Il dolore segue l'errore

di Enrico Peyretti

Quando le bombe tuonano, tace la ragione, tace la parola, l'umanità si eclissa. E' vero che la violenza delle armi era già in atto, in Libia e altrove, da parte di governi e (non dappertutto) di ribelli. Proprio per questo, alle armi va sostituita strenuamente la parola, l'ascolto delle diverse attese, la trattativa. Se esistono istituzioni internazionali, se c'è una politica tra le nazioni, tra gli stati, se c'è equità di giudizio (cioè se interessa la pace, la vita dei popoli più del petrolio) deve esserci il parlare, il "parlamentarizzare" ogni conflitto; si deve chiamare chi spara - in questo caso Gheddafi e i ribelli - a render conto in conferenze che confrontino le parti avverse, in presenza di terzi attivi mediatori, portatori del sentimento universale della comunità umana.
La via delle armi diventa l'unica visibile quando, per carenza morale e razionale delle politiche, si sono escluse le vie della razionalità politica.
Quando è tardi perché si è già sbagliato nel non capire e non agire bene tempestivamente, non c'è più riparo al danno e al dolore.
La guerra non rimedia nulla. Non ha rimediato nel profondo neppure il male di Hitler. "Quelli che prendono la spada, di spada periranno", dice Gesù, e ciò vale per i contendenti  come per il giudice violento. Dice Buddha che il dolore segue l'errore come il carro segue il bue. Dice Mohammed che se due uomini si affrontano armati di spada, vanno all'inferno sia l'uccisore che l'ucciso, perché anche questo bramava uccidere l'altro, che è suo compagno.
Da questo inferno si dovrà uscire, ancora una volta. E' possibile, al costo di cambiare profondamente pensiero e di dare nuove regole effettive alla convivenza umana. E' ciò per cui lavorano gli amanti attivi della pace giusta e nonviolenta.
Enrico Peyretti, 19 marzo 2011



Domenica 20 Marzo,2011 Ore: 09:09