Da “ovatta, ovatta” a “benda, benda”

di Renato Pierri

Ci si tappava le orecchie con le mani, e all’ultima parola si aggiungeva: “Ovatta, ovatta”. Significava che due metaforici batuffoli d’ovatta erano stati inseriti nelle orecchie, sì da non ascoltare l’ultima parola dell’interlocutore. Questo c’eravamo inventati da piccoli (e quante non ce ne inventavamo?), quando in una piccola contesa verbale tra fratelli, su un qualsiasi argomento, ognuno, sicuro d’avere ragione da vendere, pretendeva di avere l’ultima parola. Alle volte si trattava anche di piccole offese. “Sei uno stupido”; “no, stupido sarai tu”; “no, tu”; “no, tu”; “no, tu, ovatta ovatta”. E finiva lì. Finiva lì, ma in realtà la faccenda non funzionava proprio bene, perché l’altro alzando la voce si faceva sentire lo stesso, oppure aspettava che l’interlocutore si fosse stancato di tenere le mani sulle orecchie, nelle quali ben si sapeva che il metaforico batuffolo non sortiva effetto alcuno. Oggi, che di anni ne ho una bella quantità, ho rispolverato il metodo “ovatta, ovatta”, e ho scoperto che sulla Rete funziona perfettamente. E’ l’ideale. L’ho sperimentato sul blog “Come Gesù”, frequentato per lo più da religiosissime persone. Sulla Rete alle volte, anzi, molto spesso, stranamente ci si comporta peggio di noi fratelli quando eravamo piccoli: si vuole avere l’ultima parola a tutti i costi, anche quando ci si rende conto d’avere torto marcio, ed anzi questo è il caso in cui alcuni passano alle offese. E allora io non tappo le orecchie, ma bendo gli occhi, non dico “ovatta, ovatta”, ma “benda, benda”. Non leggo. Semplicemente non leggo. L’interlocutore magari è sicuro d’avere avuto l’ultima parola, è soddisfatto e io sono contento per lui e per me che ho evitato di assumere antiacidi.
Renato Pierri



Sabato 18 Marzo,2017 Ore: 09:59