LA SCOMUNICA, UNA LANCIA SPUNTATA

di Ernesto Miragoli

(24.06.14)
Ringrazio i miei lettori per l’interattività di questo sito. Ieri e oggi mi sono arrivate mail che mi chiedono cosa ne penso della scomunica ai mafiosi pronunciata dal papa sulla piana di Sibari e questo mi offre il destro per parlare di scomunica e di questa scomunica in particolare.
Il Diritto Canonico prevede due tipi di scomunica:” latae sententiae” e” ferendae sententiae”. In sostanza: la prima è legata al delitto stesso. Ad esempio: chi attenta alla vita del papa, oppure un prete che si sposa, è scomunicato latae sententiae, cioè non è necessario che alcun tribunale ecclesiastico istituisca un processo e irroghi la scomunica. Il secondo tipo di scomunica, invece, viene irrogato al cattolico dopo che un tribunale ecclesiastico ha considerato il delitto commesso.
Il Diritto Canonico prevede casi sia per il primo che per il secondo tipo di scomunica. Entrambe le scomuniche, però, debbono essere ufficializzate dal papa con apposita bolla.
Facciamo un passo indietro e vediamo il motivo per cui è nata l’istituzione giuridica della scomunica.
Il sostantivo ci illumina: chi è scomunicato è fuori dalla comunione ecclesiale, cioè non viene più ritenuto appartenente alla comunità cattolica.
Chi può decidere questo? L’autorità ecclesiastica, cioè il papa oppure il vescovo.
In forza di che cosa? In forza del potere che papi e vescovi sostengono sia loro derivato da Cristo che disse a Pietro: “A te darò le chiavi del regno dei cieli: qualunque cosa legherai sulla terra, sarà legata nei cieli e qualunque cosa scioglierai sulla terra, sarà sciolta nei cieli”. En passant ricordo che questo passo evangelico è a fondamento della teologia sacramentaria del sacramento della Riconciliazione.
Torniamo alla scomunica. Essa nacque per un motivo importante: la comunità cristiana si era organizzata e si era data delle regole, com’è giusto che sia in ogni gruppo che vive una vita sociale. Le regole dovevano essere rispettate e non c’era una forza coercitiva – ad esempio la magistratura o la polizia – che potesse far rispettare tali regole. L’unico mezzo era quello di dire chiaramente che chi non rispettava quelle regole non poteva più appartenere alla comunità perché tradiva princìpi nei quali la comunità si riconosceva e che erano essenziali all’identità della comunità stessa.
Fin qui tutto chiaro. Non solo, tutto ovvio.
Da quasi subito, però, il potere ecclesiastico si avvalse di questa prerogativa per fini politici, cioè di potere. I papi ed i vescovi scomunicavano chi non faceva quello che a loro garbava. E quel che garbava a loro non era propriamente attinente al messaggio evangelico, ma riguardava possedimenti territoriali, intrighi di palazzo e via elencando. Chissene, direte voi!
Beh…mica tanto chissene! Nel Medioevo, per esempio, se un feudatario, un re, un vassallo o un uomo di potere veniva scomunicato dall’autorità ecclesiastica perdeva diritto di credibilità presso i sudditi e, pertanto, perdeva potere reale: i sudditi non pagavano le tasse, non gli fornivano soldati per le guerre ecc.ecc.
Più tardi il potere ecclesiastico abusò dell’istituto della scomunica irrogando la pena a chi non la pensava come il potere centrale romano voleva che si pensasse. Senza andare troppo lontano pensiamo all’enciclica “Pascendi Dominici gregis” con la quale Pio X (S.Pio X !) scomunicò il movimento modernista per la quale soffrirono uomini di valore come Antonio Fogazzaro (ricordate il romanzo Il Santo?), il biblista Loysi e il teologo Ernesto Buonaiuti che fu ridotto allo stato laicale. Pio XII, con la Divini Redemptoris, scomunicò chi si era iscritto al Partito Comunista e solo Dio sa le sofferenze di tanti cattolici che in quelle idee si riconoscevano! Recentemente teologi come Leonardo Boff, Hans Kung, Tissa Balasurya (solo per citarne qualcuno) non furono proprio scomunicati, ma si videro privati dell’autorizzazione all’insegnamento universitario perché pubblicarono libri in odore di eresia.
Tutto questo per ribadire che la scomunica è stato troppo spesso usata come arma per costringere i cattolici ad adeguarsi ai voleri del potere centrale romano.
Il buon papa Francesco – che tanto predica che non dobbiamo giudicare nessuno (non più tardi di ieri l’ha detto nell’omelia quotidiana in Santa Marta) – ha già fatto uso della scomunica due volte in un anno e mezzo di pontificato: ha scomunicato una suora e una donna con tanto di notifica alle persone interessate da parte del vescovo locale. Ha fatto bene? Secondo me, no.
Diversa è la scomunica di Sibari. Perché non si tratta di scomunica vera e propria. Si tratta di riflessione autorevole sul fatto che chi è mafioso (con tutto quello che questo comporta) si pone di suo al di fuori della comunità cattolica. Questo ha detto il papa. Niente di più e niente di meno. Si è limitato a constatare che chi uccide, chi si organizza per imporre il proprio potere usando violenza e incutendo paura alla gente, chi danneggia cose e persone per intimidire chi non s’adegua a voleri di un boss locale, non può dire di appartenere alla comunità cattolica. I mafiosi se ne fregano. Continuano ad andare a messa, a chiamare il prete a celebrare battesimi, cresime, matrimoni e funerali dei loro congiunti, a fare offerte alla chiesa, a siglare i loro patti di sangue usando immaginette che ritraggono santi locali, a far seppellire i propri congiunti in chiesa (vedi il caso De Pedis) e di quel che dice il papa se ne fregano. Fino a quando lo dice, lo lasciano stare, se si spinge oltre gli fanno saltare l’abitazione in Santa Marta per intimidirlo. E se un prete prende sul serio la propria missione evangelica e li disturba un po’ troppo sa già che fine farà: don Diana docet.



Martedì 24 Giugno,2014 Ore: 15:03