea, così che a nulla servì la sua rianimazione artificiale da parte della Restaurazione a seguito del Congresso di Vienna del 1815. Ma l'inizio del divorzio tra l'Occidente e la sua religione si può collocare ancora più indietro, per esempio al 22 giugno 1633, quando a Roma, nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva, Galileo, a settant'anni d'età, in ginocchio, con l'abito dei penitenti, venne costretto alla pubblica abiura dei risultati dei suoi studi, pena la tortura e la morte. Oppure al 17 febbraio 1600, quando, sempre a Roma, Giordano Bruno venne denudato, legato a un palo e bruciato vivo in Campo de' Fiori all'età di cinquantadue anni per non aver accettato di fare altrettanto, come annotava sul registro un addetto della Arciconfraternita di San Giovanni Decollato, dedita all'assistenza spirituale dei condannati a morte nella Roma papale: «tanto perseverò nella sua ostinazione che da ministri di giustizia fu condotto in Campo di fiori, e quivi spogliato nudo e legato a un palo fu bruciato vivo», aggiungendo che tutto ciò avveniva «accompagnato sempre dalla nostra Compagnia cantando le litanie».

I due eventi del 1600 e del 1633, entrambi avvenuti nel centro della cattolicità dietro precisa indicazione del pontefice regnante (rispettivamente Clemente VIII e Urbano VIII), costituirono un vero e proprio atto di guerra che il potere papale dichiarò contro il pensiero filosofico e la ricerca scientifica, le migliori energie intellettuali dell'umanità. Tali atti della gerarchia cattolica hanno ingenerato nella mente occidentale le seguenti convinzioni, oggi molto diffuse: a) il cattolicesimo è contro la libera espressione del pensiero e teme la libertà; b) il cattolicesimo è contro la libera ricerca scientifica e teme la verità.

Si potrebbe scendere ancora nella scala del tempo e arrivare alla scomunica di Lutero, al divieto contro l'ecumenismo di Pico della Mirandola, al rogo di Jan Hus e prima ancora di Margherita Porete, ma il succo intellettuale della questione si può esprimere con le parole che Galileo fa pronunciare allo scienziato Salviati in risposta a un esponente della filosofia e della teologia tradizionali: «Però, signor Simplicio, venite pure con le ragioni e con le dimostrazioni, vostre o di Aristotele, e non con testi e nude autorità, perché i discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta». La mia Chiesa, invece, ha risposto alle sfide della modernità basandosi non sulla forza della verità ma su quella, decisamente meno evangelica e meno scientifica, della nuda autorità, servendo così non il mondo reale degli uomini, bensì il mondo di carta dei dogmi, non la spiritualità ma il potere e la sua conservazione. Perché ha agito così? Per lo stesso motivo per cui un uomo aggredisce un altro uomo quando sente di non poter ribattere sul piano delle idee e ricorre alla violenza, prima verbale e poi fisica, ovvero per mancanza di argomenti.

Il risultato ottenuto da questa logica della forza non poteva ovviamente che risultare fallimentare. E infatti, nel momento in cui non ebbe più a disposizione la forza del “braccio secolare”, la religione cattolica ha iniziato a perdere sempre più valore nella mente degli uomini e da centro pulsante della vita civile e sociale è diventata una “materia facoltativa”. Lo statuto di cui essa gode oggi nelle nostre scuole rispecchia esattamente la considerazione che ha nelle nostre menti.

Ne consegue che il motivo vero e proprio della perplessità che agita la mente di molti cattolici contemporanei non è più tanto la Chiesa istituzionale, ma il cattolicesimo stesso, così come si è venuto a configurare per lo meno a partire dal Concilio di Trento (1545-1563): una religione che ha il suo baricentro nella forza e non nella pace, nell'autorità e non nella ragione, nell'obbedienza e non nella libertà, nella dottrina e non nella verità. Una religione all'insegna della rigidità dogmatica e del potere, e non del dinamismo della rivelazione biblica e della libertà. Una religione in cui non so quanto Gesù si riconoscerebbe.

Gli europei si vanno distaccando dalla loro religione tradizionale, lo fanno sempre più diffusamente ,da qualche secolo a questa parte e oggi lo scetticismo che un tempo era di una ristretta élite è diventato sentimento popolare, così che quei popoli che per secoli sono stati orgogliosamente cristiani (per esempio la Francia veniva chiamata fille aînée de l’Église, “figlia prediletta della Chiesa”) ora sono per la gran parte indifferenti al richiamo della loro antica religione (in Francia, per stare all'esempio, i praticanti si aggirano oggi attorno al 4 per cento). Come mai? E come mai i vertici della Chiesa di fronte a questa situazione pensano che la responsabilità sia sempre solo degli altri?

La causa del divorzio tra cristianesimo e Occidente viene solitamente indicata negli ambienti ufficiali del cattolicesimo con il nome di “relativismo”, talvolta addirittura “dittatura del relativismo”, intendendo con questo concetto una sorta di malefico virus di cui la coscienza europea sarebbe vittima a partire dalla modernità illuminista. Così il cardinale Joseph Ratzinger nell'omelia della Missa pro eligendo Romano Pontifice del 18 aprile 2005: «Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie».

Si sostiene che se il matrimonio tra Occidente e cattolicesimo sta attraversando una crisi tanto dura da essere ormai vicino al divorzio, la responsabilità è solo dell'Occidente secolarizzato che invece di rimanere fedele alla sua religione ha iniziato a frequentare pericolose compagnie galanti relativizzando il vincolo intellettuale, morale e spirituale che lo legava virtuosamente alla verità, identificata sine glossa col cattolicesimo. Ancora il cardinal Ratzinger: «Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l'unico atteggiamento all'altezza dei tempi odierni».

Io non penso che questa sia una risposta adeguata. Certo, vi è anche l'influsso di ideologie come quelle relativistiche che possono impoverire la lettura della realtà, ma c'è molto di più: ci sono le questioni teologiche sollevate da Hus e da Lutero, e da altri prima e dopo di loro, e mai teoreticamente affrontate perché si preferì ricorrere alla violenza; ci sono le questioni filosofiche e cosmologiche sollevate da Bruno, quelle scientifiche sollevate da Galileo, e da altri prima e dopo di loro, e mai teoreticamente affrontate perché si preferì ricorrere alla violenza, e tante altre questioni irrisolte, fino alle due grandi repressioni novecentesche del Magistero pontificio, quella contro il modernismo nella prima parte del secolo a opera di Pio X e quella contro la teologia della liberazione nella seconda parte del secolo a opera di Giovanni Paolo II. Ne è conseguita la crescente incapacità del cristianesimo di collocarsi adeguatamente rispetto alla nuova immagine del mondo, anzitutto rispetto alla coscienza morale del mondo moderno, basata non più sull'obbedienza ma sulla libertà.

Certo in molti casi, messo alle strette, il cattolicesimo poi si adatta: è avvenuto con Copernico, prima condannato e poi riabilitato fino alla sepoltura tra gli onori delle sue spoglie mortali nel duomo di Frombork, in Polonia, il 22 maggio 2010; è avvenuto con Galileo, prima costretto all'abiura poi oggetto di riabilitazione con il discorso di Giovanni Paolo II del 31 ottobre 1992, a 359 anni di distanza; è avvenuto con l'evoluzione darwiniana, prima avversata e poi oggetto in questi ultimi anni di considerazione senza inimicizia; è avvenuto con la psicoanalisi, prima bandita e ora oggetto di corsi universitari nelle facoltà pontificie; è avvenuto con i diritti dell'uomo, prima negati e condannati, ora affermati e promossi, in primis la libertà religiosa; è avvenuto con le altre confessioni cristiane e le altre religioni, prima considerate nulla più che eresie e idolatrie, ora sentieri autentici di vita spirituale.

Una domanda però a questo punto si impone: arrivando spesso così tardi all'appuntamento con la verità, e in modo tanto tortuoso da risultare imbarazzante, come può il cattolicesimo risultare affascinante per chi coltiva seriamente la ricerca spirituale e intellettuale, per quei “cercatori della verità” cui si rivolgeva l'episcopato italiano con la lettera del 12 aprile 2009? Come può il cattolicesimo essere la religione degli spiriti nobili, coraggiosi, innovatori, inquieti (e non inquieti per dispetto, ma per un'innata tensione verso il vero), come immagino fosse Gesù? Al contrario duole constatare come nel sistema prodotto dal cattolicesimo dottrinale siano spesso gli spiriti servili, miopi, conservatori, prudentissimi (nel senso politico-diplomatico del termine) a trovarsi meglio e a fare carriera.

Ognuno risponda ora in coscienza a queste semplici domande che emergono dalla storia:

- quando papa Leone X nella bolla Exsurge Domine del 15 giugno 1520 condanna come eretica la frase di Lutero secondo cui «è contro la volontà dello Spirito che gli eretici siano bruciati» (DH 1483), chi è, nella sostanza, il vero eretico? Chi rispetta la sacralità della vita: Lutero, che non vuole bruciare, o il papa, che vuole bruciare?

- quando i papi della Controriforma ordinano di torturare e di uccidere gli eretici, mentre nello stesso periodo l'umanista Sebastiano Castellione scrive contro Calvino che «uccidere un uomo non è difendere una dottrina, ma è uccidere un uomo», chi è, nella sostanza, il vero eretico?

- quando «nel 1572, dopo la strage del giorno di San Bartolomeo in Francia, durante la quale furono massacrati dai 5.000 ai 10.000 protestanti, Gregorio XIII ordina la celebrazione di un solenne Te Deum di ringraziamento», chi è, nella sostanza, il vero eretico?

- quando papa Urbano VIII fa sì che la commissione di cardinali da lui creata costringa Galileo all'abiura, chi è, nella sostanza, il vero eretico?

- quando Clemente XI e altri tre papi condannano Quesnel perché vuole far leggere il Vangelo a tutti i fedeli, chi è, nella sostanza, il vero eretico?

- quando Gregorio XVI condanna come delirio (deliramentum) la libertà religiosa auspicata da Lamennais, chi è, nella sostanza, il vero eretico?

E viceversa:

- quando il giovane pastore protestante Dietrich Bonhoeffer si impegna nel movimento ecumenico, mentre in quegli stessi anni papa Pio XI condanna l'ecumenismo, chi è nella sostanza il vero “vicario di Cristo”?

- quando nel 1933 Bonhoeffer interviene più volte pubblicamente contro il regime hitleriano e la sua politica contro gli ebrei, mentre la Chiesa Cattolica nella persona di Eugenio Pacelli con quello stesso regime il 20 luglio 1933 firma il Concordato, chi è nella sostanza il vero “vicario di Cristo”?

Chi ospita nella mente il principio-autorità non avrà esitazione a rispondere che i veri eretici erano esattamente coloro che vennero condannati come tali, non certo i papi, i quali, quando assumono posizioni dottrinali, sono assistiti sempre e comunque dalla potenza dello Spirito Santo, e quindi non possono errare, e quindi rivestono sempre il ruolo di “vicario di Cristo”. Ma chi vuole che la sua mente sia governata dall'autenticità e dalla sincerità sa che le cose stanno in modo diverso. Occorre semplicemente tirare le conseguenze di questa non più sostenibile opposizione tra obbedienza e libertà.

Articolo tratto da
ADISTA
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Mercoledì 20 Giugno,2012 Ore: 16:09