PAPA FRANCESCO IL VANGELO E GANDHI

NOVITA’ DEL MESSAGGIO PER LA CINQUANTESIMA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE (1 GENNAIO 2017)


di Raffaello Saffioti

La verità e la nonviolenza sono antiche come le montagne.
GANDHI
IL MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO
LA NONVIOLENZA: STILE DI UNA POLITICA PER LA PACE”
Papa Francesco col Messaggio per la Cinquantesima Giornata Mondiale della Pace porge gli auguri di pace “ai popoli e alle nazioni del mondo, ai Capi di Stato e di Governo, nonché ai responsabili delle comunità religiose e delle varie espressioni della società civile”. Il Messaggio che ha il titolo “La nonviolenza: stile di una politica per la pace”, è un documento senza precedenti ed ha un valore storico, perché la parola “nonviolenza” entra per la prima volta in un documento ufficiale del magistero della Chiesa cattolica e, anche per questo, merita la più ampia diffusione.
Il Messaggio è un grande passo avanti, se non una svolta, negli atti di Papa Francesco sul tema della pace, uno dei temi dominanti del suo pontificato. Qualifica ulteriormente il suo progetto di riforma della Chiesa ed ha, anche, un valore programmatico.
Per comprendere il senso e la portata del Messaggio, c’è bisogno di percorrere il lungo e difficile cammino dell’idea della nonviolenza nella Chiesa Cattolica, cercando le tracce di quanto si è mosso, anche sotterraneamente, tra la sua base e il suo vertice, senza separare quelle tracce dai movimenti sorti nel mondo.
Una guida può essere quella data dal Concilio con la costituzione pastorale “Gaudium et spes” (1965), sui rapporti tra la Chiesa e il mondo contemporaneo, oltre che dall’enciclica “Pacem in terris”, di Giovanni XXIII (1963).
Il Messaggio apre ampie prospettive alla teoria e alla pratica della nonviolenza all’interno della Chiesa.
Come non ricordare il Mahatma Gandhi?
GANDHI è ormai considerato il padre fondatore della nonviolenza contemporanea. Ora è il caso di ricordare che nel lontano 1931 Gandhi, di ritorno in India da Londra, si fermò a Roma e fece domanda per essere ricevuto dal Papa Pio XI. Era un’occasione unica per un incontro fra il Capo della Chiesa di Roma e il fondatore del movimento nonviolento. Ma la domanda non venne accolta e l’occasione si perse.
Giancarlo Zizola scrisse:
“Gandhi aveva incontrato da tempo la figura di Gesù. Sulla parete di fango della sua capanna era appesa una stampa in bianco e nero con la figura di Cristo e la scritta: «Egli è la nostra pace». Leggendo il Nuovo Testamento egli era stato rapito dal Sermone della Montagna: «E’ il Sermone che mi ha fatto amare Gesù. Leggendo tutta la storia della sua vita in questa luce, mi sembra che il cristianesimo resti ancora da realizzare. Fintanto che non avremo sradicato la violenza dalla nostra civilizzazione, il Cristo non sarà ancora nato. E’ il Sermone della Montagna che mi ha rivelato il valore della resistenza passiva. Io fui colmo di gioia leggendo: ‘Amate i vostri nemici, pregate per coloro che vi perseguitano’».
… Se non può vedere il papa, almeno riesce a visitare coi segretari i Musei Vaticani, fuori orario, per uno strappo concessogli in segno di cortesia. Mahadev Desai, uno del seguito, riferirà che ad attirare specialmente Gandhi non sono i tesori d’arte, ma il grande Crocifisso del XV secolo che sovrasta l’altare della Cappella Sistina. (…) Per molti minuti Gandhi rimane a contemplare il grande Crocifisso, gli si avvicina, lo osserva da sinistra, poi da destra, quindi da dietro, sempre più rapito e commosso; torna sui propri passi, gli gira intorno più volte, come per eseguire il rito indiano della circumambulazione di un oggetto di culto: « Non si può fare a meno di commuoversi fino alle lacrime» è il suo commento immediato. Tornerà più volte a ricordare la commozione provata allora, fino al pianto, di fronte alla rappresentazione di un Uomo che aveva saputo morire sulla croce per la salvezza dell’umanità.
I biografi di Gandhi, sia in Europa che in Asia, concordano nell’affermare che il soggiorno a Roma lo fece diventare ancora più critico verso l’Occidente e ancora più convinto che non v’era altra soluzione per combattere i regimi totalitari al di fuori della nonviolenza. Egli considerava il fascismo, la guerra, i delitti e la corruzione come altrettante dimostrazioni del trionfo della violenza occidentale sulla morale cristiana e sentiva pertanto che la violenza non poteva curare i mali che essa stessa aveva procurato”. [1]
Il Messaggio di Papa Francesco era stato preceduto dalla Conferenza internazionale che aveva avuto luogo in Vaticano dall’11 al 13 aprile del 2016 su “Nonviolenza e Pace giusta: un contributo alla comprensione della nonviolenza da parte dei cattolici”. La Conferenza fu promossa dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, da Pax Christi International e da molte organizzazioni cattoliche internazionali. I partecipanti provenivano da varie parti del mondo e furono presenti anche molti vescovi e teologi. Di quella Conferenza il Messaggio riprese le conclusioni, dando, in parte, una risposta al suo “Appello alla Chiesa Cattolica per promuovere la centralità della nonviolenza evangelica”.
Il titolo del Messaggio veniva poi reso noto dal Comunicato della Sala Stampa Vaticana del 26 agosto 2016.
LA NOVITA’ DEL MESSAGGIO NEL RITORNO AL VANGELO
La Buona Notizia”
Gesù tracciò la via della nonviolenza”
Nel lontano 1957 il filosofo DOMENICO ANTONIO CARDONE (Palmi, 1902-1986), candidato al Premio Nobel della Pace del 1963, scrisse che “vi sono, nella storia, dei ritorni che costituiscono delle rivoluzioni” a proposito del “ritorno (rivoluzionario) alle fonti originarie del “revisionismo cristiano” che già si manifestava ai suoi tempi.
Papa Francesco ha il VANGELO come fonte primaria del suo Messaggio che appare un manifesto, religioso e politico. Ha scritto:
“Gesù stesso ci offre un ‘manuale’ di questa strategia della pace nel cosiddetto Discorso della montagna. Le otto Beatitudini (cfr Mt 5, 3-10) tracciano il profilo della persona che possiamo definire beata, buona e autentica. Beati i miti – dice Gesù -, i misericordiosi, gli operatori di pace, i puri di cuore, coloro che hanno fame e sete di giustizia.
Questo è anche un programma e una sfida per i leader politici e religiosi, per i responsabili delle istituzioni internazionali e i dirigenti delle imprese e dei media di tutto il mondo: applicare le Beatitudini nel modo in cui esercitano le proprie responsabilità. Una sfida a costruire la società, la comunità o l’impresa di cui sono responsabili con lo stile degli operatori di pace; a dare prova di misericordia rifiutando di scartare le persone, danneggiare l’ambiente e voler vincere ad ogni costo. Questo richiede la disponibilità «di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo». Operare in questo modo significa scegliere la solidarietà come stile per fare la storia e costruire l’amicizia sociale. La nonviolenza attiva è un modo per mostrare che davvero l’unità è più potente e più feconda del conflitto. Tutto nel mondo è intimamente connesso. Certo, può accadere che le differenze generino attriti: affrontiamoli in maniera costruttiva e nonviolenta, così che «le tensioni e gli opposti [possano] raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita», conservando «le preziose potenzialità delle polarità in contrasto».”
In precedenza aveva scritto:
“… quando, la notte prima di morire, disse a Pietro di rimettere la spada nel fodero (cfr Mt 26,52), Gesù tracciò la via della nonviolenza, che ha percorso fino alla fine, fino alla croce, mediante la quale ha realizzato la pace e distrutto l’inimicizia (cfr Ef 2, 14-16).
Essere veri discepoli di Gesù oggi significa aderire anche alla sua proposta di nonviolenza. Essa, come ha affermato il mio predecessore Benedetto XVI - «è realistica, perché tiene conto che nel mondo c’è troppa violenza, troppa ingiustizia, e dunque non si può superare questa situazione se non contrapponendo un di più di amore, un di più di bontà. Questo ‘di più’ viene da Dio». Ed egli aggiungeva con grande forza: «La nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità. L’amore del nemico costituisce il nucleo della ‘rivoluzione cristiana’». Giustamente il vangelo dell’amate i vostri nemici (cfr Lc 6, 27) viene considerato «la magna charta della nonviolenza cristiana»: esso non consiste «nell’arrendersi al male […] ma nel rispondere al male con il bene (cfr Rm 12, 17-21), spezzando in tal modo la catena dell’ingiustizia».
Papa Francesco, prima della conclusione del Messaggio, aveva scritto:
“Assicuro che la Chiesa Cattolica accompagnerà ogni tentativo di costruzione della pace anche attraverso la nonviolenza attiva e creativa. Il 1° gennaio 2017 vede la luce il nuovo Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale che aiuterà la Chiesa a promuovere in modo sempre più efficace «i beni incommensurabili della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato» e della sollecitudine verso i migranti, «i bisognosi, gli ammalati e gli esclusi, gli emarginati e le vittime dei conflitti armati e delle catastrofi naturali, i carcerati, i disoccupati e le vittime di qualunque forma di schiavitù e di tortura». Ogni azione in questa direzione, per quanto modesta, contribuisce a costruire un mondo libero dalla violenza, primo passo verso la giustizia e la pace”. [2]
COME SI SCRIVE: “NON VIOLENZA” O “NONVIOLENZA”?
Non è indifferente scrivere in un modo o nell’altro.
Un gruppo di studiosi e militanti che si rifanno alla nonviolenza ha firmato una Lettera indirizzata al Comitato Scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana e al Comitato scientifico dell’Accademia della Crusca con la richiesta motivata di inserimento della parola “nonviolenza” nel vocabolario e nel dizionario enciclopedico.[3]
Nella Lettera è citato ALDO CAPITINI, del Movimento Nonviolento, che scrisse:
“In questi ultimi tempi si è cominciato a scrivere nonviolenza in una sola parola, sicché si è attenuato il significato negativo che c’era nello scrivere non staccato da violenza, per cui qualcuno poteva domandare: va’ bene, togliamo la violenza, ma non c’è altro? Se si scrive in una sola parola, si prepara l’interpretazione della nonviolenza come di qualche cosa di organico, e dunque, come vedremo, di positivo”. (Le Tecniche della Nonviolenza, Milano, Feltrinelli, 1967, p. 9)
L’aggiornamento del termine ormai s’impone, ma continua l’incertezza nell’uso del termine.
A differenza dell’uso corretto, fatto nel Messaggio del Papa, è scritto in due parole separate sia nel Comunicato della Sala Stampa, prima citato, che nell’articolo col titolo “L’unica e vera via”, apparso sull’Osservatore Romano, del 12 dicembre 2016, a firma dell’autorevole Direttore, GIOVANNI MARIA VIAN. Sono superflui altri esempi.
IL DIFFICILE CAMMINO DELLA NONVIOLENZA NELLA CHIESA CATTOLICA
ALDO CAPITINI E DON LORENZO MILANI: UN INCONTRO PROFETICO
ALDO CAPITINI (1899-1968), considerato il padre della nonviolenza in Italia, nella sua Autobiografia scrisse:
“Nel campo della nonviolenza, dal 1944 ad oggi, posso dire di aver fatto più di ogni altro in Italia. Ho approfondito in più libri gli aspetti teorici, ho organizzato convegni e conversazioni quasi ininterrottamente, ho lavorato per l’obiezione di coscienza, ho promosso, attraverso il Centro di Perugia per la nonviolenza i convegni Oriente-Occidente, la Società vegetariana, la marcia della Pace da Perugia ad Assisi del 24 settembre 1961, e poi il Movimento nonviolento per la pace e il periodico ‘Azione nonviolenta’ che dirigo. (…) Sono, insomma, riuscito a far dare ampia cittadinanza, nel largo interesse per la pace, alla tematica nonviolenta. Come teoria e come proposte di lavoro, la nonviolenza in Italia ha una certa maturità”. [4]
Non va ignorata la storia del rapporto di Capitini con la Chiesa Cattolica.
Non va ignorato, in particolare, il Decreto del Sant’Uffizio del 1956 con il quale il libro di Capitini Religione aperta veniva condannato e inserito nell’ “Indice dei libri proibiti”.
Non va ignorato che manifesti a stampa affissi alle porte delle chiese di Perugia “davano notizia della scomunica [di Capitini] e invitavano i fedeli a disertare il C.O.R.”. [5] Il C.O.R. era il “Centro di Orientamento Religioso”.
Inoltre, non è da ignorare che per la prima Marcia per la Pace Perugia-Assisi, del 1961, organizzata da Capitini, “le gerarchie ecclesiastiche avevano dato ordine al clero di non partecipare, e nelle chiese era stato detto che quella era una marcia comunista e paracomunista da evitare”. [6]
Capitini seguì con grande interesse il Concilio, studiando i sedici documenti conciliari e, tra l’altro, ha cercato di vedere come fosse stato trattato il tema della nonviolenza.[7]
Ma la nonviolenza risultò incompresa e innominata dal Concilio.
Capitini, nell’opera col titolo Severità religiosa per il Concilio, pubblicata dall’editore De Donato nel 1966, scrisse:
“Il Concilio è stato un immenso lavoro, e il tanto che è stato elaborato ed enunciato poteva essere tralasciato o concentrato in poco, ma un contributo rinnovatore. Ripetere che il disarmo deve essere generale e controllato ecc. ecc., e tante e tante altre cose, nulla dànno che giustifichi una presunta originalità di contributi, quando poi si passa vicini alla nonviolenza, non dico non nominandola, ma non comprendendo il valore centrale che essa ha in questo bisogno di unirsi con gli altri, della vita che cerca la vita, di posare il capo serenamente sull’unità con tutti, pronti anche alla propria fine, purché tutti gli altri siano. Fanno più per l’apertura quei centri nonviolenti americani che sono veramente come i primi cristiani nella sede dell’impero e che sono battuti e poco ascoltati da quei ceti dirigenti, compresi i vescovi che hanno cooperato a impedire che lo Schema 13 sconfessasse ogni guerra e il possesso delle armi nucleari. Non capire l’importanza centrale della nonviolenza è proprio, per se stesso, significativo di appartenere al versante del passato e di non essere riusciti, pur con un imponente moto di persone e di mezzi, a salire sulla cima per discendere l’altro versante sereno. Ma gli esseri sono più delle istituzioni; i cattolici, con nuovo fervore, cercano, incontrano, discutono, s’impegnano.
Severità religiosa per il Concilio;
rispetto per la Chiesa;
affetto per i cattolici”. (pp. 135-136)
Sono le parole conclusive dell’opera.
Per conoscere il cammino della nonviolenza nella Chiesa Cattolica, una traccia essenziale, da approfondire, è in quanto scrisse Capitini nella sua Autobiografia, prima citata:
“… quando sono andato due volte a Barbiana, a parlare con Don Lorenzo Milani e la sua scuola, la discussione e l’esposizione non è stata altro che sulla nonviolenza, per la quale egli mi disse di concordare con me”.
A questo punto, ricordiamo quanto scrisse DON MILANI prima della fine del Concilio nella famosa “Lettera ai giudici” (18 ottobre 1965):
Ho evitato apposta di parlare da non-violento. Personalmente lo sono. (…) Ma la non-violenza non è ancora la dottrina ufficiale di tutta Chiesa”.
Capitini e don Milani furono maestri e profeti, appartenenti a due mondi diversi e distanti. Anche il loro incontro fu profetico, annuncio di futuro.
Dopo che Capitini si mosse negli anni Sessanta due volte per salire a Barbiana, il mondo rappresentato da Barbiana si è mosso per incontrare il movimento nonviolento e partecipare alla Marcia per la Pace Perugia-Assisi, inventata da Capitini.
E alla Marcia del Cinquantenario giunse la benedizione di Benedetto XVI.
TRACCE E FRAMMENTI DI STORIA
La storia dei rapporti della Chiesa Cattolica con i Padri fondatori della nonviolenza del XX secolo è da indagare con onestà intellettuale, superando, soprattutto da parte cattolica, imbarazzo, reticenze, e finanche errori, silenzi e omissioni.
In oltre mezzo secolo l’idea della nonviolenza si è fatta strada lentamente all’interno della Chiesa. Sono incoraggianti le spinte che vengono soprattutto dal basso e da alcune voci profetiche, rimaste a lungo isolate e inascoltate.
Si sta avverando una delle profezie di Capitini che in una lettera a Walter Binni del 26 agosto 1967 scrisse:
C’è bisogno che si delinei in Italia una certa consistenza della scelta pura nonviolenta, dal basso e rivoluzionaria in religione (…). Il mio compito mi pare sia stato e sia questo (se ce la farò!). Se no, faranno altri”.
A questo punto, una pubblicazione meritevole di segnalazione è la seguente:
  • Paolo Candelari - Ilaria Ciriaci, Guerra pace nonviolenza. 50 anni di storia e impegno, Milano, Paoline, 2015.
La ricerca storica dovrà svilupparsi in modo sempre più approfondito e organico per seguire il cammino attraverso la documentazione di quanto nella Chiesa si muove dall’alto e dalla base, nel loro rapporto dialettico.
E il processo interno va avanti non isolato dai movimenti esterni alla Chiesa stessa, sulla traccia indicata dal Concilio con la costituzione pastorale “Gaudium et spes”, sui rapporti tra Chiesa e mondo contemporaneo.
Dopo il Concilio la nonviolenza continua ad essere assente in importanti documenti del magistero come il “Catechismo della Chiesa Cattolica” (CCC), di Giovanni Paolo II, nella versione definitiva del 1997 e in quella più breve che è il “Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica”, di Benedetto XVI, pubblicato nel 2005.
La dottrina detta della “guerra giusta” fu introdotta nel IV secolo da Agostino e successivamente rielaborata da Tommaso d’Aquino. E’ ormai considerata obsoleta, ma è dura a morire.
L’articolo 2309 del Catechismo della Chiesa Cattolica recita:
“Si devono considerare con rigore le strette condizioni che giustificano una legittima difesa con la forza militare. Tale decisione, per la sua gravità, è sottomessa a rigorose condizioni di legittimità morale:
  1. che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo;
  2. che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci;
  3. che ci siano fondate condizioni di successo;
  4. che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione. Questi sono gli elementi tradizionali elencati nella dottrina detta della ‘guerra giusta’.
La valutazione di tali condizioni di legittimità morale spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune”.
Ma è un documento dell’episcopato cattolico degli Stati Uniti, pubblicato nel 1993, col titolo “Il frutto della giustizia è seminato nella pace”, che afferma il valore della nonviolenza.
Un modesto richiamo a “forme di difesa non violenta” e al “valore della non violenza” si trova nel “Catechismo degli adulti” della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), del 1995.
Ci sono persone e fatti significativi che segnano il cammino della nonviolenza nella Chiesa, in parte noti, ma ancora in gran parte da scoprire dalla ricerca storica nel complesso mondo cattolico.
In questa occasione, solo alcuni richiami, come tessere di un mosaico ancora da comporre.
Procediamo con la testimonianza di padre ERNESTO BALDUCCI che scrisse:
“Nel lontano 1958 accolsi a Firenze due ‘laici’ che allora facevano spesso saltare i nervi alla società benpensante e alla chiesa, anche a quel settore aperto della chiesa a cui appartenevo. Ebbi con loro un pubblico dibattito, durante il quale e dopo il quale, nei commenti che ne scrissi, non fui cortese con loro, anzi detti segni evidenti – me ne resi conto più tardi – di non aver compreso il valore profondo della loro scelta gandhiana. La storia, se così posso dire, mi punì, perché appena quattro anni dopo toccò a me sedermi sul banco degli imputati e ascoltare una sentenza che mi ha messo per sempre, accanto a Danilo, tra i cittadini senza la fedina penale pulita. Ma quella mia incomprensione ha sempre pesato in me come una colpa e oggi sono lieto che le Edizioni Cultura della Pace propongano al pubblico italiano i messaggi di Aldo Capitini e di Danilo Dolci, col quale oltretutto ho ormai rapporti di amicizia e di collaborazione”. [8]
E’ accaduto anche che nel 1991 padre Balducci presentasse con MARIO LUZI, all’Istituto Gramsci di Firenze, l’opera a cura di Danilo Dolci Variazioni sul tema Comunicare (Edizioni Qualecultura-Jaca Book, Vibo Valentia, 1991).
Ho ancora vivo il ricordo di quell’incontro al quale ho avuto la fortuna di partecipare, documentandolo con una mia registrazione sonora.
Non è da ignorare che l’atto più clamoroso della ostilità contro Dolci da parte della Chiesa gerarchica era stata la Lettera pastorale col titolo “Il vero volto della Sicilia” del 1964 del Cardinale Arcivescovo di Palermo Ernesto Ruffini, che aveva bollato Dolci come uno dei mali della Sicilia!
DANILO DOLCI E DON TONINO BELLO: LA FORZA MAIEUTICA DELLA PAROLA
Il rapporto di Danilo Dolci (1924-1997) [9] con la Chiesa Cattolica è da proporre per la ricerca storica. Qui basta citare l’opera a cura di Dolci Comunicare, legge della vita, pubblicata nel 1997, da La Nuova Italia Editrice. Contiene un gran numero di contributi di autorevoli ecclesiastici alla sua “Bozza di Manifesto”, provenienti da varie parti del mondo.
Uno dei più significativi è quello di don TONINO BELLO che ha scritto:
“Mi sovviene una pagina di Isaia: ’Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata’ (Isaia 55, 10-11).
Credo che sia davvero difficile trovare moduli espressivi capaci di tradurre meglio la forza maieutica della parola. La parola di Dio non schiaccia, non azzera, non omologa. Ma pro-voca, pro-duce, pro-nunzia. Cioè: chiama in avanti, annuncia realtà che stanno in avanti! Ed è quindi una parola che come il seme, va accolta e custodita, e se cade su terreno disponibile, ‘dà frutto e produce ora il cento, ora il sessanta, ora il trenta’ (Matteo 13, 23)”.
Ora il Messaggio di Papa Francesco ci fa capire quanto la Chiesa di oggi sia lontana da quella del Santo Uffizio o del Cardinale Ruffini, quanta strada abbia fatto l’idea della nonviolenza all’interno della Chiesa.
SPINTE DAL “BASSO” DELLA CHIESA DOPO IL CONCILIO
Per riconoscere i fermenti del rinnovamento avviato dal Concilio bisogna considerare il panorama di associazioni, movimenti, riviste che animano il cosiddetto “mondo cattolico” o i partecipanti alla Marcia per la Pace Perugia-Assisi.
E’ la spinta che viene dal “basso” ad indurre i vertici ecclesiastici a modificare le loro posizioni e a far evolvere anche la dottrina.
Il movimento delle “Comunità Cristiane di Base”.
L’Isolotto di Firenze e don ENZO MAZZI.
Una particolare citazione merita il movimento delle Comunità Cristiane di Base, nato alla fine degli anni ’60, con una testimonianza proveniente da quel movimento, senza nascondere interventi repressivi subiti da alcune comunità, operati dalla Gerarchia ecclesiastica.
Una delle esperienze più significative è quella della Comunità dell’Isolotto di Firenze.
E’ il caso di riportare un testo di ENZO MAZZI, che di quella Comunità è stato animatore, sul tema “La nonviolenza e il sacro”.
“L’utopia della nonviolenza ha percorso i millenni ma sempre relegata nell’iperuranio dei profeti e delle anime belle. Non c’era scampo: la sopravvivenza della specie chiedeva la gestione della violenza attraverso il sacrificio e la guerra. E infatti lo stesso cristianesimo, nato come complessa e coerente esperienza di nonviolenza, alternativa alla cultura del Tempio, del sacrificio, della guerra, nell’affermarsi e per affermarsi come religione dell’Impero ha dovuto tornare a far propria la cultura del sacrificio e della guerra.
(…) La cultura della guerra … è stata considerata fino al secolo scorso l’unica razionalità possibile.
Ma oggi? Dilaga (…) la consapevolezza che la vera razionalità non è più la guerra ma è proprio la nonviolenza. Lo dice la ‘lotta quotidiana mondiale per la trasformazione’.
(…) La transizione dalla cultura di guerra alla cultura di pace è un processo rivoluzionario. Investe tutti i campi del convivere, non solo quelli economici e politici ma anche quelli simbolici. Investe l’arte, le religioni, il mondo del sacro.
Il dominio del sacro è una delle più distruttive radici della violenza.
(…) Le comunità di base, che sono il mio riferimento, sono significative esperienze di nonviolenza attiva. (…) Il sacro può realisticamente e concretamente essere sottratto alla mediazione del potere della casta e del Tempio e riportato nella vita. Torna attuale la scommessa della straordinaria esperienza di cui Gesù fu animatore: è possibile nelle condizioni storiche attuali un nuovo incontro col mistero e il sacro, che testimoni e riveli la sacralità di tutto il creato e di ogni donna e uomo senza più bisogno della separatezza del sacro e della sua gestione da parte della casta.
(…) Dopo il Concilio non si sono fatti molti passi avanti, c’è stata un’involuzione. (…) L’autoritarismo, il verticalismo, l’individualismo, il liberismo, l’imperialismo, con tutte le conseguenze disastrose, fame, ingiustizie, guerre, trovano una loro radice profonda negli assetti interni delle chiese cristiane e nella stessa sistematizzazione della fede cristiana.
Ora che ‘un mondo nuovo’ è tornato negli orizzonti e nei percorsi delle nuove generazioni si può far mancare il contributo della ricerca di ‘mondi religiosi ed ecclesiali nuovi’? O meglio, è possibile un mondo nonviolento senza lavorare anche per mondi religiosi ed ecclesiali intimamente e strutturalmente nonviolenti?”.[10]
IL MOVIMENTO PAX CHRISTI
Bisogna pure citare il Movimento Cattolico Internazionale per la Pace PAX CHRISTI, di cui fa parte Pax Christi Italia che promuove la rivista mensile “mosaico di pace”, fondata da don Tonino Bello e attualmente diretta da Alex Zanotelli. [11]
Il Movimento, soprattutto con l’impulso dato da monsignor Luigi Bettazzi e monsignor Tonino Bello, suoi presidenti, ha contribuito notevolmente alla diffusione della nonviolenza all’interno della Chiesa.
Ogni anno a dicembre organizza una marcia per la pace. Quella di quest’anno, quarantanovesima, avrà luogo a Bologna, il 31, con il titolo del Messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale della Pace.
Questo Movimento ha partecipato all’organizzazione del Convegno nazionale che ha avuto luogo a Bolzano dal 17 al 19 giugno 2011 col titolo “La lunga Marcia della nonviolenza”, per celebrare i 50 anni del Movimento Nonviolento e della Marcia Perugia-Assisi, fondati da Aldo Capitini.
Il Convegno è stato anche “occasione per ricordare i grandi maestri che hanno tracciato la strada da Aldo Capitini a Danilo Dolci, da padre Ernesto Balducci a don Lorenzo Milani, da don Primo Mazzolari a Lanza del Vasto, da don Tonino Bello ad Alexander Langer”.
Un suo Congresso nazionale col titolo “E’ l’ora della nonviolenza” ha avuto luogo a Roma dal 26 al 28 aprile del 2013, nel ventesimo anniversario della morte di don Tonino Bello ed ha segnato un momento di svolta per la vita del Movimento.
Nel documento congressuale era scritto:
“Occorre decidere se Pax Christi debba esistere o possa estinguersi lasciando fare agli eventi. Stiamo concludendo il nostro cammino o siamo chiamati a rinascere per un nuovo inizio? Dobbiamo continuare come ora con qualche miglioramento per resistere e sopravvivere o dobbiamo rinnovarci radicalmente?
… Don Tonino va inserito nella più alta tradizione ecclesiale come un moderno padre della Chiesa di Cristo ‘nostra pace’, ministra di pace nonviolenta. Per incontrarlo bisogna mettersi in cammino.
… Già negli anni Ottanta don Tonino dichiara esplicitamente che per vivere il significato originario della parola pace occorre scegliere la nonviolenza (…)”.
PADRE ALEX ZANOTELLI
E’ da considerare esemplare la testimonianza di padre Alex Zanotelli, vero profeta disarmato.
“A cinquant’anni, è il momento caldo delle lotte su ‘Nigrizia’, ho cominciato a legare un po’ tutto e ho capito che l’unica salvezza è davvero la nonviolenza attiva.
E’ stato Gandhi che mi ha aiutato a ritornare al Vangelo e a scoprire che è Gesù di Nazareth che l’ha scoperta. Ricordiamocelo, perché è importante come cristiani ricordarcelo.
Purtroppo per molti secoli come Chiesa abbiamo dimenticato una delle verità più profonde del Vangelo. Pensate che per tre secoli le prime comunità cristiane sono state obbedienti a questo insegnamento di Gesù.
Basterebbe che come Chiesa ritornassimo a questa pratica e metteremmo in crisi un sistema radicalmente, ed è giunto il momento di farlo, riscoprendo davvero che questo è il cuore del Vangelo.
… anche per me è stata una lunga marcia, sofferta, quella della nonviolenza attiva, che mi ha portato proprio a una conversione radicale e a capire che il cuore di quel Vangelo (…) è lì. E quindi diventa per me una doppia sfida, sia come uomo, sia come cristiano, nel tentare di vivere questo”. [12]
LA TEOLOGIA CATTOLICA E LA NONVIOLENZA
PADRE BERNHARD HARING
E’ da ricordare anche PADRE BERNARD HARING (1912-1998), considerato uno dei più grandi teologi cattolici del secolo scorso. Diede un grande contributo al rinnovamento della Chiesa e della teologia morale, prima, durante e dopo il Concilio. Haring ebbe la nonviolenza al centro della sua riflessione e della sua ricerca.
Scrisse:
“Il nostro secolo era stato segnato da grandi contestatori non violenti, come Gandhi e Martin Luther King, che hanno pagato di persona. Il rinnovamento biblico ci dimostra la centralità della non-violenza che sappia raccogliere tutte le energie dell’amore, per un mondo più umano, più giusto, meno violento.
La nostra tesi è: la contestazione ci farà del bene, se in essa vincerà lo spirito di non-violenza, cosicché la contestazione violenta si smascheri da sé, nella sua ingiustizia, ma ne siano accolte le critiche giuste e le intuizioni valide.
(…) E bisogna ricordare che vi è una violenza dell’immobilismo e del potere ingiusto. E’ proprio essa che provoca la contestazione violenta.
(…) La non-violenza dà una nuova anima e una nuova forza alla contestazione, la fa una testimonianza profetica.
(…) La dottrina della non-violenza è una componente essenziale del Discorso della Montagna”. [13]
E’ da notare che ad oltre dieci anni dal Concilio, Haring, nonostante la stima degli ultimi Papi, dovette subire l’umiliazione di un processo dell’ex-Sant’Uffizio, per le posizioni assunte dopo l’enciclica di Paolo VI “Humanae vitae”, pur superandolo senza incorrere in alcuna condanna.
“Oggi la morale deve essere concentrata sui problemi della pace e della nonviolenza. Per noi teologi morali è prioritario l’obbligo di lavorare per salvare il seme dell’uomo sulla terra. (…) la missione dei cristiani a servizio della pace, della nonviolenza e della riconciliazione sta al centro della vocazione cristiana. E non solo questo. Il cammino sulla via della pace e della nonviolenza richiede il dialogo e la cooperazione fra tutte le religioni del mondo.
(…) Ci si domanda anche perché così pochi cristiani s’impegnano a fondo nei movimenti per la nonviolenza. Nei nostri paesi si trovano specialisti competenti per ogni problema sociale, economico, ecc. Ma perché non li troviamo quando si tratta della missione per la pace e la giustizia che guarisce, per la nonviolenza attiva e creativa? Perché il nostro grido angosciato tocca così pochi cuori tra i credenti?”. [14]
L’APPELLO DELLA CONFERENZA IN VATICANO ALLA CHIESA CATTOLICA PER PROMUOVERE LA CENTRALITA’ DELLA NONVIOLENZA EVANGELICA
Alcuni passi tratti dal documento della Conferenza in Vaticano, prima richiamato, disponibile sul sito di Pax Christi:
“Confessiamo che il popolo di Dio ha tradito questo messaggio centrale del Vangelo tante volte, partecipando a guerre, persecuzioni, oppressione, sfruttamento e discriminazione.
Noi crediamo che non vi sia alcuna ‘guerra giusta’. Troppo spesso la ‘teoria della guerra giusta’ è stata utilizzata per appoggiare, piuttosto che prevenire o limitare la guerra. Suggerire che una ‘guerra giusta’ è possibile compromette anche l’imperativo morale di sviluppare strumenti e capacità per la trasformazione nonviolenta dei conflitti.
Abbiamo bisogno di un nuovo quadro che sia coerente con la nonviolenza evangelica. Un percorso diverso si sta chiaramente delineando nella recente dottrina sociale cattolica.
… Noi proponiamo che la Chiesa cattolica sviluppi e prenda in considerazione il passaggio a un approccio di Pace giusta basato sulla nonviolenza evangelica. Un approccio di Pace giusta offre una visione e un’etica per costruire la pace, come pure per evitare, sdrammatizzare e sanare i danni del conflitto violento. Questa etica comprende un impegno per la dignità umana e lo sviluppo di relazioni, con criteri, virtù e pratiche specifiche per guidare le nostre azioni.
… Vivere la nonviolenza evangelica e la Pace giusta
In questo spirito ci impegniamo a promuovere la comprensione e la pratica della nonviolenza attiva cattolica sulla via di una pace giusta. Come aspiranti discepoli di Gesù, messi alla prova e ispirati da storie di speranza e di coraggio in questi giorni, chiediamo alla Chiesa che amiamo:
  • di continuare a sviluppare l’insegnamento sociale cattolico sulla nonviolenza. In particolare, chiediamo a Papa Francesco di condividere con il mondo un’enciclica sulla nonviolenza e la Pace giusta;
  • di integrare esplicitamente la nonviolenza evangelica nella vita, compresa la vita sacramentale, e nell’opera della Chiesa attraverso le diocesi, le parrocchie, le agenzie, le scuole, le università, i seminari, gli ordini religiosi, le associazioni di volontariato, e altri;
  • di promuovere pratiche e strategie nonviolente (ad esempio, resistenza non violenta, giustizia riparativa, risanamento del trauma, protezione civile non armata, trasformazione dei conflitti e strategie di costruzione della pace);
  • di avviare un confronto globale sulla nonviolenza all’interno della Chiesa, con persone di altre fedi, e con un mondo allargato per rispondere alle crisi monumentali del nostro tempo con la visione e le strategie della nonviolenza e della Pace giusta;
  • di non utilizzare o insegnare più la ‘teoria della guerra giusta’; di continuare a sostenere l’abolizione della guerra e delle armi nucleari;
  • di levare la voce profetica della Chiesa per sfidare gli ingiusti poteri mondiali e per sostenere e difendere quegli attivisti nonviolenti il cui lavoro per la pace e la giustizia mette a rischio la loro vita”.
JEAN-MARIE MULLER, uno dei più autorevoli esponenti della nonviolenza a livello internazionale, ha partecipato alla Conferenza e ha scritto che “un ritorno alle sorgenti evangeliche, è come una vera rivoluzione copernicana. Potrebbe essere decisiva per lo stesso avvenire della Chiesa”. [15]
LE CITAZIONI E LE NOTE DEL MESSAGGIO DEL PAPA
Non si può non notare che il Messaggio di Papa Francesco accoglie solo in parte l’Appello della Conferenza di aprile in Vaticano, prima richiamata. E’ inevitabile la domanda: perché?
Il Papa da una parte richiama il messaggio centrale del Vangelo e dall’altra cita i suoi predecessori, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, e come indicano le note, molti suoi documenti ed alcuni dei predecessori.
Quella che manca è una confessione analoga a quella degli autori dell’Appello della Conferenza:
Confessiamo che il popolo di Dio ha tradito questo messaggio centrale del Vangelo tante volte, partecipando a guerre, persecuzioni, oppressione, sfruttamento e discriminazione”.
E viene ignorata “la dottrina tradizionale della guerra giusta”.
Come spiegare questo salto di tanti secoli della storia della Chiesa e della sua dottrina tradizionale?
Il Papa, forse, cerca di porsi nel solco della tradizione e vuole evitare il pericolo dell’accusa della rottura della tradizione stessa.
Ma rimane la domanda, al di là dell’intenzione del Papa: il Messaggio segna un’evoluzione o una rottura della dottrina tradizionale della Chiesa?
Per l’interpretazione del Messaggio, ci può aiutare il Discorso del Papa del 22 dicembre scorso per gli auguri natalizi alla Curia romana. Il Papa ha affrontato il tema della riforma della Curia ed ha detto:
“Essendo la Curia non un apparato immobile, la riforma è anzitutto segno della vivacità della Chiesa in cammino, in pellegrinaggio, e della Chiesa vivente e per questo – perché vivente – semper reformanda, reformanda perché è viva. E’ necessario ribadire con forza che la riforma non è fine a se stessa, ma è un processo di crescita e soprattutto di conversione. La riforma, per questo, non ha un fine estetico, quasi si voglia rendere più bella la Curia; né può essere intesa come una sorta di lifting, di maquillage oppure di trucco per abbellire l’anziano corpo curiale, e nemmeno come una operazione di chirurgia plastica per togliere le rughe. Cari fratelli, non sono le rughe che nella Chiesa si devono temere, ma le macchie!
… In questo percorso risulta normale, anzi salutare, riscontrare delle difficoltà, che, nel caso della riforma, si potrebbero presentare in diverse tipologie di resistenze: le resistenze aperte, che nascono spesso dalla buona volontà e dal dialogo sincero; le resistenze nascoste, che nascono dai cuori impauriti o impietriti che si alimentano dalle parole vuote del ‘gattopardismo’ spirituale di chi a parole si dice pronto al cambiamento, ma vuole che tutto resti come prima; esistono anche le resistenze malevole, che germogliano in menti distorte e si presentano quando il demonio ispira intenzioni cattive (spesso ‘in veste di agnelli’). Questo ultimo tipo di resistenza si nasconde dietro le parole giustificatrici e, in tanti casi, accusatorie, rifugiandosi nelle tradizioni, nelle apparenze, nelle formalità, nel conosciuto, oppure nel voler portare tutto sul personale senza distinguere tra l’atto, l’attore e l’azione.
L’assenza di reazione è segno di morte! Quindi le resistenze buone – e perfino quelle meno buone – sono necessarie e meritano di essere ascoltate, accolte e incoraggiate a esprimersi, perché è un segno che il corpo è vivo”. [16]
Questo è un Discorso che dà molto da pensare e fa capire quanto siano forti le resistenze all’interno della Chiesa al disegno riformatore di Papa Francesco.
DOMANDE PER CONCLUDERE
Il discorso non può che restare aperto perché riguarda non solo il ruolo del Papa, ma anche quello del Papato e della possibilità di riformare la Chiesa intesa come istituzione gerarchica. Certo, non sono infondate le preoccupazioni per il futuro di Papa Francesco, da parte di quanti hanno a cuore il suo impegno riformatore.
Fino a che punto si potrà spingere Papa Francesco per la riforma della Chiesa in senso evangelico?
Dopo l’enciclica “Pacem in terris” del 1963 di Giovanni XXIII, è prossimo il suo passo per una enciclica sulla NONVIOLENZA?
Roma, 26 dicembre 2016
Raffaello Saffioti
Centro Gandhi – PALMI (RC)
raffaello.saffioti@gmail.com

NOTE

1 “Gandhi in Vaticano”, Il Sole 24 Ore, domenica 3 febbraio 2008, riportato in “il dialogo”, 6 febbraio 2008 (www.ildialogo.org).
3 La Lettera è stata resa pubblica in occasione della Giornata Mondiale della Pace. http://www.pressenza.com/it/2016/10/lettera-chiedere-la-parola-nonviolenza-sia-sul-vocabolario/
4 “Attraverso due terzi di secolo”, 16 agosto 1968, in ALDO CAPITINI, Scritti sulla nonviolenza, Perugia, Protagon, 1992, p. 11.
5 MAURIZIO CAVICCHI, Aldo Capitini. Un itinerario di vita e di pensiero, Lacaita editore, 2005.
6 Aldo Capitini, In cammino per la pace, Einaudi, 1962, ora in ALDO CAPITINI, Scritti sulla nonviolenza, cit.
7 Cfr. il mio scritto col titolo “Aldo Capitini la nonviolenza e il Concilio”, in “il dialogo”, 10 settembre 2012 (www.il dialogo.org).
8 Prefazione a ANTONINO MANGANO, Danilo Dolci educatore, Edizioni Cultura della Pace, 1992, p. 7.
9 E’ ormai riconosciuto come uno dei Maestri della nonviolenza del ‘900. Johan Galtung lo ha considerato “uno degli italiani più grandi del secolo” (in Danilo Dolci e la via della nonviolenza, a cura di Lucio C. Giummo e Carlo Marchese, Piero Lacaita Editore, Manduria-Bari-Roma, 2005, p. 71).
10 “La nonviolenza e il sacro”, di ENZO MAZZI, tratto da “Voci e volti della nonviolenza”, supplemento del notiziario telematico “La nonviolenza è in cammino”, n. 237 del 29 settembre 2008.
11 Da segnalare il numero speciale di dicembre 2016 che ha lo stesso titolo del Messaggio di Papa Francesco per la Cinquantesima Gionata Mondiale della Pace.
12 Intervento nell’incontro a Napoli, l’11 settembre 2007, organizzato dalla rivista “Quaderni Satyagraha”. Il testo è tratto dalla registrazione di Radio Radicale e non rivisto dall’Autore.
13 BERNARD HARING, La contestazione dei non violenti, Morcelliana,1969, pp. 9-10, 21, 24.
14 Cit. da Luciano Benini, in Convertirsi alla nonviolenza?, a cura di Matteo Soccio, Il Segno dei Gabrielli editori, 2003, p. 49.



Martedì 27 Dicembre,2016 Ore: 09:29