Un racconto dal Cairo
"Prima egiziani e poi cristiani o musulmani".

di Rassmea Salah

Il 7 gennaio la comunità copta ha festeggiato il Natale. Dopo l'attacco di Alessandria l'atmosfera era tesa. Rassmea Salah racconta dal Cairo "una realtà di convivenza e semplicità, di solidarietà e collaborazione che tanti giornali non narrano".


10/01/2011 21:07:33

Perplessità e sconcerto. Questa è l’aria che ancora oggi si respira al Cairo dopo il tragico attentato terroristico ad Alessandria.

L’atmosfera è stata tesa per tutta la prima settimana del nuovo anno specialmente durante la vigilia del Natale copto ortodosso, che cadeva di venerdì 7 gennaio. Il giorno prima, infatti, le grosse arterie stradali erano inspiegabilmente vuote, e il solito traffico cairota del giovedì sera (che potremmo considerare il nostro sabato sera), solitamente più aggressivo e congestionato degli altri giorni settimanali, era stranamente scorrevole e diradato. La gente aveva paura di uscire di casa, probabilmente, a causa delle continue minacce contro la Comunità Copta diffuse attraverso i mass media e il passaparola.

La sera della Vigilia, però, gli egiziani copti erano chiamati a partecipare alla santa Messa del Natale, dalle 20.00 sino a Mezzanotte circa. Alcune chiese erano circondate da cordoni polizieschi e le strade in cui erano presenti le principali basiliche con grande affluenza di fedeli erano chiuse al traffico, sia automobilistico che pedonale. Un rigido controllo permetteva l’ingresso in queste strade solo dopo aver mostrato la carta d’identità (dove è tuttora segnata l’appartenenza religiosa) e aver dimostrato di essere copti e di avere quindi il diritto ad entrare in quella strada per raggiungere la Chiesa.

Durante i primi giorni dopo l’attentato, non si faceva altro che parlarne, in famiglia, tra amici, a lavoro, musulmani e cristiani insieme. Il sentimento più diffuso era naturalmente lo shock da entrambe le parti, l’incredulità per quanto successo, il dolore per le vittime innocenti. Ciò che mi ha più toccata era la convinzione da entrambe le parti che la mano di quell’atto vile non potesse essere né egiziana, né tanto meno musulmana, bensì esterna. Senza alcun dubbio.

Era il continuo ripetersi a vicenda che la convivenza tra musulmani e cristiani in Egitto era sempre stata tranquilla da secoli e che, nonostante alcuni momenti storici di tensione, mai si era posto il problema della religione fra concittadini. Era il forte sentimento di appartenenza ad un’unica madre – la madre del mondo, come la chiamano gli arabi, “Omm ed dunya” -, cioè l’Egitto, che accomunava i fratelli musulmani e cristiani. Era la fermezza di definirsi prima di tutto egiziani e poi cristiani o musulmani.  Era la certezza che dietro quell’attentato ci fosse la chiara volontà di metterci gli uni contro gli altri. Ed era il desiderio di non dare a quella “forza nera” la soddisfazione di raggiungere questo obiettivo.

Sabato 8 gennaio sono stata ad un funerale islamico per la scomparsa del padre di un mio collega di lavoro. Ci sono andata con un’altra nostra collega, C., egiziana cattolica (una minoranza nella minoranza). Vestiva di nero e come suo solito portava una catenina d’oro al collo con un ciondolo a forma di croce, che su quel nero brillava ancor più. Siamo state le prime donne ad arrivare e ad accomodarci nella sala vicino alla moschea adibita per il funerale. La stanza pian piano iniziò a riempirsi di donne, tutte musulmane, velate, alcune col niqab, tutte in nero. Lei per rispetto ha tirato fuori dalla borsa un piccolo velo e si è coperta il capo.

Poco dopo è entrato il nostro collega e l’ha chiamata da parte: le ha consegnato un sacchetto di plastica pieno di librettini di preghiere per i defunti, invocazioni tratte dal Corano e dalla Sunna e le ha chiesto di distribuirli a tutte. Tra tante parenti e amiche musulmane lì presenti, lui aveva istintivamente scelto lei per quel compito, la sua amica C., senza badare alle differenze o preoccuparsi di cosa avrebbero pensato o detto i suoi famigliari per quella scelta.

Ho passato il pomeriggio, in quella sala, a commuovermi ogni volta che C. si alzava per consegnare alle nuove arrivate quei libricini di preghiera, con la sua croce d’oro al petto e il velo messo alla bene e meglio. Le donne guardavano la croce e il velo, e dopo un attimo di smarrimento, accettavano il libretto, le sorridevano, la ringraziavano, alcune la baciavano.

Quella distribuzione mi riempiva il cuore d’orgoglio. Dopo il funerale, alcune donne si sono addirittura avvicinate a lei per darle le condoglianze per le vittime di Alessandria. Non potrò mai dimenticare questa scena che mi ha fatto scoppiare in lacrime.

Questa è la realtà che tanti giornali non narrano ma che si vive qui al Cairo. Una realtà fatta di convivenza e semplicità, di solidarietà e collaborazione. È stato uno dei pomeriggi più intensi della mia vita. Ascoltando Corano, in moschea, mano nella mano con la mia amica C., con la sua croce d’oro al petto e il velo messo alla bene e meglio.

(10 gennaio 2011)

Articolo dal sito Minareti.it



Lunedì 24 Gennaio,2011 Ore: 16:13