GUAI A VOI, O RICCHI

LO SCANDALO DELLA RICCHEZZA E DELL’ INGIUSTIZIA SOCIALE TRA FEDE E POLITICA


a cura di Raffaello Saffioti

PASSI SCELTI DAL VANGELO E DALLE OPERE DEI PADRI DELLA CHIESA


PALMI (RC) – maggio 2012

A tutti coloro che hanno fame e sete

di giustizia.

LO SCANDALO DELLA RICCHEZZA E DELL’INGIUSTIZIA SOCIALE

TRA FEDE CRISTIANA E POLITICA

***

INTRODUZIONE

Se la Chiesa cattolica e i cristiani tornassero alle origini avremmo una rivoluzione sociale nonviolenta in un mondo globalizzato dominato dall’ingiustizia sociale, divenuta scandalosa e intollerabile. “L’ingiustizia grida verso il cielo” (Paolo VI).

Il Vangelo non può essere il codice della proprietà privata e la sua parola non può essere imprigionata.

“Vi sono, nella storia, dei ritorni che costituiscono delle rivoluzioni, come vi sono degli apparenti sviluppi di una rivoluzione iniziale che sono semplici ritorni a posizioni prerivoluzionarie”.

(Domenico Antonio Cardone, “Istanze di una democrazia religiosa”, in La filosofia nella storia civile del mondo, Roma, Ricerche Filosofiche, 1966, p. 92)

I testi qui raccolti non hanno bisogno di commento.

Sono semplicemente affidati alla riflessione del lettore.

Sono stati tratti, in buona parte, dal libro La collera dei poveri, di Gauthier-Mazzolari-Paoli, edito da Gribaudi nel 1967.

E’ significativo il titolo del libro che richiama la locuzione usata da Paolo VI nell’enciclica “Populorum progressio” del 1967 (n. 49).

La Chiesa cattolica e il Concilio Ecumenico Vaticano II

Quante speranze che la Chiesa cattolica si rinnovasse in senso evangelico quando fu aperto il Concilio Ecumenico Vaticano II cinquant’anni fa!

Il Concilio (1962-1965) fu certamente l’evento cristiano più importante del XX secolo e quest’anno si celebrerà il mezzo secolo dal suo inizio.

Un mese prima dell’inizio ufficiale, nel “Radiomessaggio ai fedeli di tutto il mondo”, l’11 settembre 1962, Papa Giovanni che parlò di “Una primavera della Chiesa”, tra l’altro disse:

“In faccia ai paesi sottosviluppati la Chiesa si presenta quale è e vuol essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri.

… le miserie della vita sociale che gridano vendetta al cospetto di Dio: tutto deve essere chiaramente richiamato e deplorato. Dovere di ogni uomo, dovere impellente del cristiano è di considerare il superfluo con la misura delle necessità altrui, e di ben vigilare perché l’amministrazione e la distribuzione dei beni creati venga posta a vantaggio di tutti.

Questa si chiama diffusione del senso sociale e comunitario che è immanente nel cristianesimo autentico; e tutto va affermato vigorosamente”.

L’istanza di Giovanni XXIII fu ripresa dal cardinale di Bologna, Giacomo Lercaro, in un forte discorso del 6 dicembre 1962. Ma non fu argomento decisivo del Concilio.

“Da tempo è in atto un dibattito sul senso da dare al Concilio, se si sia trattato di una vera e propria rottura rispetto al passato o se piuttosto sia da considerare un’ipotesi di riforma, ma in continuità rispetto al passato di quella chiesa. Inoltre, a cinque decenni di distanza, è lecito interrogarsi su quanto sia vivo e quanto sia morto, di esso; su quanto ne conoscano i giovani, e quanto essi ne percepiscano la portata, in ogni caso straordinaria” (Brunetto Salvarani, “Tra Gerusalemme II e Vaticano III, quaderno del mensile “Confronti”, n. 9, settembre 2011, p. 4).

Severo fu il giudizio di Aldo Capitini.

Capitini in Severità religiosa per il Concilio (De Donato, 1966) esaminò i sedici documenti del Concilio dal punto di vista della “religione aperta”. Vide i limiti, in particolare di alcuni documenti, considerati tra i più importanti, come la costituzione dogmatica Lumen gentium e la costituzione pastorale Gaudium et spes. E notò come la nonviolenza non fosse stata nominata né compresa dal Concilio.

“Il Concilio è stato un immenso lavoro, e il tanto che è stato elaborato ed enunciato poteva essere tralasciato o concentrato in poco, ma un contributo rinnovatore” (p. 135).

“Non capire l’importanza centrale della nonviolenza è proprio, per se stesso, significativo di appartenere al versante del passato e di non essere riusciti, pur con un imponente moto di persone e di mezzi, a salire alla cima per discendere l’altro versante sereno. Ma gli esseri sono più delle istituzioni; i cattolici, con nuovo fervore, cercano, incontrano, discutono, s’impegnano.

Severità religiosa per il Concilio;

rispetto per la Chiesa;

affetto per i cattolici” (p. 136).

Al termine del Concilio un gruppo di vescovi pubblicò una Dichiarazione che è inclusa tra i testi di questa raccolta col titolo “Profeti di una nuova cristianità” ed è un documento molto significativo che può essere letto come espressione dell’istanza profetica di Papa Giovanni e della parte più avanzata del Concilio.

E’ da ricordare che nel post-Concilio il tema biblico della ricchezza e della destinazione universale dei beni fu oggetto rilevante della riflessione di Giovanni Franzoni. Come Abate dell’Abbazia di S. Paolo fuori le Mura in Roma pubblicò la Lettera pastorale “La terra è di Dio” nel 1973, in occasione della preparazione del giubileo del ’75.

Riprese il tema, sviluppandolo, dopo il giubileo del 2000 con il libro Anche il cielo è di Dio. Il credito dei poveri, pubblicato dalle Edizioni dell’Università Popolare nel 2000.

Ma la sua più recente e aggiornata riflessione è nella relazione sul tema “L’eredità comune della conoscenza umana” svolta nel quadro del programma del CIPAX di Roma sulla tematica dei beni comuni divenuta sempre più attuale.

Disse in conclusione: “Occorre però sviluppare il versante laico, perché, quando diciamo ‘la terra è di Dio’, ‘lo spazio è di Dio’, ‘l’universo è di Dio’, ci viene fatto notare che mettiamo ‘sempre Dio di mezzo’. Bisogna esprimere lo stesso concetto in un linguaggio laico. Ed è possibile.

… Occorre smetterla di chiacchierare sui poveri, sulla miseria, sulle guerre che dividono il mondo e cominciare a lavorare sul serio: chi è credente perché al servizio del Creatore, chi è laico per la vita dell’umanità e di tutti gli altri esseri viventi” (“Adista documenti”, n. 10, 17 marzo 2012).

Alex Zanotelli, nel suo “Appello alle comunità cristiane” col titolo “La dittatura della finanza: abbiamo tradito il Vangelo?”, ha scritto:

“Un insegnamento, quello di Gesù, che, uno dei nostri migliori moralisti, don Enrico Chiavacci, nel suo volume Teologia morale e vita economica, riassume in due comandamenti, validi per ogni discepolo: ‘Cerca di non arricchirti’ e ‘Se hai, hai per condividere’.

… Noi cristiani d’Occidente dobbiamo chiederci cosa ne abbiamo fatto di questo insegnamento di Gesù in campo economico-finanziario. Forse ha ragione il gesuita p. John Haughey quando afferma: ‘Noi occidentali leggiamo il vangelo come se non avessimo soldi e usiamo i soldi come se non conoscessimo nulla del vangelo’. Dobbiamo ammettere che come chiese abbiamo tradito il Vangelo, dimenticando la radicalità dell’insegnamento di Gesù: parole come ‘Dio o Mammona’, o il comando al ricco: ‘Và, vendi quello che hai e dallo ai poveri’.

In un contesto storico come il nostro, dove Mammona è diventato il dio-mercato, le chiese, eredi di una parola forte di Gesù, devono iniziare a proclamarla senza paura e senza sconti nelle assemblee liturgiche come sulla pubblica piazza.

… Come Chiese, dobbiamo prima di tutto chiedere perdono per aver tradito il messaggio di Gesù in campo economico-finanziario, partecipando a questa bolla speculativa finanziaria (il grande Casinò mondiale).

Ma pentirsi non è sufficiente, dobbiamo cambiare rotta, sia a livello istituzionale che personale” (dal periodico online “il dialogo”, 23 marzo 2012).

E’ il caso di riportare una notizia recente di cronaca italiana. Da uno studio pubblicato negli Occasional papers della Banca d’Italia è emerso che i dieci italiani più ricchi possiedono quanto tre milioni di poveri. Sulla stampa quotidiana abbiamo letto che “la forbice tra ricchi e poveri si allarga sempre di più”. “Se dai patrimoni si passa ai redditi, il risultato non cambia. Gli squilibri sono in crescita”.

Per concludere, passiamo dalla cronaca alla teologia. Merita di essere segnalato il numero 5 del 2011 della rivista internazionale di teologia Concilium, col titolo Economia e religione.

Nella conclusione dell’articolo di Johan Verstraeten, Ripensare l’economia: una questione di amore o di giustizia?, leggiamo:

“… la chiesa non deve essere, in primo luogo, propagatrice di una dottrina sociale, ma deve partecipare all’azione per la giustizia e la trasformazione del mondo (oggi globalizzato). Ciò richiede sia la creazione di nuove forme di pratiche economiche fraterne sia cambiamenti istituzionali fondamentali” (p. 112).

Palmi, 1 maggio 2012

Raffaello Saffioti

Centro Gandhi

rsaffi@libero.it

GUAI A VOI, O RICCHI

I

Non vi ammassate tesori sulla terra, dove tignola e ruggine distruggono, e dove ladri sfondano e rubano; ammassatevi, invece, tesori in cielo; dove né tignola né ruggine distruggono, e dove i ladri non sfondano né rubano. Perché dov’è il tuo tesoro ivi sarà anche il cuore.

(Mt 6, 19-21)

II

Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina, fatevi borse che non invecchiano, un tesoro che non viene meno nei cieli, dove nessun ladro giunge né tignola consuma. Perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.

(Lc 12, 33-34)

III

Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione! Guai a voi, che adesso siete saziati, perché avrete fame. Guai a voi, che adesso ridete, perché sarete in lutto e piangerete.

(Lc 6, 24-25)

IV

Poi disse loro: “Badate a difendervi da ogni avidità, perché non dipende la vita di alcuno dall’abbondanza, dai beni che possiede”. Disse poi una parabola: “A un uomo ricco fruttò bene la campagna ed egli ragionava tra sé: “Che debbo fare che non ho dove depositare il mio raccolto?”. E disse: “Farò così: demolirò i miei granai e ne costruirò di più grandi, e vi raccoglierò tutto il frumento e i miei beni, e dirò all’anima mia: Anima mia, hai molti beni in serbo per molti anni; riposati, mangia, bevi e rallegrati”. Ma Dio gli disse: “Insensato, questa notte stessa ti sarà domandata l’anima tua; e a chi andrà ciò che hai messo in serbo?”. Così accade a chi fa tesoro per sé e non arricchisce dinanzi a Dio”.

(Lc 12, 15-21)

V

Vi era un uomo ricco, il quale vestiva di porpora e di bisso e ogni giorno banchettava splendidamente. Un povero, di nome Lazzaro, giaceva al portone di lui coperto di ulcere e bramoso di sfamarsi con ciò che cadeva dalla tavola del ricco: ma perfino i cani venivano a leccargli le ulcere. Or accadde che il mendico morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Nell’ade fra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro nel seno di lui. Allora gridò: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro ad intingere la punta di un dito nell’acqua per rinfrescarmi la lingua, perché spasimo in questa fiamma”. Ma Abramo gli disse: “Figlio, ricordati che tu hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro, similmente i mali; ora, invece, qui egli è consolato e tu spasimi”.

(Lc 16, 19-25)

VI

Ed ecco che si presentò a Gesù uno e gli disse: “Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?”. Gli rispose: “Perché m’interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Ma se tu vuoi entrare nella vita eterna, osserva i comandamenti”. Gli dice: “Quali?”. E Gesù: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non fare falsa testimonianza, onora il padre e la madre, ed anche ama il prossimo tuo come te stesso”. Gli dice il giovane: “Ho osservato tutto questo; che cosa mi manca ancora?”. Gli rispose Gesù: “Se vuoi essere perfetto, va’, prendi ciò che possiedi e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi”. Udendo queste parole, il giovane se ne andò rattristato perché aveva molti beni. Gesù allora disse ai suoi discepoli: “In verità vi dico: un ricco difficilmente entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello entri nella cruna di un ago che un ricco nel regno di Dio”.

(Mt 19, 16-25)

***

APPENDICE

Dall’Antico Testamento

I

Non ho posto la mia fiducia nell’oro

né ho detto all’argento: “Mia sicurezza”.

Non mi sono compiaciuto perché la mia ricchezza era grande

né perché la mia mano aveva accumulato molto.

(Giob 31, 24-25)

II

Non confidare nei tuoi beni

né dire: “La mia mano vale”.

(Eccli 5, 1)

III

Guai a voi, che aggiungete casa a casa

e unite campo a campo,

finché non vi resti più spazio

e voi restiate soli ad abitare

nel mezzo del paese.

Ho udito con le mie orecchie Javhè degli eserciti:

“Certo tanti palazzi

diverranno una desolazione,

grandi e belli

ma senza abitanti”.

(Is 5, 8-9)

***

DALLE LETTERE DI S. PAOLO

I

Niente portammo nel mondo, né possiamo portar via qualcosa. Se abbiamo vitto e vestito, sappiamo dunque accontentarci.

(1 Tim 6, 7-8)

II

Quelli invece che vogliono arricchire, cadono nella tentazione e nel tranello d’ogni genere di cupidigie insensate e deleterie, che immergono gli uomini nella rovina e nella disperazione. Radice infatti di tutti i mali è l’amor del denaro. Quanti, protesi verso di esso, si sono smarriti lontano dalla fede e si sono trafitti l’animo d’angosce senza numero!

(1 Tim 6, 9-10)

III

Non si pretende certo che vi riduciate in strettezze per alleviare gli altri, ma che, per principio di eguaglianza, ciò che nel momento attuale avete, in soprappiù serva a soccorrere l’indigenza degli altri, affinché a sua volta il soprappiù degli altri torni a vantaggio della vostra indigenza, e così si abbia l’eguaglianza.

(2 Cor 8, 13-14)

***

DALLE LETTERE CATTOLICHE

A voi, ora, o ricchi! Sfogatevi in pianto, ululando per le miserie che vi sovrastano. La vostra ricchezza è imputridita e i vostri capi di vestiario sono stati rosi dalle tarme. L’oro vostro e l’argento han preso la ruggine, ruggine che sarà testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come fuoco. Bei tesori ammassate per gli ultimi giorni!

Ecco, il salario degli operai mietitori dei vostri campi, quello che è stato da voi defraudato, grida, e le proteste dei mietitori sono penetrate nelle orecchie del Signore degli eserciti. Gozzovigliaste sulla terra e nuotaste nei piaceri, ingrassaste voi stessi per il giorno del macello. Condannaste, uccideste il giusto: egli non vi fa resistenza.

(Giac 5, 1-6)

***

PADRI DELLA CHIESA

I

S. AMBROGIO (339-397)

La generosità non conta niente se permane l’ingiustizia.

Ricordati che tu non dai del tuo al povero, ma gli restituisci soltanto ciò che gli è dovuto. Tu infatti usurpi ciò che Iddio ha dato affinché servisse a tutti. La terra è di tutti, non solo dei ricchi; invece, purtroppo, sono molto meno coloro che non ne possono usare che quelli che possono goderne. Con l’elemosina, quindi, restituisci ciò che devi restituire, non elargisci del tuo. Perciò ti dice la Scrittura: “Presta al povero senza fastidio l’orecchio, e soddisfa al tuo debito, rispondigli amichevolmente con mansuetudine” (Eccl 4, 8).

I beni della terra sono stati dati da Dio a tutti per uso comune.

Abbiamo perduto i beni comuni pretendendo per noi delle proprietà. Niente infatti può esserci che appartenga a qualcuno, dove niente è durevole; e non si può parlare di provviste sicure, dove incerta è la sorte. Perché consideri tue le ricchezze, quando Dio ha voluto per te che il vitto stesso fosse comune con gli altri animali?

***

Fino a che punto, o ricchi, vorrete estendere le vostre folli bramosie? Credete forse di essere i soli ad abitare la terra? Perché disprezzate il povero?

Il mondo è stato creato per tutti: per i ricchi e per i poveri. La natura non fa distinzioni, perché ci genera tutti poveri. Noi non nasciamo col vestito, né con l’argento e l’oro. Nudi nasciamo, bisognosi di cibo e di vestito; e nudi ci riceverà la terra. Al povero, come al ricco, basta per sepoltura l’angolo d’un campo; e la terra, troppo piccola per i desideri del ricco quand’è vivo, l’ingoia tutto intero quando è morto.

Come è possibile distinguere tra i morti, ricchi e poveri? Scavate la terra e fatemi vedere il ricco …

I ricchi mangiano il pane degli altri piuttosto che il proprio, abituati come sono a vivere di rapina e a sostenere le proprie spese con le frodi.

(La storia di Nabot di Jezrael)

***

Che credi di essere perché, mentre sei a questo mondo, abbondi di tutto? Non sai quanto sei povero, o ricco, quanto misero ti mostri tu, che ti dici ricco! Quanto più hai, tanto più desideri: benché abbia accumulato immense ricchezze, ti manca sempre qualche cosa. L’avarizia non si placa col guadagno, ma si infiamma sempre di più. Questo vizio è come una scala: quanto più sale, tanto più ci invita a salire più alto, perché sia più rovinosa la caduta.

***

Vi insuperbiscono i vostri immensi palazzi; vi dovrebbero invece fare arrossire, perché mentre potrebbero dare alloggio a folle intere, voi ne escludete i poveri. Anzi vi impediscono di udirne perfino la voce supplichevole; vero è che se anche l’udiste, non l’ascoltereste. Nel costruire i vostri palazzi vorreste superare voi stessi, e non siete mai tranquilli perché mai vi accontentate. Vergognatevi! Ricoprite le pareti e spogliate gli uomini!

Davanti alla porta della tua casa, grida chi non ha le vesti per ricoprirsi e tu lo disprezzi; implora l’ignudo e tu invece ti chiedi con quali marmi preziosi tu possa ricoprire i tuoi pavimenti. Il povero ti chiede un po’ di denaro e non l’ottiene; ti domanda un pezzo di pane e il tuo cavallo è trattato meglio di lui. Ti dilettano gli stucchi preziosi, mentre gli altri non hanno da mangiare. Quale giudizio, o ricco, attiri sul tuo capo! Il popolo ha fame e tu rinchiudi i granai; il popolo implora e tu abbondi di pietre preziose. Disgraziato, nelle tue mani stanno le sorti di numerose persone: potresti salvarle dalla morte e non ne hai la volontà. Solo con la gemma dell’anello che porti al dito potresti salvare un’infinità di vite umane.

***

Il Signore Dio nostro volle che questa terra fosse possesso comune di tutti gli uomini e che i frutti servissero a tutti, ma è l’avarizia che ha dato origine alla ripartizione delle proprietà. E’ giusto perciò che, se rivendichi qualche cosa per te come privata di ciò che è stato dato in comune al genere umano e persino a tutti gli animali, almeno tu ne distribuisca qualcosa ai poveri: sono partecipi del tuo diritto, non negare loro gli alimenti.

(Expositio in Psalmum 118, 8, 22)

II

S. BASILIO MAGNO, Vescovo di Cesarea (330-379)

Che cosa risponderai a Dio, tu che vesti i muri e non vesti il tuo simile? Tu che orni il tuo cavallo e non hai uno sguardo per il tuo fratello in miseria? Tu che lasci marcire il tuo grano e non nutri chi ha fame? Tu che nascondi il tuo oro e non vieni in aiuto all’oppresso? …

A chi ho fatto torto, tu dici, conservando ciò che è mio? Dimmi sinceramente, che cosa ti appartiene? Da chi hai ricevuto ciò che hai? Se ciascuno si accontentasse del necessario, e donasse ai poveri il superfluo, non vi sarebbero né ricchi né poveri.

Se uno spoglia chi è vestito, si chiama ladro. E chi non veste l’ignudo, quando può farlo, merita forse altro nome?

Il pane che tieni per te è dell’affamato, il mantello che custodisci nel guardaroba è dell’ignudo, le scarpe che marciscono in casa tua sono dello scalzo, l’argento che conservi sotterra è del bisognoso.

(dalle Omelie e da Il ricco insensato)

***

Certo qui per ladri non si devono intendere i tagliaborse, oppure quelli che portano via le vesti nei bagni; ma, per esempio, chi, divenuto capo d’un esercito, o principe di una città, o sovrano d’un popolo, tira a sé sotto sotto, o anche ruba pubblicamente a man salva. Così chi, ritenuto capo d’una Chiesa, ricevesse valori da simili individui, per suo uso privato, o con il pretesto d’un onore a lui dovuto per la sua dignità, o con la scusa dell’elemosina per i poveri della sua Chiesa, diventerebbe complice di ladroneria. Invece di rimproverare i ladri, di ammonirli, di distoglierli dalle ingiustizie, porge facilmente la mano al dono, e invidia coloro che tanto più dovrebbe aborrire quanto maggiori sono le loro furfanterie.

Anzi li lusinga, scodinzolando loro intorno, passeggiando con loro, frequentandone i palazzi e stringendo quelle mani che compiono tutti quei latrocini e in pubblico e in privato. Davvero che, operando in tal modo, veniamo chiamati manutengoli di ladri! E veramente bisognerebbe che noi ci mettessimo sotto i piedi le prepotenze di tutto il mondo e tutte le sue pompe e fasti. E invece, quando vediamo che ai tribunali vengono condannati i ladri piccoli dai ladri grossi, proviamo grande antipatia per quei poveracci a causa dei loro piccoli furti, e grande ammirazione per gli altri! Gli uni li sfuggiamo perché sono ladri; gli altri li ammiriamo, a bocca aperta, perché ammucchiano tesori rubando!

(dal Commento al profeta Isaia)

***

Occupano per primi i beni comuni e, per averli occupati per primi, li fanno propri. Ma se ciascuno prendesse solo ciò che è richiesto per suo uso e lasciasse il resto (ciò che è superfluo) a chi è nel bisogno, nessuno sarebbe ricco, nessuno povero.

(Homilia VI in Illud Lucae: Destruam, 7, PG 31, 275-278)

Non sei forse uno spogliatore tu che dei beni di cui hai ricevuto la gestione fai il tuo proprio? … All’affamato appartiene il pane che tu conservi, all’uomo nudo il mantello che tieni nel baule, a chi va scalzo le scarpe che marciscono a casa tua, al bisognoso il denaro che tu tieni nascosto. Così tu commetti tante ingiustizie quanta è la gente cui potevi donare.

(Ib.)

***

Se era vero quel che hai affermato, che tu fin dalla giovinezza hai amato i comandamenti e (perciò) hai dato a ciascuno quanto hai preso per te stesso, da dove ti viene, scusa, questa massa di ricchezza?

(Homilia in divites, PG 31, 282)

III

CLEMENTE DI ALESSANDRIA (150?-215?)

Dio fece tutte le cose per tutti; dunque tutte le cose sono comuni.

Dio ci diede solo l’uso delle cose.

E’ ingiusto, quindi, che uno viva lussuosamente, mentre i più sono poveri.

E’ meglio aiutare i poveri che avere una casa ricca! E’ più saggio spendere per gli uomini che per le pietre! E’ più utile avere amici ornati che ornamenti senz’anima!

E’ ridicolo e rivoltante che i ricchi usino vasi e piatti d’oro e d’argento, e che certe matrone si faccian fare d’oro perfino i vasi per gli escrementi di modo che alle ricche non è possibile nemmeno evacuare senza fasto! Io vorrei che veramente durante tutta la vita stimassero l’oro degno di escrementi …

Non è ricco chi ha, ma chi dà: è il dare e non l’avere che fa l’uomo felice.

(Il Pedagogo)

***

La ricchezza mi sembra simile a una serpe: se uno non la prende di lontano, per la coda, gli si attaccherà alla mano e lo morderà.

IV

SAN GREGORIO DI NISSA (335-394)

Tu sei uomo, ama dunque i tuoi fratelli, non il denaro.

Chi ha troppo non è fratello, ma ladro.

Che importa che il ricco faccia un po’ di elemosina: quel denaro costa le lacrime di cento poveri …

(dalle Omelie

V

SAN GIOVANNI CRISOSTOMO (347 – 407)

Ammettiamo anche che il padre non abbia rapinato e che l’oro gli sia spuntato da solo dalla terra. Che vuol dire? Forse per questo le ricchezze sono buone? Per niente. Dirai che non sono neanche cattive. Non sono cattive se non sono frutto di rapina e se ne fai partecipi i poveri … Non è forse male possedere da solo i beni del Signore, godere da solo i frutti dei beni comuni? Se dunque sono nostre le cose che sono del comune Signore, sono anche di quelli che, come noi, sono suoi servi: infatti le cose del Signore sono (beni) comuni.

(In Ep. I ad Tim. Hom. 12, 4, PG 62)

***

PROFETI DELLA NUOVA CRISTIANITA’

DICHIARAZIONE DI UN GRUPPO DI VESCOVI AL TERMINE DEL CONCILIO

Noi vescovi, illuminati sulle deficienze della nostra vita di povertà secondo il Vangelo, incoraggiati gli uni dagli altri a compiere un passo in cui ciascuno di noi vorrebbe evitare la singolarità e la presunzione (…), nell’umiltà e nella coscienza della nostra debolezza, ma anche con la determinazione e la forza di cui Dio ci fa grazia, ci impegniamo a quanto segue:

  • Ci sforzeremo di vivere secondo la condizione ordinaria di vita del nostro popolo, per quanto concerne l’abitazione, il cibo, i mezzi di trasporto e quanto vi è connesso.

  • Rinunciamo per sempre all’apparenza e alla sostanza della ricchezza, specialmente negli abiti (stoffe ricche, colori appariscenti, insegne in materia preziosa).

  • Non possederemo né mobili né immobili, né conti in banca, ecc., intestati a nostro nome; e se è necessario possedere, intesteremo tutto alla diocesi o alle opere sociali o caritative.

  • Affideremo, non appena sarà possibile, la gestione finanziaria e materiale della nostra diocesi a un comitato di laici competenti e coscienti del loro ruolo apostolico, per essere meno amministratori e più pastori e apostoli.

  • Rifiuteremo d’essere chiamati a voce o in iscritto con nomi o titoli espressivi di grandezza e di potenza (ad esempio eminenza, eccellenza, monsignore). Preferiremo esser chiamati con il nome evangelico di padre.

  • Eviteremo nel nostro comportamento e nelle nostre relazioni sociali tutto ciò che può dare privilegi, precedenze, o anche soltanto una qualsiasi preferenza, ai ricchi e ai potenti (per esempio: banchetti offerti o accettati, classi nei servizi religiosi).

  • Del pari eviteremo di incoraggiare o di accarezzare la vanità di chicchesia allo scopo di ricompensare o di sollecitare doni, o per qualsiasi altro motivo. Inviteremo i nostri fedeli a considerare i loro doni come una partecipazione normale di culto all’apostolato e all’azione sociale.

  • Daremo tutto quanto il tempo che sarà necessario al servizio apostolico e pastorale delle persone e dei gruppi operai ed economicamente deboli o meno sviluppati, senza che questo debba nuocere alle altre persone o gruppi delle diocesi. Sosterremo i laici religiosi, i diaconi o i sacerdoti che il Signore chiama ad evangelizzare i poveri e gli operai per mezzo della partecipazione alla vita operaia e al lavoro.

  • Consci delle esigenze della giustizia e della carità, così come delle reciproche interdipendenze di tali virtù, cercheremo di trasformare le opere di beneficenza in opere sociali, fondate sulla carità e la giustizia, attente a tutti e a tutte le esigenze, in umile servizio agli organismi pubblici competenti.

  • Metteremo tutto in opera perché i responsabili del nostro governo e dei servizi pubblici decidano e diano applicazione alle leggi, alle strutture e alle istituzioni sociali necessarie alla giustizia, all’uguaglianza e allo sviluppo armonico e totale di tutto l’uomo presso tutti gli uomini, e così giungere ad un nuovo ordine sociale, degno dei figli dell’uomo e dei figli di Dio.

  • Ci impegniamo a dividere nella carità pastorale la nostra vita con i nostri fratelli in Cristo sacerdoti, religiosi e laici, a fine che il nostro ministero sia un vero servizio. Così ci sforzeremo di fare la nostra “revisione di vita” insieme a loro.

  • Susciteremo dei collaboratori per essere più degni animatori secondo lo Spirito che non capi secondo il mondo. Cercheremo di essere più umanamente presenti e accoglienti; ci mostreremo aperti a tutti, qualunque sia la loro religione.

  • Ritornati in diocesi, faremo conoscere ai nostri diocesani la nostra risoluzione, pregandoli di aiutarci con la loro comprensione, il loro aiuto, le loro preghiere.

(da Gauthier Mazzolari Paoli, La collera dei poveri, Torino, Gribaudi, 1967, pp. 121-123)

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Marted́ 01 Maggio,2012 Ore: 18:24