LA SFIDA DEL PAPA E LA CHIESA LOCALE

don Gennaro Matino

La festa e il rumore delle grandi adunanze servono a tutti, anche a quelli che non credono al Vangelo che nella Chiesa sono in tanti e grazie a quel clamore riescono a far allontanare sguardi indiscreti dai loro comodi affari.
Piazze osannanti capaci di provocare l'emozione dei semplici, ma non l'ascolto significativo che solo la parola ruminata nel silenzio è in grado di inventare, quella che provoca incendi di senso.
L'ascolto faticoso della parola di Francesco dovrebbe provocare una riflessione attenta nella Chiesa locale che invece non c'è, se non marginalmente, non ne trovo traccia neppure in quella napoletana.
Dovrebbe portare a un'analisi della via da intraprendere per dare maggiore forza all'annuncio del Vangelo alla luce delle intuizioni del Papa, perché se il Papa ha ragione allora cambia il modo di fare Chiesa.
E se ha ragione e non trasformeremo le strutture di annuncio e di organizzazione di governo della Chiesa locale, la distanza tra la sua parola che oggi entusiasma le piazze e l'arretratezza del sistema Chiesa diventerà insuperabile.
La Chiesa e il mondo non si parleranno più per lungo tempo.
Sembrano più interessati alla parola di Francesco i media laici che tante diocesi, non mi risulta infatti che al di là di un generico consenso ci sia stato un convegno, un riferimento scritto sulla sua visione di Chiesa, qualche prospettiva pastorale che acchiappi le sue parole e le faccia diventare concreto percorso ecclesiale.
Non credo di esagerare.
Papa Francesco ha donato alla Chiesa un documento straordinario, l'esortazione Evangelii Gaudium, scrittura potente che in maniera semplice e diretta ridisegna la Chiesa del futuro.
«Sogno una scelta missionaria», scrive il Papa, «capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l'evangelizzazione del mondo attuale, più che per l'auto-preservazione. La riforma delle strutture si può intendere solo in questo senso: la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di "uscita" e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia».
Questa sua visione sta provocando scelte consequenziali o tutto resta ingessato come prima?
Una Chiesa più espansiva e aperta, dice Francesco, più attenta al tempo che allo spazio, perché il tempo è più ampio dello spazio, perché se la Chiesa sarà meno prigioniera dello spazio che vuole occupare a tutti i costi e meglio attrezzata a dialogare con la mutevolezza e la velocità del tempo, allora sarà capace di cantare i carmi del Signore in terra straniera.
Ma le Chiese locali hanno letto e ruminato la provocazione di Francesco?
Lo hanno forse criticato, ne hanno fatto materia di confronto tra preti e laici per reimpostare i piani pastorali diocesani?
Quante parole si sprecano per affermare la comunione ecclesiale, quante se ne vendono per rammentare che la Chiesa è forte di unità.
Francesco sta invitando la Chiesa e il mondo a rischiare parole nuove, a rendere possibile il sogno di una nuova avventura che abbatta le mura della separazione tra gli uomini e finalmente inauguri un tempo di pace.
Rischiare parole nuove non è semplice, lo sa bene Francesco e lo dovrebbe sapere ogni chiesa che sui diversi territori vuole dare ragione della speranza, ma questo è arte di chi sogna la possibilità di intravedere il futuro.
E chi sogna rimane eternamente giovane a qualsiasi età, mentre chi perde la capacità di sognare può essere irrimediabilmente vecchio anche da giovane, un museo da vistare più che uno spazio da vivere.
Rischiare le parole del futuro è parte integrante del sogno cristiano, dell'utopia del Maestro di Galilea.
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Articolo pubblicato su “la Repubblica Napoli” il 1.6.2014


Giovedì 05 Giugno,2014 Ore: 16:36