I finti tagli alla spesa militare

di Massimo Paolicelli

Da Adista Segni Nuovi n. 9 del 10/03/2012


A vedere i telegiornali e a leggere i titoli dei giornali, sembrerebbe che con il “Nuovo modello di difesa” confezionato dal ministro-ammiraglio Giampaolo Di Paola i pacifisti ed il Paese abbiano portato a casa un buon risultato. “Difesa, tagliati i generali e gli F35”, ha titolato la Stampa, mentre il Sole 24 Ore: “Il piano difesa anti-default”; e si è lanciato ancora più in là il Giornale: “Esecutivo all’offensiva: via ai tagli alle spese militari”. Ma la realtà è ben diversa. Per capire meglio facciamo un piccolo passo indietro.

Alcuni mesi fa, mentre il governo varava una manovra “lacrime e sangue”, nel Paese è cresciuta la consapevolezza dell’assurdità, in piena crisi economica, di spendere 15 miliardi di euro per acquistare 131 cacciabombardieri F35. Subito, su giornali e televisioni, il ministro-ammiraglio Di Paola si è affrettato ad affermare che sarebbe stato rivisto tutto il sistema Difesa e che l’F35 non era un totem, ma che sarebbe stato rivisto come tutti gli altri sistemi d’arma. Sempre generico, mai una cifra, per rispetto delle Istituzioni preposte, alle quali sarebbero state fornite a tempo debito.

Ed ecco partire la maratona: l’8 febbraio al Quirinale per il Consiglio supremo di difesa, presieduto dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Poi un San Valentino alquanto speciale, giocato a Palazzo Chigi, al Consiglio dei Ministri, con il disco verde del presidente Monti, che anzi non ha risparmiato elogi al ministro-ammiraglio. Infine, il giorno dopo, davanti alle Commissioni Difesa della Camera e del Senato riunite in seduta congiunta, il ministro-ammiraglio ha fornito alcune cifre dell’«epocale» riforma; solo alcune, perché in realtà in Parlamento presenterà una legge delega, che permetterà al governo di mettere poi nero su bianco la riforma.

Partiamo dalla questione cruciale in questa fase di crisi, cioè dell’aspetto economico. Durante la conferenza stampa svoltasi dopo il Consiglio dei ministri, Monti ha detto che «il nostro governo, così impegnato nelle riforme strutturali, considera quella del modello di difesa proposta dal ministro Di Paola un’importantissima riforma strutturale dal punto di vista economico». Peccato però che questa riforma non porterà un solo euro nelle casse dello Stato, ma ridistribuirà le risorse che oggi gestisce la Difesa in proprio.

Dopo la manovra “salva Italia” in cui si sono chiesti pesanti sacrifici a tutti gli italiani, ci saremmo aspettati un contributo anche dalla Difesa, ma non è così. Però, il ministro-ammiraglio Di Paola ha presentato il suo bilancio come la Cenerentola dell’Europa, dove la media delle spese militari è dell’1,6%, mentre il nostro Paese si ferma allo 0,9%. Peccato però che la Nato attribuisce all’Italia l’1,4% di spesa rispetto al Prodotto interno lordo. Di Paola si limita a contare solo i fondi della funzione Difesa, lasciando fuori quelli delle missioni e quelli dei sistemi d’arma finanziati con fondi del ministero dello Sviluppo economico.

Che si spende tanto e male lo denunciamo da tempo, ma proprio per questo avevamo chiesto un ampio dibattito sul nostro “Modello di difesa”, per decidere poi quanti uomini, donne e mezzi servano per rispondere a queste esigenze. La storia è vecchia, sentiamo parlare di “Nuovo modello di difesa” dalla prima guerra del Golfo, cioè dal lontano 1991, ma non ne troviamo traccia di un’approfondita discussione da nessuna parte, solo provvedimenti presi di volta in volta o modifiche del bilancio della Difesa, che di fatto cambiano la fisionomia del nostro strumento militare. Stessa cosa avviene oggi.

Ed è proprio questo aspetto che ci piace di meno e ci preoccupa. Si taglia il personale, per spostare le risorse per acquistare nuovi sistemi d’arma come l’F35. Infatti il modello che ha in testa il nostro ministro-ammiraglio è uno strumento agile con una forte componente aeronavale in grado di girare il mondo in difesa dei nostri interessi e, se necessario, anche di bombardare. Per questo serve la portaerei Cavour con imbarcati i caccia F35. Cosa che sposta completamente l’asse delle nostre operazioni militari all’estero, caratterizzate principalmente da operazioni di peacekeeping. Ci sembra però che la strada indicata dalla nostra Costituzione all’articolo 11 vada in una direzione diversa.

Una cura dimagrante per i lavoratori con le stellette era d’obbligo, visto che allo stato attuale abbiamo più comandanti che comandati, ma anche qui negli ultimi anni di tentativi ne sono stati fatti diversi, ma tutti hanno portato zero risultati. Cosa fare? Spostare personale ad altra amministrazione con incentivi? Ma perché questo si fa per la Difesa e non per altri settori, e poi se gli oneri sono a carico dell’amministrazione che riceve, per lo Stato si crea un ulteriore aggravio di spesa. Noi non vogliamo lasciare a casa nessun padre di famiglia, però i 30mila militari si devono spostare portandosi dietro il corrispettivo del costo dei loro stipendi. A queste condizioni per la loro ricollocazione c’è solo l’imbarazzo della scelta, dal controllo dell’ordine pubblico alla protezione civile, passando per la lotta all’evasione fiscale.

Veniamo al nodo cruciale degli F35, con una tempistica incredibile mentre il ministro-ammiraglio annunciava il taglio di 41 esemplari degli F35 da acquistare, il responsabile delle forniture del Pentagono e la stessa Lockheed Martin, azienda produttrice del Joint Strike Fighter, hanno detto che con i tagli dell’Italia e l’allungamento dei tempi di consegna dei prossimi 179 F35 nel corso dei prossimi 5 anni da parte degli Usa, il prezzo di ogni singolo caccia-bombardiere è destinato a salire ulteriormente. Quindi alla fine i risparmi potrebbero essere ben poca cosa ed inoltre rischiamo di acquistare aerei ancora non pronti a causa delle miriadi di problematiche tecniche riscontrate nello sviluppo. E siccome siamo solo all’inizio della partita F35 il rischio grosso è che la riforma che doveva razionalizzare le spese militari, alla fine potrebbe portare addirittura ad un loro aumento.

Per questo la campagna “Taglia le ali alle armi” prosegue ed intensifica la sua azione per chiedere di non acquistare il cacciabombardiere F35. Il 25 febbraio si è svolta una giornata di mobilitazione su tutto il territorio nazionale “100 piazze contro l’F35”, andata oltre ogni aspettativa. Sono state coinvolte centinaia di persone che hanno organizzato iniziative in decine di città, da Nord al Sud del Paese raccogliendo firme e informando le persone sulla realtà di questo progetto. Abbiamo scritto al Presidente Mario Monti per chiedere un incontro e consegnare le firme raccolte. Ad oggi le firme superano abbondantemente quota 50mila. Fino a quel momento la mobilitazione continua e invitiamo tutti a scaricare il modulo per la raccolta delle firme dal sito www.disarmo.org/nof35, e chiedere a parenti, amici e colleghi di firmare, sempre sul sito è possibile scaricare anche il dossier informativo sul caccia F35, dal titolo emblematico: “Tutto quello che dovreste sapere sul cacciabombardiere F35 e la Difesa non vi dice”.

Mentre il ministro Di Paola si appresta a gettare oltre 10 miliardi di euro per acquistare (al costo attuale) 90 inutili e pericolosi cacciabombardieri F35, il ministro per la Cooperazione Internazionale e l'integrazione Riccardi, dichiara che se non ci saranno risorse, nel 2013 il Servizio Civile non si farà. Occorre ricordare che in Italia, secondo la Corte Costituzionale, il Servizio Civile concorre, come il servizio militare, alla difesa della Patria; peccato che quest’anno al primo siano stati assegnati 68 milioni di euro, ed al secondo 23 miliardi di euro. Con il costo attuale di due caccia F35 si potrebbero far “partire” 50mila giovani per il Servizio Civile nazionale, assicurando la difesa del Paese con la coesione sociale, la tutela dei diritti dei più deboli, la protezione dell’ambiente e del nostro patrimonio storico ed artistico, la salvaguardia della legalità, la costruzione della solidarietà e della pace. Si tratta di un piccolo investimento per salvare il servizio civile da morte sicura. Oltretutto è un investimento nel futuro del Paese perché si permette ai giovani di fare un’importante esperienza di cittadinanza attiva.

Sono scelte politiche, la cartina di tornasole per capire se si vuole investire sulla pace o sulla guerra. Ci auguriamo anche che il Parlamento abbia un sussulto di dignità e che si riappropri del suo ruolo di indirizzo della politica della difesa, aprendo un’ampia discussione sul modello che deve avere il nostro Paese e poi decidere successivamente con che strumenti attuarlo. È venuta l’ora che il nostro Paese svuoti gli arsenali e riempia i granai.

* Rete Italiana per il Disarmo e Campagna Sbilanciamoci!



Marted́ 06 Marzo,2012 Ore: 15:19