Convivi e sei gay? Niente comunione

di Silvia D’Onghia

da Il Fatto Quotidiano 4 maggio 2010


Figli e figliastri. Silvio Berlusconi, divorziato, risposato e ora in fase di seconda separazione, prende la comunione col benestare dell’intero Vaticano. Antonio Dornetta, omosessuale, non può ricevere “il corpo di Cristo” perché convivente. La storia ha dell’incredibile, anche se forse per i canoni della Chiesa non fa una piega.
Antonio è un uomo di 38 anni, è nato e cresciuto a Fossato Serralta, paese di 630 anime in provincia di Catanzaro. Ha una storia pesante alle spalle. Invalido civile, senza grandi risorse economiche, emarginato da sempre perché omosessuale. Da dieci anni vive insieme con Salvatore, un uomo di 40 anni amico d’infanzia. Eterosessuale. Antonio è molto religioso. Nei piccoli paesi del sud Italia, la parrocchia è un punto di ritrovo, di aggregazione sociale, ma a volte è anche il luogo in cui si consumano pettegolezzi e cattiverie. La domenica di Pasqua Antonio si reca in chiesa. Come tutte le volte, si mette in disparte, in un angolo, quasi sulla porta. Non è uno che ama apparire. Quando è il momento dell’eucarestia, fa la sua bella fila per avvicinarsi all’altare, ma quando è pronto ad aprire la bocca per ricevere l’ostia, don Simone lo gela: “No, no, Antonio. Tu non puoi. Perché sei convivente”. “Mi sono sentito umiliato – spiega Antonio al Fatto – sono tornato al mio posto ma sono stato costretto a sedermi perché mi tremavano le gambe”.
Afferma anche di non sapere dell’esistenza di una simile regola del diritto canonico: “Altrimenti non ci sarei andato, non sono abituato a queste vergogne”. A quel punto interviene Salvatore che, col suo carattere più nervoso e irascibile, al termine della funzione raggiunge don Simone in sacrestia. Alza un po’ la voce, sbatte i pugni sulla scrivania. Poi entrambi i “conviventi” tornano a casa. La storia finirebbe qua, se non fosse per l’intervento di Giorgio Pezzutto, del comitato “Fossato non discrimina”, che organizza – a sostegno di Antonio – una piccola manifestazione cittadina. “Ho consegnato gli inviti – afferma Pezzutto – casa per casa. Come essere umano e come membro della comunità mi sono sentito partecipe del dolore vissuto da Antonio in modo così violento e ho avuto modo di verificare che l’analogo sentimento viene condiviso da molte persone di Fossato. Si è trattato in ogni caso, giusto o non giusto, di una mortificazione immensa della dignità e dell’immagine percepita di sé che Antonio ha sopportato con sofferenza immane e con distinto silenzio. Ho detto ai miei concittadini: come partecipi della società, non possiamo mantenerci distanti dal dolore sperimentato da un nostro simile, in questo caso così fisicamente vicino”. Non tutti sono andati dietro all’idea di Pezzutto, qualcuno, in paese, l’ha definita una pagliacciata. Ma per fortuna non tutti. “Mi hanno fatto commuovere – racconta Antonio – mi hanno applaudito, io non ho capito niente perché ero emozionato. Appena la notizia si è diffusa ho ricevuto cartoline di solidarietà da tutta la Calabria.
Ma io in chiesa non ci torno, non ce la faccio. Sono una persona che perdona, ma don Simone non lo voglio più vedere. Mi ha negato i sacramenti, mi ha negato i diritti”. Parla un italiano antico, Antonio, dà del voi, ha voglia e bisogno di raccontare la sua storia, si sente un “cattivo cristiano”, non riesce a capacitarsi di quanto accaduto. Invece don Simone è tassativo: “Mi sono limitato ad applicare le regole della Chiesa in fatto di convivenza – ci spiega – né più, né meno. Non ha per niente influito sulla decisione la sua omosessualità. Ed erano anni che gli veniva detto che non era possibile fare la comunione. Lo faccio con tutte le coppie conviventi delle mie parrocchie, le chiamo in sacrestia e glielo dico. Berlusconi? Se ci fossi stato io in quella chiesa, l’eucarestia non gliel’avrei data”.



Mercoledì 05 Maggio,2010 Ore: 17:17