"Le amnesie delle politiche migratorie".

di Valerio Onida

Dal quotidiano "Il sole 24 ore" del 20 luglio 2009 col titolo "Le amnesie delle politiche migratorie". Valerio Onida è Presidente emerito della Corte Costituzionale.
La prima impressione, di fronte alle norme del pacchetto sicurezza dedicate agli immigrati, e alla successiva proposta di regolarizzazione di badanti e collaboratori familiari, e' quella di un atteggiamento schizofrenico del legislatore. Il 15 luglio viene promulgata la legge che, fra l'altro, introduce il nuovo reato di "ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato", "criminalizzando" tutti gli stranieri non in regola con il permesso di soggiorno. Non e' passato nemmeno un giorno, ed ecco il Governo promuovere in Parlamento un emendamento che sospende di fatto l'applicazione del nuovo reato nei confronti di badanti e colf, fino al 30 settembre o fino all'eventuale rigetto della domanda di regolarizzazione (salvo però tornare ad applicarlo in caso di mancata regolarizzazione: col che potrebbe profilarsi una sorta di autodenuncia per coloro le cui domande saranno respinte).
Ce ne sarebbe abbastanza per constatare quanto siano fondati i rilievi sull'improprio modo di legiferare del Parlamento, mossi dal Capo dello Stato (senza però effetti giuridici di sorta) nella lettera inviata al Presidente del Consiglio.
Ma e' forse più interessante domandarsi quali siano, e se siano da condividere, gli indirizzi del Governo e della maggioranza in tema di politiche migratorie. I movimenti migratori sono, come e' noto, un fenomeno di massa non evitabile, collegato a fattori e realtà propri del nostro tempo e del nostro mondo globalizzato.
La Costituzione (scritta in un'epoca in cui erano gli italiani a emigrare) si limita a stabilire che la Repubblica "riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero" (articolo 35). Quanto agli
stranieri, riconosce il diritto di asilo a coloro cui sia impedito nel loro paese l'esercizio delle libertà democratiche (articolo 10). Ma la libertà di emigrazione e' espressamente riconosciuta a "ogni individuo" dall'articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, e riguarda dunque anche chi nel nostro paese viene o vuole venire, non solo chi vuole andarsene.
Qual e' dunque la politica dell'Italia riguardo a questo fenomeno? In realtà il nostro paese non si e' mai dato una seria ed efficace politica dell'immigrazione. Consideriamo un solo elemento: chi entra in Italia (legalmente o illegalmente), salva la ristretta minoranza che lo fa per darsi ad attività magari lucrose ma illecite, e' alla ricerca di un lavoro per assicurare a sé e alla famiglia mezzi di sostentamento, e delle correlative condizioni di vita (alloggio, servizi). E' dunque determinante, tanto più per un paese come il nostro in cui vi e' un'offerta di lavoro che rimarrebbe altrimenti insoddisfatta (non solo per badanti e colf), consentire e favorire l'accesso degli immigrati al lavoro. Ma la nostra legislazione richiede, per consentire tale accesso, che lo straniero sia munito di un permesso di soggiorno che abiliti al lavoro medesimo; tuttavia la concessione di un tale permesso e' a sua volta subordinata alla dimostrazione della disponibilità del lavoro.
E' un serpente che si morde la coda: ed ecco l'ipocrisia di "quote" annuali di ingresso per gli stranieri, formalmente destinate a soddisfare richieste di persone residenti all'estero che vogliono immigrare, e che di fatto vengono usate invece per persone che già si trovano nel nostro territorio, regolarmente o irregolarmente. D'altra parte, qual e' il datore di lavoro (famiglia o imprenditore) che assume il lavoratore a 5.000 chilometri di distanza, senza conoscerlo? Eppure la nostra legge non prevede la possibilità di soggiornare legalmente alla ricerca di un lavoro: l'istituto dell'ingresso garantito da uno sponsor, per inserimento nel mercato del lavoro, introdotto nel 1998, venne abolito dalla legge Bossi-Fini del 2002.
E sarebbe interessante sapere quante e quali siano (temo ben poche) le attività di formazione professionale nei paesi di origine, finalizzate all"inserimento mirato" nei settori produttivi italiani, effettivamente realizzate secondo la previsione di legge che ha sostituito quella degli sponsor.
Per converso, le frequenti modifiche legislative degli ultimi anni sono state tutte volte, come quelle del "pacchetto sicurezza", a "indurire" il trattamento riservato agli stranieri, in un'ottica che vede nell'immigrato quasi solo un pericolo per la sicurezza pubblica. E se ora si regolarizzano badanti e colf, non e' per una resipiscenza, ma solo per l'egoistico timore di privare le famiglie di un sostegno ad esse necessario. A loro volta le politiche locali assai spesso sono andate nella direzione di discriminare, non di rado illegittimamente, nell'accesso ai servizi pubblici e alle prestazioni sociali, e nell'esercizio di diritti elementari come la libertà religiosa, gli stessi immigrati regolari, visti come sgraditi "concorrenti" degli italiani o come minaccia per la nostra "identità".
Non ultima, c'e' la questione della partecipazione degli stranieri alla vita pubblica. Fin dal 1992 esiste una convenzione del Consiglio d'Europa in base alla quale gli Stati aderenti si impegnano, fra l'altro, a riconoscere agli stranieri regolarmente residenti da cinque anni l'elettorato attivo e passivo nelle elezioni locali: ebbene, l'Italia non aderisce a questa parte della convenzione, e dunque nelle nostre città centinaia di migliaia di stranieri che vivono, lavorano, pagano le tasse e usano i servizi locali sono esclusi dall'esercizio dell'elementare diritto di partecipare alla scelta degli amministratori: con buona pace dell'idea stessa di democrazia.


Sabato 25 Luglio,2009 Ore: 16:13