Le omelie di padre Aldo Bergamaschi
6 dicembre 2009

Pronunciata il 7 dicembre 2003
Vangelo: Luca (3,1-6)
 
     Nell'anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturèa e della Traconitide, e Lisania tetrarca dell'Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Ed egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: “Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri. Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!”.
 
     Vi faccio notare che questa “inquadratura” del personaggio - S. Giovanni Battista - dal punto vista storico è molto storiografica, cioè vi è una polemica sottesa: “Nell’anno decimo quinto dell’impero di Tiberio ecc…” tutti questi personaggi che hanno in mano il comando della situazione, direi con ironia (ecco la squadra dei burattini che sono sulla scena della storia) ebbene la storia non la fanno loro: è la parola di Dio che scende in Giovanni che è ai margini. Per quanto ci riguarda bisogna distinguere la parola di Dio, scesa su Giovanni, dalla parola di Dio fatta carne. Gesù Cristo, il Verbo incarnato, è già presente e ha trent’anni, mentre si dice che la parola di Dio scende su Giovanni, e ciò è in polemica con tutta la situazione che sta attorno: governatori, tetrarchi, sacerdoti ecc. Questa è una piccola inquadratura per coloro che avessero difficoltà a capire la diversità che esiste tra la predicazione di Giovanni Battista e quella di Gesù.
     Tutti ammettiamo che l’egoismo è alla radice di ogni malessere sociale, una lamentela che fanno anche le persone più semplici. Gli ideologhi francesi del 700, sostengono che dal punto di vista della politica, la condotta per es. delle donne galanti dell’epoca, è biasimevole per certi aspetti, ma utile al pubblico. Bisogna costruire una formula, che mi pare di avervi già citato, cioè: vizi privati-pubblici benefici. Tocco questo tema perché ho l’impressione di essere in un clima culturale in cui si sostenga esattamente questo principio. Vi cito Helvetius (1715-1771), uno di questi ideologhi il quale dice: “Queste donne, che fanno lusso, fanno delle loro ricchezze un uso di solito vantaggioso allo Stato, più di quanto non facciano le donne sagge e oneste. Il desiderio di piacere che porta la donna dal nastraio (simbolo della vanità femminile), dal mercante di stoffe, oppure di moda; non solo strappano molti operai dalla miseria, ma ispirano anche atti di illimitata carità. Se supponiamo che il lusso sia utile a una nazione, le donne eleganti, non solo alimentano l’industria degli artigiani del lusso, si rendono di giorno in giorno più utili allo Stato. Le donne sagge e oneste, invece sono prodighe con i mendicanti”.
    Qui chiederei: chi li crea i mendicanti, o i delinquenti. Quelle donne che si occupano dei carcerati, sono meno bene consigliate dai loro buoni istinti, che non le donne frivole dal desiderio di piacere. Queste donne frivole aiutano i cittadini utili: le sagge invece aiutano uomini inutili o pericolosi alla nazione? 
    Manzoni fa una sola domanda: Hlvetius, quelle donne che tu hai celebrato e che danno lavoro per fare i loro nastrini, pellicce ecc., da chi li prendono i capitali?. Questa è la domanda che affloscia tutta questa impostazione di Hlvetius. Li prendono da un esercito di schiavi. Bisogna incominciare la riforma dei costumi, dalla riforma delle leggi. Ci siamo in pieno, si vede coma và la riforma delle leggi, dove si dà spazio all’egoismo di quelli che possiedono e si cerca di togliere loro la macchia di essere degli imbroglioni.
 Il Vangelo comincia ancora più a monte, oltre le leggi, oltre i costumi, c’è la mente dell’uomo, il cervello, che è aldilà delle leggi ed è aldilà anche dei costumi, ed è il punto ultimo di tutte queste cose.  Il primo appello siglato nel Vangelo che abbiamo letto è un appello alla penitenza, questa parola non deve allarmarvi troppo, nel testo si dice che andava predicando un battesimo di conversione. Questa penitenza è intesa come conversione o come trasformazione del modo abituale del pensiero umano.
É più facile flagellarsi che rinunciare al proprio modo di pensare. Qualcuno per evitare la conversione della mente, ha spostato l’epicentro sulla falsa conversione della penitenza intesa come mortificazione esteriore. Vediamo in tutte le apparizioni, la Madonna chiede preghiere, penitenze, digiuni e se ciò non è capito a dovere, rischiamo di portare l’accento sulla validità di queste pratiche esteriori. Certo, colui che si converte sarà anche capace di rinunciare a tante cose superflue, ma la penitenza esteriore presa per se stessa, non ha molto valore e rischia di ingannare chi la pratica e non solo.
Vi porto ora un esempio della vita di S. Francesco poco noto. Qualcuno ha criticato le penitenze fatte da S. Francesco, il quale è morto a quarantaquattro anni distrutto dalla dedizione radicale alla causa. Anche Baudelaire è morto a quarantaquattro anni, ma distrutto dalla droga e dall’alcol. Poi, non è vero che S. Francesco abbia insegnato ai suoi frati il valore di questa penitenza esterna o fisica. Ecco l’episodio: Si trovano, con la sua rivoluzione ad Assisi, cinquemila frati venuti un po’ da tutta l’Europa per il famoso capitolo “delle stuoie”. Francesco li saluta tutti, ma si accorge che una minoranza aveva inteso la conversione come una penitenza in senso fisico, compresi i giovani. Avevano sotto l’abito, cito dal testo: cerchi di ferro, da braccio e da ventre, dei cilici. Ciò turbò S. Francesco poiché costoro non avevano capito nulla. La penitenza non deve essere intesa in senso fisico, ma come una costante disciplina della mente che rende disponibile a tutte le donazioni. Ecco perché è morto a quarantaquattro anni.
S. Francesco sulla fine della vita chiede perdono al suo corpo “fratello asino”, è un asino il corpo però è fratello e chiede scusa se qualche volta lo ha forzato. Andava sempre a piedi, mangiava su due piedi, ma non ha mai predicato la penitenza nel senso di cui vi ho parlato. Francesco dà ordine – certo dà ordine quando si toccano i punti vitali della sua rivoluzione – di deporre tutti questi strumenti (lo potete vedere nei fioretti) che formano un grande ponticello e di lasciarli nel più assoluto abbandono. Il rinnovamento deve partire dalla mente e non da pratiche distruttive della persona.
La predicazione rivolta al cambiamento della mente, non è concepibile se non rivolta all’interno di una teologia che ricorda all’uomo una caduta primordiale, che può e deve essere ricomposta. Se l’uomo, così come è fosse perfetto, sarebbe assurdo invitarlo alla metanoia, cioè alla conversione. Spesso alla TV si vedono psicologi che danno consigli, ma ogni psicologia o pedagogia che si fonda sul presupposto che tutte le forze istintive e mentali siano valide e insindacabili è sospetta, perché toglie all’uomo la capacità o la possibilità o anche la volontà, di riformarsi e di diventare un’altra creatura.
Come ho già detto, tutti ammettiamo che l’egoismo è alla radice del nostro malessere, però – questo lo devo dire per rimprovero a me e a voi – nessuno riesce a vedere quale e quanto sia il peso del proprio egoismo nella società in cui vive. Questo è un tormento per me, ogni giorno esamino le mie azioni per capire se sono egoista e se vado a pesare alla società.
Capisco la pedagogia del Battista: “Raddrizzate i sentieri del Signore…”, questo sarebbe il fine da raggiungere, ma per rendersi disponibili non v’è che un mezzo: confessare di avere peccato, per diventare buoni bisogna riconoscere di essere cattivi, poi lasciarsi dare un colpo in testa, se vogliamo vedere la realtà dal giusto punto di vista. Ecco un episodio sempre nel mondo della cultura: un signore che si chiama Cornelio Anapide – voglio illustrarvi il concetto del colpo in testa – che da giovane era un po’ tonto, un giorno camminava sotto le grondaie e gli cade in testa una tegola. Questa botta gli aveva toccato qualche rotellina nel cervello ed era diventato un genio. Ecco perché lo chiamano Cornelio Anapide. Bisogna che noi ci lasciamo dare un colpo in testa dalla conversione. Gesù non dirà soltanto convertitevi, ma convertitevi al Vangelo.


Sabato 05 Dicembre,2009 Ore: 08:24