Altre guerre?

Gli editori di Commonweal

Traduzione dall'inglese di Gianni Mula


Il presente articolo è tratto da Commonweal. Si tratta di un articolo che mi sembra perfettamente in linea con la nostra difficile azione di informazione sul tema della guerra, contro la Siria e/o l'Iran, tanto più interessante perché pubblicato su un sito cattolico di buon livello ma non particolarmente orientato a far la guerra alla gerarchia e anche perché viene dagli USA.(Gianni Mula)

Altre guerre?

Gli editori di Commonweal

Gli Stati Uniti sono in guerra da più di un decennio. Migliaia di americani e centinaia di migliaia di iracheni, afgani, e altri sono stati uccisi. Decine di migliaia di soldati e civili sono stati mutilati o menomati. Trilioni di dollari sono stati spesi per queste guerre, e altri miliardi per la ricostruzione della società irachena e afghana per cercare di stabilire una qualche forma di governo democratico. gli Stati Uniti hanno poco da mostrare, oltre alla distruzione di Al Qaeda,  per i sacrifici fatti e il denaro speso. Lo sforzo di piegare i nostri avversari alla nostra volontà con mezzi in primo luogo militari non ha funzionato. 

Data la storia del decennio passato, è sorprendente che le opinioni a favore di un intervento militare degli Stati Uniti in Medio Oriente stiano di nuovo crescendo. Il massacro di civili da parte del regime di Assad in Siria è spaventoso, e la reazione indignata del mondo del tutto giustificata. E tuttavia le richieste di intervento militare sono premature e imprudenti. Allo stesso modo, le richieste del governo israeliano, e da troppi nel Congresso, che gli Stati Uniti lancino un ultimatum all'Iran minacciando un attacco preventivo nel caso si rifiuti di fermare il suo programma nucleare sono avventate e irresponsabili.

Nessuno contesta la brutalità del regime siriano. C’è un’unanimità sorprendente tra i governi arabi sul fatto che Assad se ne deve andare, ma l’intervento  delle Nazioni Unite è impedito dal cinico veto posto da Russia e Cina. La Russia ha da tempo fornito aiuti e attrezzature militari alla Siria, e Russia e Cina temono azioni internazionali per difendere i cittadini dalle prevaricazioni dei propri governi. Una condanna del Consiglio di Sicurezza sarebbe stata utile, ma l'intervento militare non è mai stato un'opzione. L'esercito siriano è uno dei più potenti della regione e i suoi ufficiali e le sue unità d'elite, in prevalenza appartenente alla stessa minoranza alawita  della famiglia Assad, sono profondamente fedeli al regime. Con ogni probabilità, l'intervento farebbe precipitare una guerra civile ancor più sanguinosa dell’attuale, che potrebbe facilmente diffondersi ai paesi vicini alla Siria che soffrono di simili divisioni etniche e religiose. Per neutralizzare la maggioranza sunnita in Siria, gli Assad hanno attentamente coltivato la lealtà non solo dei loro compagni alawiti, ma anche dei cristiani e l'élite economica sunnita. Temendo  uccisioni per rappresaglia e future persecuzioni, tutti questi gruppi si opporrebbero a una presa di potere sunnita e forse islamista. A complicare ulteriormente il quadro, i ribelli sono divisi e mal guidati. Al momento, le migliori probabilità per arginare lo spargimento di sangue e favorire un cambio di regime stanno nel rafforzare le sanzioni economiche e diplomatiche ora in atto. Ci vorrà del tempo. Prima che i  sostenitori di Assad lo abbandonino, dovranno essere convinti che qualsiasi governo di transizione proteggerà le comunità minoritarie e i loro interessi, e che gli alawiti, i cristiani e gli altri avranno una quota di potere nel nuovo governo.

Naturalmente, non ci sono garanzie che le sanzioni diplomatiche ed economiche contro la Siria o l'Iran funzioneranno, ma la guerra deve rimanere l'ultima risorsa. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è attualmente negli Stati Uniti a premere per un attacco preventivo militare contro gli impianti nucleari iraniani. Netanyahu non ha mai fatto mistero della sua opinione che le sanzioni economiche e politiche dell'amministrazione Obama e della comunità internazionale non indurranno  l'Iran a rinunciare a sviluppare armi nucleari. Israele sta ora minacciando di bombardare l'Iran, a meno che non ottenga la garanzia che gli Stati Uniti faranno il bombardamento, con armi più potenti, in un secondo momento. Netanyahu insiste anche  che non ci possono essere negoziati con l'Iran a meno che il programma di sviluppo nucleare non cessi del tutto, qualcosa che nessuno pensa che gli ayatollah faranno, e una posizione degli Stati Uniti giustamente respingono.

Il presidente Barack Obama dovrebbe andare avanti con sanzioni e trattative. Se gli iraniani accettassero di limitare lo sviluppo nucleare a fini pacifici e di permettere un regime rigoroso di controlli, che assicuri che il materiale nucleare non venga usato per fabbricare armi, Israele e tutta la regione ne beneficeranno enormemente. Un attacco preventivo non farà altro che ritardare l’acquisizione di armi nucleari da parte dell'Iran, rafforzandone però la decisione del regime di riuscirci. Inoltre spingerà una popolazione profondamente sfiduciata a unirsi dietro l’attuale leadership, pur totalmente screditata sul piano interno. Pensare che con le sanzioni e un’attenta azione  diplomatica  si può ancora portare la repubblica islamica al tavolo dei negoziati non significa essere troppo ingenui. Negli ultimi dieci anni, timori esagerati sulle intenzioni e le capacità dei nostri nemici sono stati manipolati fin troppo facilmente. Padroneggiare la paura, non arrendersi ad essa o cercare di sfruttarla, dovrebbe essere la prima risposta di un governo democratico.

Commonweal - 6 MAR 2012

 

TESTO ORIGINALE

 

More War?

Created 03/12/2012 - 12:45pm
The Editors

The United States has been at war for more than a decade. Thousands of Americans and hundreds of thousands of Iraqis, Afghans, and others have been killed. Tens of thousands of soldiers and civilians have been maimed or crippled. Trillions of dollars have been spent on these wars, and billions more on rebuilding Iraqi and Afghan society and trying to establish some form of democratic government. Beyond the destruction of Al Qaeda, the United States has little to show for the sacrifices made and money spent. The effort to bend our adversaries to our will first through military force has not worked. 

Given the history of the past decade, it’s astonishing that calls for U.S. military intervention in the Middle East are mounting once again. The slaughter of civilians by the Assad regime in Syria is appalling, and the world’s outraged response entirely justified. Yet demands for military intervention are premature and imprudent. Similarly, demands now being made by the Israeli government, and by all too many in Congress, that the United States issue an ultimatum to Iran to halt its nuclear program or face a preemptive strike are rash and irresponsible.

No one disputes the brutality of the Syrian regime. Remarkably, there is unanimity among Arab governments that Assad must go. Action by the UN was cynically vetoed, however, by Russia and China. Russia has long provided military aid and equipment to Syria, and both Russia and China fear international efforts to protect citizens from the depredations of their own governments. A Security Council condemnation would have been useful, but military intervention was never an option. The Syrian army is one of the most powerful in the region and its elite units and officer corps, drawn predominantly from the same Alawite minority as the Assad family, are deeply loyal to the regime. In all likelihood, intervention would precipitate an even bloodier civil war, one that could easily spread to Syria’s neighbors, who are beset by similar ethnic and sectarian divisions. To neutralize Syria’s Sunni majority, the Assads have carefully cultivated the loyalty not only of their fellow Alawites, but also of Christians and the Sunni business elite. Fearing reprisal killings and future persecution, all these groups will resist a Sunni—and possibly Islamist—takeover. Further complicating the picture, the rebels are divided and poorly led. At the moment, the best hope for stemming the bloodshed and increasing the likelihood of regime change is to tighten the economic and diplomatic sanctions now in place. That will take time. Before Assad’s supporters will abandon him, they will have to be convinced that any transitional government will protect minority communities and interests, and that Alawites, Christians, and others will have a share of power in the new government. 

Of course, there are no guarantees that diplomatic and economic sanctions will work against either Syria or Iran, but war must remain a last resort. Israel’s Prime Minister Benjamin Netanyahu is currently in the United States to press for a preemptive military strike against Iran’s nuclear facilities. Netanyahu has made no secret of his view that the economic and political sanctions the Obama administration and the international community have brought to bear on Iran will not induce it to give up developing a nuclear weapon. Israel is now threatening to bomb Iran, unless it gets a guarantee that the United States will do the bombing with its more potent weapons at a later date. Netanyahu is even insisting there can be no negotiations with Iran unless it ceases nuclear development altogether, something no one thinks the ayatollahs will do, and a position the United States rightly rejects.

President Barack Obama should press forward with sanctions and negotiations. If the Iranians agree to limit nuclear development to peaceful purposes and accept a stringent inspection regime that ensures no nuclear material is being diverted to weapons manufacture, Israel and the region will benefit enormously. A preemptive attack will only delay Iran in acquiring nuclear weapons while strengthening the regime’s resolve to do so. It will also unite what is now a deeply alienated population behind a domestically discredited Iranian leadership. One need not be naïve about the threat Iran poses to think that sanctions and careful diplomacy may yet bring the Islamic republic to the negotiating table. Over the past decade, exaggerated fears about the intentions and capacities of our enemies have been all too easily manipulated. Mastering fear, not surrendering to or exploiting it, should be the first response of a democratic government.

March 6, 2012



Giovedì 22 Marzo,2012 Ore: 14:57