Figlio del Padre che sta nei cieli

di p. Aldo Bergamaschi

27 dicembre 2015
 
Pronunciata il 31 dicembre 2000
Luca 2, 41-52

Vi faccio subito notare come in questo testo già appare quella forma di incomprensione che esiste fra i tre personaggi. Dirò una eresia, ma il presentare questa famiglia come modello mi sembra un po’ eccessivo, se non entrano nel ruolo dei personaggi. Si dice: ecco il modello, modello strano. Voglio dirvi anche questa: voi vedete che nella predicazione noi diciamo che bisogna imitare la Sacra Famiglia. Attualmente disapproviamo gli sposi che si limitano ad avere un figlio o due. Dico a questi teologi: Non siete voi a proporre la Sacra Famiglia come esempio? Allora le famiglie in ordine con questa sono le famiglie che hanno un figlio solo, a consolazione di quelli che ne hanno uno o due al massimo.
Il caso è troppo singolare e particolare per essere preso come esempio. Come esempio vanno presi i singoli personaggi. Oggi è la festa della famiglia, è una sofferenza la mia e ne parlo malvolentieri. Giuseppe e Maria cercano Gesù per tre giorni e finalmente lo trovano - non in un locale notturno - nel tempio: ecco la risposta ai giovani che sono in conflitto con la famiglia. Anche Gesù dichiara la famiglia un limite; necessaria, ma non sufficiente.
La battuta più compromettente la troviamo quando la Madonna e S. Giuseppe lo rintracciano. Alla Madonna scappa detto: “Ecco, tuo padre e io, angosciati ti cercavamo”. Come, tuo padre e io? Giuseppe non è suo padre, scusiamola, avrebbe dovuto dire: Tuo padre putativo, tuo padre secondo l’opinione comune. Ecco la risposta di Gesù: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” Come dire che il padre suo non è Giuseppe, ma il Padre che sta nei cieli; questa è la piccola esegesi.
Ci vuol del coraggio a dodici anni ad affrontare il fior fiore dell’intelletto della sinagoga. Il testo dice che i dottori rimanevano stupiti nell’ascoltarlo e lo interrogavano.
Gesù dichiara la sua libertà, il superamento della famiglia: è vero che nel regno dei cieli non si ricostituiranno né le famiglie né gli Stati, questo è bene che ce lo diciamo subito. C’è un’autonomia di cui i genitori debbono essere gelosi e rispettarla. Il figlio non è tuo. Nel Diario di Anna Frank a un certo punto la ragazzina scrive queste parole: “Non mi piace che mio padre mi ami perché io sono la sua bambina, (anche lei 12-15 anni) io vorrei che mio padre mi amasse perché sono io Anna”. Vogliamo tradurre? Io non vorrei che mio padre mi amasse perché mi ha generato secondo la carne, ma perché io sono Anna, un’anima creata da Dio. Mi sembrano parole degne di stare vicino a quelle di Gesù: entrambi più o meno hanno la stessa età. Questo nel Diario di Anna Frank.
Affrontiamo il problema della famiglia. Non è il caso che vi dica come sia in una gravissima condizione, perché ho l’impressione che la cosiddetta famiglia cristiana non sia mai esistita e che in tutto il mondo riemerga quello che io chiamerò il movimento freudiano dei nostri rapporti. Rapporto uomo-donna, non l’abbiamo chiarito ancora per nulla, le religioni che ci stanno attorno l’hanno chiarito peggio di noi, devo dirlo con molta chiarezza. Parlavo con un musulmano e si lamentava perché era qui con cinque figli, ma chi ti ha detto di avere cinque figli? Maometto? Ma quelli che gestiscono la religione di Maometto te li mantengono poi i figli? - É la stessa accusa che noi facciamo qui. La Chiesa ci dice: figli figli, ma chi li mantiene, tu? - Alla fine egli poi mi dice di non credere più al musulmanesimo, in ogni modo siamo sempre alle prese con i rapporti tra l’uomo e la donna.
Oggi vi dirò come Platone aveva tentato di chiarire questo problema, non scandalizzatevi, cercherò di tenere il linguaggio dello stesso Platone. I greci, meglio degli ebrei e di tutte le altre religioni, avevano messo ordine nel rapporto tra l’uomo e la donna. Il principio era questo: in Grecia, Aristotele lo dice chiaramente, un greco non può essere vittima di Afrodite, vittime di Afrodite sono i barbari, ma noi i barbari ce li mangiamo come le mosche.
Alessandro Magno aveva chiara l’idea che i greci avevano una marcia in più rispetto agli altri uomini e per questo motivo di essere rispettosi del rapporto uomo-donna. Tant’é che Alessandro non approfittò mai delle mogli dei re vinti, come accade in genere storicamente. E questo è vero anche per Roma da parte dei più fedeli, per esempio Scipione aveva fatto una predica a Massinissa che, come primo bottino di guerra, aveva preso la moglie di un capo di una tribù. Scipione: “Attenzione perché la dignità dell’uomo, la dignità del romano è quella di rispettare le donne”, ecco da dove nasce una certa concezione cristiana. S. Agostino poi farà la celebrazione della prima Roma esattamente per questi costumi, per la correttezza dei costumi almeno a livello ufficiale. I greci quando arrivavano a sei anni, subito dividevano i bambini dalle bambine (io ho visto ancora delle chiese in Lombardia che, fino al secolo scorso tenevano divisi gli uomini dalle donne, cosa che dal punto di vista cristiano paga dazio).
Poi ognuno veniva educato secondo la propria natura e, quando era arrivato il momento di unirsi, c’erano gli stratagemmi per cui gli educatori, se due si piacevano, soltanto guardandosi attraverso le fessure dei giochi ginnici e avevano modo si scegliersi, si mettevano d’accordo. Questo perché solo il matrimonio monogamico nella concezione greca era in grado di trasmettere delle personalità equilibrate e questa era la struttura.
Adesso vi dico la parte negativa a cui Platone - uno che ha tentato di risolvere i problemi con la sola ragione - ha provato a mettere rimedio. Demostene dirà che il greco è colui che ha la moglie per la cura della casa e dei bambini, e dunque quel luogo è sacro, però poi ci sono le etere per accondiscendere dal punto di vista intellettuale (magari uno ha sposato una donna con la quale non ci può essere un dialogo, perché non è all’altezza ed ecco le etere con cui appunto si fa una conversazione che dia soddisfazione), poi per l’accondiscendenza dei sensi… Anche i greci non erano per la “produzione a coniglio”, erano per il rispetto della donna, i greci erano del parere che il matrimonio si dovesse fare il più tardi possibile, mentre i romani no; le due civiltà ragionavano con dei criteri diversi.
I greci dicevano: “É bene che la donna abbia il bambino nella maturità, sui venticinque anni e l’uomo sui trent’anni quando è nel massimo della esplosione umana”. Sposandosi a trent’anni e la donna anche a ventotto, per quanto si vogliano avere figli… e anche ci voleva una disciplina, tanto che Platone sosteneva che gli accoppiamenti dovevano essere regolati dai rettori della polis. Vedete che anche il limite era schematizzato mentalmente. Platone affronta il problema e non è giusto quello che si dice, cioè che egli voleva la comunanza delle donne per i reggitori della polis: questa è l’accusa che gli fa Aristotele, ma Aristotele, secondo me, non ha capito bene a fondo e dice: “La comunanza delle donne io la darei piuttosto alla plebe, agli ignoranti, perché così, litigando fra di loro, non penseranno mai a fare delle rivolte”. Dal modo con cui Aristotele censura la posizione di Platone si vede che non aveva capito bene. Ve lo dico io in breve: il matrimonio è una cosa seria, perché assicura la continuità della polis, ma quei bambini devono essere il meglio che la natura umana può produrre.
Oggi noi diciamo: consultorio matrimoniale, attenzione alla questione dell’handicap, in Grecia si diceva: attenzione ai buoni matrimoni, questi matrimoni non debbono essere fatti così alla “carlona”, debbono essere controllati come si deve dall’autorità della polis. Poi, devono ricordarsi gli sposi che la loro unione è in funzione della procreazione, quindi via quello che noi chiamiamo i piaceri personali. Abbiamo visto Anna Frank: gradirei che papà mi amasse perché sono io Anna e non perché sono la sua bambina, ecco e questo Platone l’aveva capito. Allora per tutto il periodo in cui la donna è fertile, la fedeltà deve essere assoluta. Ecco la cosa che non vi ho mai detto e che gli autori non vi dicono, Platone vede anche lui la miseria della natura umana, solo che tenta di razionalizzarla. Quando arriva la menopausa Platone dice: ho capito, ognuno ami chi vuole. Signore donne quante di voi sono in queste condizioni? È uno dei drammi in cui non voglio scavare a fondo. Degli uomini non parliamone, io trovo in confessionale molte persone per cui, nonostante il matrimonio, ogni affetto è finito e da qui ho capito perché Platone prima è rigido nell’osservare i finalismi e dopo, ognuno accontenti il suo cuore e si accoppi con chi vuole.
Dovevo dirvi come la ragione umana ha cercato di razionalizzare questo rapporto tra l’uomo e la donna. Ma io parlo a dei cristiani o a creduti tali, ecco recuperato tutto quello che vi ho detto nel testo evangelico.



Domenica 27 Dicembre,2015 Ore: 11:48