L'ottavo sacramento

di Mirella Camera

08 luglio 2013

Dal blog A latere

Che papa Francesco abbia portato una rivoluzione nella Chiesa lo pensano tutti, a cominciare dagli scandalizzati. Che ci sono, eccome se ci sono, anche se per ora rimangono abbastanza silenziosi e non osano contraddire apertamente la generalizzata simpatia che Bergoglio raccoglie. E questo dovrebbe ricordarci qualcosa...

In quasi tutti i commenti, però, la parola rivoluzione indica più che altro lo stile, decisamente alternativo, o la voglia di "pulizia" nei confronti di una Curia diventata ormai impopolare, o l'intenzione di "cambiare le strutture della Chiesa", come ha detto lui stesso nell'ultima omelia a Santa Marta, e primo fra tutti lo Ior le cui vicende scandalose hanno ormai raggiunto livelli di partecipazione un po' morbosa da grande romanzo giallo.

Secondo me, invece, la rivoluzione più grande che Francesco sta portando nella Chiesa non è nello stile o nelle strutture che per quanto importanti siano, rimangono sempre accidentali rispetto all'essenziale; ma proprio nel Magistero: raddrizzando, per così dire, la barca di Pietro e rimettendo la vela a quelle parole evangeliche che una troppo prudente navigazione nei mari burrascosi del mondo contemporaneo aveva fatto cacciare nella stiva. Prima fra tutte la parola povertà.

E qui nascono gli equivoci. Perché per il mondo "povertà" è solo una condizione economica che va trattata nell'ambito della prassi o della morale e quindi nelle politiche sociali o nelle pratiche di carità a seconda che il soggetto sia laico o religioso.

Mentre per Bergoglio la povertà è - deve essere - una condizione esistenziale di partenza, un disposizione dell'animo a farsi tabula rasa, a ripartire. A rinascere di nuovo.

"Come vorrei una Chiesa povera" non è (solo) il desiderio di deporre orpelli inutili che appesantiscono il cammino (non portate borsa, né bisaccia né sandali... Lc. 10,4) ma una disposizione spirituale, quella di una chiesa che si affida solo al suo Signore e non alla propria potenza fra le potenze del mondo.

In questa visione i poveri non sono solamente i fratelli più piccoli da aiutare perché non si perdano nel cammino, che dopotutto è un modo di porsi umanitario tranquillamente condivisibile anche con tanti non credenti; ma sono soprattutto il segno scelto da Cristo stesso per re-incarnarsi nella Storia (In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me, Mt 25,40)

Così quando Francesco durante la veglia pentecostale ha detto, papale papale: "I poveri sono la carne di Cristo", ha fatto un enorme atto di Magistero e li ha fatti diventare a tutti gli effetti l'ottavo sacramento, quasi equiparandolo all'Eucarestia. (E come non pensare subito al calice da messa di Lampedusa, ricavato dal legno delle barche dove erano ammassati gli immigrati e destinato a contenere il corpo di Cristo?)

Aspettiamoci lo scandalo, non appena lo ripeterà ancora e ancora, finché non sarà chiaro. Perché fare dei poveri in carne e ossa - i barboni nelle strade delle nostre città, gli immigrati che sbarcano sulle nostre coste, i licenziati e i senza lavoro che abitano nei nostri quartieri - fare di questi, dicevo, l'ottavo sacramento è duro da digerire.

Per ora facciamo finta di non aver capito la portata delle parole di papa Bergoglio, come da duemila anni abbiamo fatto con quelle chiarissime del vangelo; continuiamo a pensare ai poveri in termini caritatevoli (da buon prete), illuminati (da buon borghese), compassionevoli (da buon neoliberista) e non come la carne di Cristo.

Perché se salta fuori che è davvero questa la vela nuova che ha issato la barca di Pietro, non ce n'è più per nessuno: bisogna davvero cambiare rotta.




Martedì 09 Luglio,2013 Ore: 08:18