LA FRANCIA, LE "RADICI", E LA "GRANDEZZA". DALLA CARITA’ ("CHARITE’") DI PASCAL ALLA CARITA’ DI PAPA RAZTINGER ("DEUS CARITAS EST", 2006), DALLA CHIAREZZA E DISTINZIONE DI CARTESIO ALLA "CONFUSIO"-NE ("COMMUNIO"-NE) DI J.-L. MARION ...
DIFENDERE LA SOCIETA': RESTAURARE L'IDENTITA' 'NAZIONALE' E 'CATTOLICA'. IL PRESIDENTE SARKOZY E L'"IMMORTALE" J.-L. MARION SI PREPARANO. Sul tema, Philippe Bernard ("Le Monde"), Marcel Neusch e Isabelle de Gaulmyn("La Croix")

(...)Le incertezze politiche e la crisi economica hanno probabilmente avuto ragione delle convinzioni del capo dello Stato (...) I cattolici francesi cominciano a capire quale debba essere il loro ruolo, non è una cosa ovvia. Sono una minoranza, ma la minoranza più importante, che deve avere voce in capitolo (...)


a cura di Federico La Sala

 

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 Dalla diversità all’identità, la svolta di Nicolas Sarkozy

di Philippe Bernard (Le Monde, 21 gennaio 2010 - traduzione: www.finesettimana.org)

L’“identità nazionale” è una realtà che si forma lentamente nel corso degli anni, dei secoli, secondo la storia sociale e politica del paese e in particolare delle migrazioni che accoglie. Niente a che vedere con il ritmo indiavolato con il quale l’esecutivo francese attuale strumentalizza gli ingredienti del “vivere insieme”, emette messaggi contraddittori e fa succedere le une alle altre delle sequenze incoerenti, con il rischio di compromettere questo fragile equilibrio.

Chi se ne ricorda? Qualche mese fa, la Francia era immersa, sotto l’impulso di Nicolas Sarkozy, in un dibattito sulle “statistiche etniche” e sulla “discriminazione positiva”. A quell’epoca, si trattava di far evolvere la tradizione repubblicana di indifferenza alle origini e al colore della pelle, con l’intento dichiarato di lottare meglio contro le discriminazioni. Sarkozy diceva allora di voler riabilitare le “minoranze visibili”. “La Francia deve raccogliere la sfida del meticciato che ci rivolge il XXI secolo”, dichiarava. Volontà di promuovere un nuova idea di uguaglianza?

Fascinazione per il modello americano e recupero dell’Obamania? Strizzata d’occhi ai nuovi elettori provenienti dall’immigrazione? L’ardore presidenziale nel difendere il rispetto della “diversità” era tale che voleva perfino inserirlo nella Costituzione.

In quei tempi non così lontani, Yazid Sabeg, nuovo “commissario alla diversità e alle pari opportunità”, affermava che la Francia era “sulla strada dell’apartheid”, e sosteneva una legge destinata ad autorizzare la raccolta di dati sulle origini. Molto discussa, questa prospettiva fu abbandonata nel maggio 2009. Ma il comitato incaricato da Sabeg di proporre degli strumenti concreti di “misura della diversità” ha proseguito i suoi lavori, annunciando il suo rapporto per giugno. Sette mesi dopo, quel documento redatto sotto la direzione di François Héran, ex direttore dell’Institut national d’études démographiques (INED) non è ancora stato pubblicato.

Il fatto è che nel frattempo il vento è cambiato. Nel momento stesso in cui, l’autunno scorso, il capo dello Stato avrebbe dovuto trarre le conclusioni di questa vasta riflessione, incaricava Eric Besson di scrutare il paese nel profondo della sua identità nazionale. Conosciamo il seguito: un ritornello quotidiano che suggerisce all’opinione pubblica che la Francia non è più quella che era da quando degli immigrati, a volte musulmani, vi si sono stabiliti.

Questa volta, non si tratta più di promuovere una Francia meticcia, ma di preoccuparsene. Non si tratta più di lottare contro le discriminazioni ma di mostrare a dito coloro che “fanno macchia”. Dopo aver dato fuoco alle polveri delle “statistiche etniche”, Sarkozy fa il pompiere per ricucire un’identità nazionale minacciata.

Perché, a rischio di seminare confusione, il presidente della Repubblica ha così radicalmente cambiato opinione? Il rapporto Simone Veil che, nel dicembre 2008, rifiutava il riconoscimento delle differenze etniche nella sfera pubblica e a fortiori nel preambolo della Costituzione non sembrava averlo turbato: Sarkozy vi aveva risposto picche, nominando immediatamente Sabeg.

Le incertezze politiche e la crisi economica hanno probabilmente avuto ragione delle convinzioni del capo dello Stato. Con una disoccupazione galoppante e delle elezioni regionali difficili in prospettiva, non era più il caso di sostenere un discorso suscettibile di essere percepito come favorevole alla promozione, anche sul lavoro, di persone provenienti dall’immigrazione.

Il messaggio subliminale dell’ “identità nazionale” - quello dell’ostilità verso le persone di origine straniera - si ritiene più rassicurante per l’elettore. Di fatto, unito alla polemica sul burqa, appare efficace per relegare in secondo piano le difficoltà economiche. Le polemiche suscitate da Eric Besson e da Jean-François Copé occupano nettamente più spazio nei media che i 450 000 ulteriori disoccupati registrati in Francia nel 2009.

La cosa non è nuova. Nel 1932, in piena depressione economica e ondata xenofoba, una legge permise di fissare delle quote di stranieri nelle imprese. Negli anni seguenti alla crisi petrolifera del 1973, l’argomento della sostituzione degli immigrati maghrebini da parte di lavoratori francesi era un ritornello del governo, che il Front National ha poi saputo sfruttare.

Sorpresa: quel meccanismo oggi sembra inceppato. Il dibattito sull’identità nazionale arriva mentre i francesi hanno altre preoccupazioni. La “perdita dell’identità nazionale” arriva solo in undicesima posizione tra i “timori per la società francese” espressi da un sondaggio CSA del novembre 2008 confermato nel novembre 2009 da un’inchiesta inedita.

Quel lavoro, realizzato da vent’anni per la Commissione nazionale dei diritti umani, riflette un’accettazione relativa ma crescente della diversità francese. Ad esempio, il 60% delle persone interrogate nel 2000 riteneva che ci fossero “troppi immigrati” in Francia; oggi è solo il 39%. Allo stesso modo, il 73% dei francesi considerano gli immigrati come “una fonte di arricchimento culturale”, mentre erano solo 42% nel 1992.

Lontano dai clichés sfruttati dal ministro dell’immigrazione e dell’identità nazionale, sembra che i francesi abbiano sviluppato una certa resistenza alla manipolazione dell’etnicità e del sentimento nazionale.


  Un filosofo della ragione e della fede

  di Marcel Neusch (La Croix, 21 gennaio 2010 -traduzione: www.finesettimana.org)

L’elezione di Jean-Luc Marion sotto la Coupole non è stata una sorpresa, non solo perché lo si sapeva molto vicino al cardinale Jean-Marie Lustiger a cui succede, ma perché poche opere sono oggi in grado di rivaleggiare con la sua e pretendere un onore così alto come questa accoglienza solenne. Dalla sua tesi: Sur l’ontologie grise de Descartes (Vrin, 1975) fino alla recente raccolta di articoli: Le croire pour le voir (Parole et Silence, 2010), ha pubblicato non meno di venti titoli, la maggior parte tradotti, anche in giapponese, in russo e perfino in cinese.

Cofondatore della rivista cattolica internazionale Communio, uno dei suoi temi preferiti è il legame indissolubile tra ragione e fede. Non ha mai ammesso la loro separazione. “Forse si può perdere la fede, scrive, ma sicuramente non perché si guadagna in ragione.” All’inverso, la ragione può solo perdere razionalità escludendo la fede e il campo che essa apre, cioè la Rivelazione. Nell’epoca del nichilismo, non è la fede che corre il rischio di perdersi, ma la ragione. “Noi perdiamo la ragione perdendo la fede.” Era già la tesi di “l’idolo e la distanza”. Che Nietzsche parli del “crollo degli idoli”, o Hölderlin del “ritiro degli dei”, essi indicano la condizione necessaria per l’avvento di un “Dio più divino”.

Allora, come dire Dio? In Dieu sans l’être (Fayard, 1982), titolo di successo, Jean-Luc Marion prendeva atto del declino del discorso metafisico su Dio, senza però mettere la ragione fuori servizio. Mantiene tutto il suo spazio, non per provare l’esistenza di Dio, il che la porterebbe a fabbricare nuovi idoli, ma per accoglierlo come egli si rivela. “Dio può farsi pensare senza idolatria solamente a partire da sé solo.” Il luogo di un pensiero giusto su Dio non è altro che la sua rivelazione in Gesù Cristo, “icona del Dio invisibile”. L’icona non riduce la distanza, ma vi scava in profondità. “Il visibile non si presenta qui che in vista dell’invisibile.”

Si tratta quindi di pensare Dio fuori dalle categorie dell’essere, il che esige un’altra logica: una metafisica della carità. Essa è, secondo Pascal, dell’ordine del “cuore”, della carità e della santità (in opposizione all’ordine dei corpi e a quello dell’intelligenza). “In questo ordine, si vede solo se si dispone del significato appropriato, la carità stessa. E se ne dispone soltanto se vi si accede così come essa si dona, attraverso la fede. Per vedere, bisogna credere, ma credendo si fa solo opera di ragione. Di una grande ragione (Nietzsche) è vero, quindi tanto più di una ragione.”

“Qual è il luogo in me, dove possa venire in me il mio Dio?”, chiedeva Sant’Agostino. Nella sua rilettura delle Confessioni, Au lieu de soi (PUF, 2008), Jean-Luc Marion mostra che a differenza del Cogito cartesiano, centrato sul sé, la confessione si allarga subito a Dio: il sé diventa se stesso solo attraverso un altro. Così, all’inizio del pensiero, non c’è il sé. “’Io’ non è il primo venuto”.Solo Dio fissa le condizioni di Dio. Rendendosi visibile nel Crocifisso, si è rivelato come dono. Se la ragione può pervenire all’idea di dono e donazione, resta da fare il passo per riconoscervi il donatore. È l’assioma di Sant’Agostino che si impone per la guida della mente. “Comprendere, è la ricompensa della fede.”

Per quanto riguarda le procedure filosofiche messe in atto da Jean-Luc Marion, e da altri, Dominique Janicaud ha parlato di una “svolta teologica della fenomenologia francese” (L’Eclat, 1991), cioè di una sottrazione della ragione a beneficio della fede. Comunque sia, Jean-Luc Marion rivendica il titolo di intellettuale cattolico, a “servizio della razionalità nella Chiesa”. Il suo ruolo consiste in un “lavoro di argomentazione a partire dalla rivelazione. Si tratta di un nuovo sforzo di razionalità cristiana, per intervenire nella razionalità comune. Gli intellettuali tra i battezzati si definiranno per il contributo che vi apporteranno.” È anche a questo titolo di intellettuale cattolico che Jean-Luc Marion meritava di prender posto tra gli Immortali.


  “I cattolici francesi cominciano a capire qual è il loro ruolo”

  intervista a Jean-Luc Marion, filosofo

  a cura di Isabelle de Gaulmyn (La Croix, 21 gennaio 2010 - traduzione: www.finesettimana.org)

Il filosofo Jean-Luc Marion, 63 anni, cofondatore della rivista cristiana Communio, fa oggi pomeriggio il suo ingresso all’Académie Française, andando ad occupare il seggio che fu del cardinale Lustiger

Cristiano e filosofo: come articola questa sua doppia appartenenza?

Sono filosofo, esattamente come altri sono piloti di linea, ingegneri o banchieri! È un mestiere come un altro, nell’ordine della conoscenze, direbbe Pascal. L’identità cristiana non è dello stesso ordine della razionalità filosofica. Esistono dei filosofi che hanno delle opinioni religiose, e meno male! Ma non c’è in sé una “filosofia cattolica”, o una “filosofia cristiana”. È specifico delle ideologie, come il marxismo, voler battezzare le scienze umane. La rivelazione cristiana non dipende da una filosofia, grazie a Dio! Ma è vero che mi sono interessato di teologia perché la filosofia passa il tempo ad abbordare la teologia. In particolare quando ho scritto Dieu sans l’être. Non mi sono posto il problema dell’articolazione tra la mia fede cristiana e la filosofia, ma piuttosto il problema del diritto della filosofia di parlare di Dio, della rivelazione cristiana, e il problema dei limiti.

La rivista internazionale Communio, di cui lei è stato cofondatore, è stata a lungo considerata rappresentante di una corrente minoritaria della Chiesa del dopo-Vaticano II. Posizione che, oggi, sembra si sia capovolta?

Nella storia della Chiesa, un Concilio non risponde tanto ad una crisi, quanto piuttosto la provoca. È stato il caso del Vaticano II, che ha provocato una crisi. Secondo me, ciò deriva dal fatto che, dopo il Concilio, certi sono rimasti sulla rottura tra progressisti e conservatori che giustamente il Vaticano II ha voluto superare e risolvere. La scelta che è stata proposta ai cattolici tra i due atteggiamenti, quello progressista e quello conservatore, era sbagliata. Altri, come Urs von Balthasar, Karol Wojtyla o Jean-Marie Lustiger hanno al contrario riletto il Concilio in una prospettiva diversa, alla luce dei Padri della Chiesa, in un movimento di riscoperta patristica. La rivista Communio ha sostenuto questo movimento, e sono trentacinque anni che questa rivista, gestita principalmente da laici, funziona, senza sovvenzioni.

Lei non teme tuttavia oggi un ripiegamento identitario da parte dei cattolici in Francia?

No, non credo, non è un movimento importante. I cattolici francesi cominciano a capire quale debba essere il loro ruolo, non è una cosa ovvia. Sono una minoranza, ma la minoranza più importante, che deve avere voce in capitolo. Certi cristiani si irrigidiscono in uno stato caduco e passato della filosofia, appartenente ad un’epoca scolastica, in cui la razionalità era definita in maniera restrittiva, dove il confronto tra fede e ragione non esisteva. Ma non hanno capito niente delle sfide attuali.

Appunto, perché lei insiste sul legame indissolubile tra fede e ragione?

Credo che siamo arrivati ad un momento chiave di questa riflessione. Coloro che oppongono fede e ragione hanno una visione della fede come qualcosa che non ha logica. Invece c’è una logica di Dio nella rivelazione cristiana, perché Dio è il logos, la ragione. E le stesse persone che negano questa parte di riconquista della ragione da parte della fede riconoscono oggi che ci troviamo di fronte ad una crisi della razionalità: chi può dire, dopo il XX secolo, che cosa si intende per ragione? La frontiera tra il razionale e il non-razionale non ha più nulla di evidente. La scienza non è più la verità assoluta come si è voluto credere, il progresso scientifico prende anch’esso ormai l’aspetto della minaccia, è assolutamente evidente con la crisi ecologica. In quella che chiamo “l’inquietudine razionale”, i cristiani hanno il loro spazio, e il loro contributo può essere fondamentale. A condizione che non portino nel dibattito delle convinzioni frenetiche, ma delle posizioni ragionevoli. “Mantenersi ragionevoli”, ecco ciò per cui i cristiani sono forse ben qualificati, perché il loro Dio non è un Dio dell’onnipotenza irrazionale, ma il Dio del logos.

All’Académie française lei succederà al cardinale Jean-Marie Lustiger, che ha conosciuto molto bene...

L’ho conosciuto nel 1968. Da allora, questo rapporto non si è mai smentito: ho lavorato con lui per venticinque anni, mi ha sposato, mi ha sostenuto nei momenti difficili. Era insieme un rapporto filiale (avevamo una ventina d’anni di differenza) ed un’amicizia molto profonda, dal 1968 fino alla sua morte. La mia opinione è che non si è ancora vista la grandezza di quest’uomo. La gente comincerà a prendere coscienza del suo valore. Comprenderà che l’uomo, con tutte le sue dimensioni, spirituale, politica, intellettuale, personale, aveva una statura paragonabile a quella di un Padre della Chiesa.


SUL TEMA,  IN RETE, SI CFR.:

 Jean-Luc Marion: “Penseur de fond” di Nicolas Weill (Le Monde, 22 gennaio 2010 - traduzione: www.finesettimana.org)

 SULLA VISITA ALLA SINAGOGA DI BENEDETTO XVI. Il commento di Franck Nouchi ("Le Monde") e Bernard Henri-Lévy ("Corriere della Sera")

   DIO E’ VALORE ("CARITAS") E HA LA SUA LOGICA: "LE FEDI COME LE AZIENDE ASPIRANO AL MONOPOLIO". Una recensione di Paolo Mieli, del libro di Philippe Simonnot, "Il mercato di Dio. La matrice economica di ebraismo, cristianesimo, islam".

  INDIETRO NON SI TORNA. GIOVANNI PAOLO II, L’ULTIMO PAPA ...

  RADICI EUROPEE. EU-ROPA E AMORE ("CHARITAS") EU-ANGELICO. Che cosa significa essere "eu-ropeuo" 
  CHARITE’: BERLINO RICORDA A PAPA RATZINGER IL NOME ESATTO DELL’ OSPEDALE E DELLA FACOLTA’ DI MEDICINA.

  La Fenomenologia e ... 
  L’EMERGENZA DELLA VITA E DELLA VERITA’. A MICHEL HENRY (1922-2002), IN MEMORIA. Una presentazione del suo lavoro "C’est Moi la Vérité" (1996) e una conversazione (2001) sulla psicoanalisi con Sergio Benvenuto

  RENE’ GIRARD INSISTE: DIO NON E’ VIOLENTO. MA CONFONDE IL PADRE NOSTRO (DEUS CHARITAS EST) CON IL DIO DEL CATTOLICISMO PLATONICO-ROMANO DI RATZINGER ("DEUS CARITAS EST", 2006) E RICADE NELLE BRACCIA DI "MAMMASANTISSIMA". UN’ INTERVISTA DI FRANÇOIS D’ALANÇON

  Per una nuova antropologia e una nuova pedagogia - quella dell’Amore (Deus charitas est), non quella di "Mammasantissima" e di "Mammona" ("Deus caritas est") della Chiesa Cattolico-romana!!! 
  SESSO (EROS) E AMORE (AGAPE, CHARITAS). L’ARTE DI AMARE: COSTITUZIONE E "KAMASUTRA". La lezione di Sigmund Freud (l’"Istruzione sessuale dei bambini") e una nota di Federico La Sala

  FOUCAULT, HADOT, PROSPERI, VATTIMO. L’ "addio alla verità" degli antichi e la coraggiosa proposta della carità ("charitas"), oggi. Materiali sul tema

 

 

 

 


Venerdì 22 Gennaio,2010 Ore: 10:44