SIRIA: ARMI AI RIBELLI? PER MONS. TWAL UN REGIME NON SI RIFORMA COL SANGUE

da Adista Notizie n. 24 del 29/06/2013

37225. ROMA-ADISTA. «Tra vivere con un regime imperfetto, dittatoriale e cercare di cambiarlo facendo 80mila morti e un milione e mezzo di rifugiati, ebbene, io preferisco vivere con un regime imperfetto e con un dittatore. Non si possono accettare 80mila morti e milioni di rifugiati per il gusto di cambiare. Tutto l’Occidente e l’America hanno vissuto per anni con regimi che non erano certo esemplari. E ancora oggi si convive e si collabora con tante dittature che non rispettano al 100% i valori di libertà e dignità che l’Occidente proclama».

Forse pochi hanno il coraggio di parlare con brutale chiarezza come il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal nell’intervista rilasciata alla rivista Tempi (8 giugno 2013) affrontando il tema della Siria. «Che la Siria abbia bisogno di riforme è vero», afferma, «ma passare dall’esigenza delle riforme alla distruzione di tutto il Paese perché alcuni vogliono il cambiamento, questa è un’altra cosa e noi capi religiosi del Medio Oriente non siamo d’accordo». E tuona contro il possibile rifornimento di armi ai ribelli siriani da parte della Francia e dell’Inghilterra: «80mila morti non ci bastano?» chiede retoricamente. «Vogliamo ancora più vittime e distruzione per cambiare questo famoso regime di Assad? Bene, inviamo le armi ai ribelli e avremo la certezza che i morti aumenteranno. Mettiamo però sulla bilancia il prezzo che stiamo pagando con i risultati». Perché, domanda ancora, «che cosa viene dopo? Cosa succederà dopo? Prendiamo l’Iraq, ci soddisfa la sua situazione oggi? Abbiamo davanti agli occhi l’esempio della Libia, dell’Egitto, abbiamo tanti esempi, non dobbiamo essere ciechi. Chi viene dopo da meritare così tanti sacrifici, tutte queste vite distrutte, tutto il Paese distrutto? Per chi, per che cosa? Facciamo un bilancio. Se ne vale la pena, allora ringraziamo il Signore, altrimenti chiediamoci dove ci porta questa avventura. Noi sappiamo bene come si comincia una guerra ma non sappiamo come andrà a finire».

Affermazioni un po’ fuori dai denti, quelle del patriarca Twal. Il loro tono non è risultato gradito ai vertici vaticani. In un’intervista a Radio Vaticana (20/6), il card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, alla sollecitazione del giornalista – «Non ignoriamo che qualche voce autorevole nelle Chiese locali pensa che a volte le dittature siano un male minore, rispetto al caos attuale. Lei vuole rispondere a questo?» –, ha affermato: «Questa convinzione di alcuni è parziale, perché forse non tengono conto di altri aspetti, che possono essere anche criticabili. L’obiettivo finale è sempre il rispetto dei diritti della persona umana e quindi che ci sia anche una democratizzazione, cui tutti possano prendere parte, e si costruisca una società, una nuova cultura della partecipazione di tutti i cittadini, cristiani o di altri religioni, anche quelle maggioritarie, al bene del Paese. Per cui, il desiderio ultimo sarebbe una Costituzione, frutto certo di larghe intese tra tutti quelli che vivono nel Paese, ma raggiunte attraverso il dialogo, non attraverso le armi, perché nella Costituzione risulti la parità di tutti i cittadini di fronte alla legge, appartengano alla religione che appartengano, per contribuire tutti al bene della loro patria».


Lo scontro è morte, l’incontro è vita

Sandri aveva appena chiuso i lavori assembleari della Roaco, la Riunione delle Opere per l’Aiuto alle Chiese Orientali. Papa Francesco, ricevendo i partecipanti, aveva lanciato un pressante appello per aiutare la popolazione siriana che vive «una grande tribolazione», esortando a non «perdere la speranza» nel porre «fine ad ogni dolore, ad ogni violenza, ad ogni discriminazione religiosa, culturale e sociale». «Lo scontro che semina morte – aveva aggiunto – lasci spazio all’incontro e alla riconciliazione che porta vita».

È l’ennesimo appello alla pace del papa. Il precedente lo aveva formulato il 5 giugno, all’incontro di coordinamento fra gli organismi caritativi cattolici che operano nel contesto della crisi siriana, promosso dal Pontificio Consiglio Cor Unum. Francesco aveva esclamato: «Che tacciano le armi!», sollecitando le potenze mondiali ad agire. «Nelle ultime settimane – aveva affermato riferendosi alla Conferenza che dovrebbe svolgersi a Ginevra (v. Adista Notizie n. 22/13) – la comunità internazionale ha ribadito l’intenzione di promuovere iniziative concrete per avviare un dialogo fruttuoso con lo scopo di mettere fine alla guerra. Sono tentativi che vanno sostenuti e che si spera possano condurre alla pace».

Le stesse sollecitazioni il papa aveva espresso nella lettera di risposta al primo ministro inglese David Cameron che il 5 giugno scorso gli aveva scritto in vista del summit del G8 a Lough Erne, in Irlanda del Nord (avvenuto il 17 e 18 giugno). Il papa chiedeva che il summit contribuisse a ottenere un cessate il fuoco immediato e duraturo e a portare tutte le parti in conflitto al tavolo dei negoziati.


Parole inascoltate

Le intenzioni dei Grandi non hanno dato però grandi chance alle speranze di pace. La cosiddetta “Ginevra 2” (la prima, un anno fa, fu un totale fallimento) dai colloqui irlandesi è emersa a forte rischio, anche se, chiuso il G8, sono in corso trattative serrate per raggiungere un compromesso fra la posizione dell’opposizione siriana, sostenuta da Usa, Francia e Gran Bretagna, che chiede una preventiva uscita di scena di Bashar al-Assad dal governo del Paese, e la posizione russa. Putin non accetterà mai una tale risoluzione, e resta fortemente contrario ad armare i ribelli che combattono contro Damasco – come nell’intenzione dei tre Paesi occidentali che avrebbero appurato l’uso di armi chimiche da parte dell’esercito siriano sulla popolazione civile (altrettanto però sembra che abbiano fatto alcune fazioni dei ribelli) – e all'imposizione di una “no-fly zone” sulla Siria. (eletta cucuzza)

Articolo tratto da
ADISTA
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Domenica 30 Giugno,2013 Ore: 08:03