A PROPOSITO DEL SISTEMA SANITARIO DELLA REGIONE LOMBARDIA

di Giorgio Lambertenghi Deliliers (Presidente AMCI-Milano)

Un documento della sezione di Milano dell’Associazione Medici Cattolici Italiani a difesa di alcuni fondamentali principi etici che ispirano la professione medica.


(documento della Sezione di Milano dell’Associazione Medici Cattolici Italiani)
L’allarme circa il funzionamento del sistema sanitario anche della Regione Lombardia non può certo limitarsi ai casi più clamorosi che periodicamente approdano alla cronaca giudiziaria. Tali vicende, pur essendo eccezionali, riflettono tuttavia difetti strutturali non meno preoccupanti.
L’attuale organizzazione del sistema sanitario della Regione Lombardia è stata originariamente motivata dall’intenzione di rimediare ad alcuni gravi difetti tipici della gestione pubblica delle istituzioni sanitarie, sostanzialmente riducibili all’inefficienza di tali istituzioni, ossia all’esorbitante spreco di risorse non solo materiali, ma anche di personale che le caratterizza. Le lunghe liste di attesa imposte a coloro che chiedono prestazioni di natura sanitaria ne sono l’espressione più clamorosa. Causa non secondaria dell'inefficienza del sistema sanitario pubblico è la sua gestione “politica”, nel senso deteriore del termine, per cui la selezione del personale – specialmente quello con compiti di responsabilità – è attuata secondo criteri riconducibili non tanto alla competenza professionale, quanto alla appartenenza politica, ossia alla fedeltà a partiti, a loro fazioni, correnti o analoghi gruppi di interesse.
Per rimediare a tali difetti sono stati attivati due principali rimedi. Il primo riguarda il modo di finanziamento delle istituzioni sanitarie pubbliche da parte dell’amministrazione regionale: al pagamento “a pie’ di lista” dei costi sostenuti dall’istituzione è stato sostituito quello indicato con la sigla DRG, una specie di tariffario che predetermina per ogni tipo di prestazione il rimborso offerto dall'amministrazione regionale (le tariffe, per altro, variano notevolmente a livello nazionale da regione a regione, senza plausibile motivazione). Il secondo rimedio consiste nell’estensione di tale modalità di finanziamento anche alle istituzioni private, previo accreditamento da parte dell’amministrazione stessa: ai cittadini è quindi affidata la facoltà di scegliere liberamente, ossia senza aggravio di spesa a proprio carico, tra il servizio “pubblico” e quello “privato”. Mentre il primo rimedio intendeva essere uno stimolo interno all’efficienza delle istituzioni pubbliche, al fine di incrementarne la produttività, il secondo si proponeva di far leva su uno stimolo esterno, istituendo un regime di concorrenza tra le istituzioni sanitarie pubbliche e private.
Quali i risultati di simile ristrutturazione? Non sono certo trascurabili gli effetti positivi, conformemente all'intenzione originaria. Ma neppure possono essere ignorati rilevanti lacune ed effetti collaterali negativi. In primo luogo, per quanto concerne la gestione “politica” del settore pubblico, non sembra che si siano prodotti significativi miglioramenti rispetto alla situazione precedente al fine ridare il primato alla competenza per quanto concerne la selezione del personale medico. I cambiamenti riflettono eventualmente l’avvicendamento dell’influenza di partiti, fazioni e gruppi di interesse. In secondo luogo,per quanto riguarda il regime di concorrenza tra pubblico e privato, esso si è effettivamente istaurato, ma producendo anche inquietanti distorsioni laddove il settore privato è gestito principalmente secondo la logica mercantile del profitto. Più precisamente: la logica mercantile ha ben presto manifestato la sua incompatibilità con l’etica professionale medica.
Che le prestazioni mediche esigano tuttora uno specifico ethos, meritevole di essere anche istituzionalizzato e giuridicamente sanzionato all'insegna dell'idea di "professione" e dei rispettivi codici deontologici, dovrebbe essere evidente. È certamente vero che nella nostra società il livello medio di competenza dei pazienti in materia sanitaria è aumentato rispetto al passato. È anche vero però che solitamente permane una radicale asimmetria informativa tra il paziente e il medico: anzi, il continuo progresso scientifico e tecnico, e la corrispondente specializzazione, aggravano proporzionalmente tale asimmetria. Il singolo paziente non è normalmente in grado di giudicare da sé se una particolare diagnosi è adeguata e se la specifica terapia che gli viene proposta è per lui la migliore possibile. A tale riguardo egli è costretto ad affidarsi alla discrezione del medico. Proprio per questo il medico, per quanto possibile, deve essere nella condizione di evitare conflitti di interesse che metterebbero a rischio la sua autonomia di giudizio e di decisione, finalizzata al migliore interesse del paziente. Tale autonomia è uno dei principali canoni di qualsiasi etica professionale, e tipicamente dell'etica della professione medica: se essa fosse compromessa il sospetto, la sfiducia e il discredito nei confronti delle istituzioni sanitarie diventerebbero generali, e sarebbe gravemente impedita una pratica necessaria per il benessere individuale e per lo stesso bene comune.
E’ evidente che un medico dipendente da istituzioni sanitarie “private”, gestite secondo criteri di mercato, tipicamente la massimizzazione del profitto, è tendenzialmente esposto a pressioni prodotte dal conflitto d’interessi. Se, per esempio, la sua retribuzione è fatta dipendere dalla quantità di prestazioni più vantaggiose per il datore di lavoro, la sua autonomia di giudizio verrebbe seriamente compromessa; sarebbe indotto a sostituire, quale criterio di scelta, il migliore interesse del proprietario o del gestore dell’istituzione a quello del paziente.
Probabilmente analoghi inconvenienti si producono anche nel settore pubblico. Ciò evidentemente non costituisce una scusante per ignorare il problema e la ricerca di soluzioni efficaci e compatibili con l'etica professionale del medico. Autorevole stimolo a tale ricerca proviene anche dal magistero ecclesiale, in particolare dalla recente enciclica Caritas in Veritate di papa Benedetto XVI. I due principi etici complementari – di sussidiarietà e di solidarietà – riproposti dall'enciclica esigono, a livello di politica sanitaria, di affrontare i vari problemi con il solo obiettivo di realizzare il bene comune, lontano dalla visione produttivistica e utilitaristica della malattia. Criteri aziendalistici sono accettabili solo se finalizzati a ottimizzare l'assistenza del malato e la tutela della sua salute e a non escludere dalle cure situazioni non remunerative sul piano economico, quali ad esempio la vecchiaia, la grave disabilità, e le malattie terminali.
Prof. Giorgio Lambertenghi Deliliers
(a nome del Consiglio Direttivo dell’Associazione Italiana Medici Cattolici-sezione di Milano)


Martedì 29 Giugno,2010 Ore: 15:57