Lettera
Cina: non basta il PIL per la qualità della vita

di Claudio Cossu

Ci parlavano tutti, politici, media, economisti saccenti e universitari, dell'esigenza di un 'alta crescita della produttività, di una seria politica industriale, di stabilità finanziaria, della necessità di rendere il Paese in pieno e florido sviluppo economico..., ma la Cina, dall'economia forte, altamente tecnologica, legata ad una continua innovazione, ad un'occupazione elevatissima, avente una politica attiva per la crescita, pareva - a detta di tanti soloni, esperti  di economia e professori illustri, bocconiani o della Luiss - che fosse un archetipo, una nuova Bengodi economica da imitare . E ancora, assenza di depressione, uno Stato che può vantare un cospicuo credito nei confronti degli USA,....e giù, ancora lodi per l'elevato PIL . Ma ecco, dal lontano Xinjang qualche anno addietro, si è accesa una dura contestazione, con  notevoli attentati, gli uiguri (cinesi di religione islamica) hanno preteso maggiore autonomia,  sono state effettuate contestazioni a quel sistema, con conseguenti dure repressioni di polizia, uiguri che vorrebbero solo, forse, un referendum per ottenere  una certa autonomia, come del resto è accaduto democraticamente nella Scozia del Regno Unito.  Ancora, ad Hong Kong, gli studenti si rivoltano attualmente perchè vorrebbero libere e democratiche elezioni, e con loro vi sono, nelle strade e nelle piazze, migliaia e migliaia di persone, gente comune che esige partecipazione, democrazia, diritti che ancora vengono negati. D'accordo, Hong Kong era una colonia dell'Impero britannico (1841- 1997) , abituata a vivere con regole di vera democrazia ed i suoi abitanti hanno una diversa, maggiore sensibilità di fronte alle esigenze di una libera partecipazione attiva alla vita politica del Paese.  Ma ritengo che la contestazione si allargherà, un domani non lontano, in tutto il territorio della vasta Cina, e quindi il discorso propagandato dai media e dagli economisti, nonchè dai politici italiani, imperniato su meri e freddi fattori puramente economici, sul trend della produttività, della crescita e dei consumi nonchè dello sviluppo industriale, da soli non possano reggere, quando l'uomo comune, della strada, lamenta un deficit di democrazia, di diritti umani, di regole democratiche su cui basare tutta una Società. Quello Stato, infatti, economicamente forte, è politicamente e socialmente divenuto sclerotico, gerarchico, burocraticamente cristallizzato su un partito assoluto, unico, che ormai non ricorda e non conosce nè ricorda la rivoluzione culturale, che, almeno, aveva una certa volontà di rinnovare  una classe dirigente bloccata da un apparato politico imbalsamato, ed era riconosciuta l'esigenza di un rinnovamento. La crescita economica, dunque, non può procedere continuamente, senza soluzione di continuità, se poi una classe politica dirigente non ascolta, con la dovuta attenzione, le esigenze di democrazia e di diritti umani trascurati (ed anche oscurati, nel caso della Cina) dei suoi cittadini. La produttività, ci insegna quel lontano Paese, non è sufficiente, non basta, da sola, a soddisfare completamente un popolo che vuole progredire, e, mutatis mutandis, aver posto nella propria Costituzione il pareggio di Bilancio, come ha fatto l'Italia, rectius : il Parlamento, quasi all'unanimità, ascoltando il bocconiano e già commissario europeo Mario Monti, non è stata certo una felice soluzione,sfociando in una vera strozzatura della libertà socio-politica, condizionando così tutta l'attività nazionale e, soprattutto lo Stato sociale . Cosa vogliono, infine, i contestatori, giovani ma anche anziani a Honk Kong : vogliono ottenere il suffragio universale per le elezioni del 2017. Pechino, infatti, ha promesso il suffragio universale in quell'anno,  per eleggere il Primo Ministro (chief executive), ora votato da un comitato di 1200  "grandi elettori", ma, peraltro, si potrà votare una rosa ristretta di nominativi scelti dal " Potere Centrale". Elezioni sì, ma si vota chi è stato già designato da Pechino. Le banche, il sistema economico ed i centri finanziari di quell'ex colonia, sono in subbuglio, gli investitori si dimostrano riluttanti, sconvolti per la rivolta, e i mercati, questo totem ineludibile e tremendo della nostra epoca, temono il peggio, cioè che il disordine spinga fuori da Hong Kong gli investimenti stranieri . Agli uomini della finanza e delle banche, infatti, premono soprattutto i businness, gli affari tout-court e questi provengono dalla stabilità e dalle certezze, poco importa se queste si basano su un grosso deficit di democrazia, di diritti umani e nel nostro caso, quasi un paradosso, sul potente e onnipresente Partito comunista (capitalista) cinese, stella tra le stelle della bandiera cinese. Certo, è ormai in atto la repressione della " rivolta degli ombrelli", ma la quiete fino a quando durerà?  Una lezione potremmo trarre da questa recente esperienza : la qualità della vita, la prosperità,  l'interazione delle idee e la vita culturale risiedono nella libertà  di pensiero e nella democrazia, ben poco contano i falsi idoli della BCE o dell'alta Finanza .
CLAUDIO COSSU - TRIESTE



Martedì 21 Ottobre,2014 Ore: 10:28