Tra il dire e il fare  

di Mirella Camera

Dal blog a latere

04 aprile 2013

Non c’è dubbio che papa Francesco, in appena tre settimane, abbia portato una rivoluzione. I giornali popolari si affannano a sottolineare i gesti che lo avvicinano alla gente - baci ai più piccoli, telefonate inaspettate agli amici, bagni di folla, persino la firma sul gesso di una bambina - mentre quelli più seriosi si avventurano nell’esegesi delle sue parole e nelle analisi dei suoi gesti, generalmente proiettando le proprie aspettative ben al di là del legittimamente immaginabile.

Qualcuno ha cominciato anche a lanciare frecce velenose , guarda caso dai siti tradizionalisti; e - non c’è da stupirsi - anche Sandro Magister ha cominciato pian piano a prendere le distanze facendo notare, acido, intanto cheBergoglio non è "dottore" e poi che le sue scelte di povertà possono far nascere “dentro e fuori il cattolicesimo cattive tentazioni: dalla liquidazione del governo centrale della Chiesa alla scomparsa del titolo di papa, dall’avvento di una “nuova Chiesa” spirituale alla umiliazione della bellezza che celebra Dio, cioè della simbolica di riti, abiti, arredi, edifici sacri. La modesta “ars celebrandi”, senza forza né splendore, della messa inaugurale del 19 marzo non ha aiutato a fugare quest’ultima tentazione”.

Secondo me la rivoluzione più radicale è nascosta nelle poche e semplici parole che ha pronunciato durante la benedizione Urbi et orbi: “(…) la forza della Risurrezione, questo passaggio dalla schiavitù del male alla libertà del bene, deve attuarsi in ogni tempo, negli spazi concreti della nostra esistenza, nella nostra vita di ogni giorno. (…) Lasciamo che la potenza del suo amore trasformi anche la nostra vita; e diventiamo strumenti di questa misericordia, canali attraverso i quali Dio possa irrigare la terra, custodire tutto il creato e far fiorire la giustizia e la pace”.

Nessuna traccia di “valori non negoziabili”. Nessuna contesa tra fede e ragione. Nemmeno l’ombra dello spauracchio del grande Nemico, il Relativismo. Nessuna contrapposizione fra Chiesa e mondo (agostinianamente: fra città di Dio e città degli uomini).
Piuttosto un dirigersi, rapido e preciso come un laser, al centro stesso del significato del cristianesimo: l’incarnazione. Quella di Cristo nella nostra carne, certo; ma subito dopo, in assoluta reciprocità, la nostra incarnazione nel Suo modo di essere. Senza questa risposta da parte di ciascuno di noi, la forza della Risurrezione rimane un’iniziativa divinamente solitaria, astratta, congelata, che rimane fuori dalla nostra storia. Un’iniziativa che rischia il fallimento. “Non chi dice Signore, Signore, ma chi fa la volontà del Padre mio….” (Mt 7,21)

Così, nel giro di pochissimo, il quadro di riferimento è cambiato. Si riparte da zero. Finito il tempo dei proclami cattolici, delle etichette doc, degli stendardi in battaglie ideologiche, dei “pacchetti all inclusive” di movimenti o personaggi sedicenti di chiesa, delle adesioni mentali o anche solo delle autodefinizioni senza riscontro alcuno.

Per non rendere vano il Cristo non abbiamo altra strada che incarnarlo. Nella vita di tutti i giorni, con le persone che abitano la nostra esistenza quotidiana, diventando la fonte d’acqua viva di cui parla Gesù (Gv 4,14). Questo è venuto a dirci papa Francesco.

E allora, se questa è l’urgenza, se questo è il messaggio dimenticato, se questa è la conversione che è venuto a proporci “dalla fine della terra”, possiamo anche capire come poco gli importi dell'appartamento papale, delle scarpette rosse, dei paramenti d’oro e di tutta la grandiosa bigiotteria ecclesiastica con cui la Chiesa infantilmente si illude di ammaliare gli uomini.

Ha ben altro di cui preoccuparsi.




Venerdì 05 Aprile,2013 Ore: 08:00