L'alternativa di Syriza: passare sotto la tavola o rovesciarla

di Frédéric Lordon

Le Monde Diplomatique - lunedì 19 gennaio 2015 - [Parte prima] - (Traduzione dal francese di José F. Padova)


Di seguito la prima parte di una disamina, recisa e tutta da dimostrare, pubblicata su Le Monde Diplomatique di gennaio 2015. L'autore vede nella parabola politica di Syriza degli ultimi due anni una deriva diluitrice delle posizioni radicali degli inizi. Potrebbe trattarsi d'incoerenza o invece di realismo politico? E la Germania è davvero tanto ciecamente e testardamente fissata sulla sua religione di austerità e bilanci in pari da negare a sé stessa il mantenimento del predominio attuale sull'Europa? La seconda parte appena possibile. (JFPadova)

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Domenica prossima, 25 gennaio, avranno luogo in Grecia elezioni legislative che potrebbero avverarsi come storiche: Syriza, la coalizione di sinistra di Alexis Tsipras, è in testa nei sondaggi. Ma per Frédéric Lordon la morsa tedesca e le incongruenze della formazione politica greca la condannano a dolorose acrobazie…
Da lungo tempo ormai l'Europa si è rinserrata da sé nella trappola costituzionale dei Trattati liberisti, per emergere dai quali non ha lasciato altro che due vie d'uscita, e due soltanto: 1) il crollo finanziario di tutta la costruzione sotto il peso delle sue contraddizioni interne ,oppure 2) un evento politico che rovesci il tavolo. Poiché la prima uscita è stata - temporaneamente - arginata dall'annuncio del programma di acquisto titoli della Banca Centrale Europea (BCE) [1], resta solo la seconda, motivo che porta il grande partito istituzionale europeista a guardare alla democrazia non come a uno stato normale della vita politica, ma come a una fonte permanente di minacce, il cui soffocamento giustifica ogni mezzo inpiegato.
Da questo punto di vista occorre lodare la perseveranza nel suo essere [sempre la stessa] della Corea del Nord, che offre agli Europei l'inalterabile strumento per rassicurarsi circa le loro convinzioni democratiche, tanto che il Presidente della Commissione dichiara di avere una netta preferenza per «ritrovare facce note» dopo lo scrutinio legislativo greco e che il commissario Moscovici si spreca in una visita sul posto per incoraggiare, in mancanza di bene-essere, il bene-votare, tutte ingerenze queste che la dicono lunga circa la considerazione che le istituzioni europee hanno per la sovranità dei popoli.
Senza interrogarsi oltre sulla solidità del catenaccio per chiudere la via 1) (il Quantitative Easing di Draghi), può darsi che il livello di confisca [ndt.: da parte di Bruxelles] delle istituzioni politiche in quasi tutti i Paesi lasci una minima chance alla via 2) - eccetto beninteso una sollevazione popolare in debita forma? L'esperienza Syriza, se avrà luogo, ci darà rapidamente una risposta. Non si può dire che le cose si presentino a Tsipras in forma ideale. Il fatto è che la Germania, ben consapevole del pericolo, ha messo anticipatamente sapone sul pavimento, dichiarando che l'uscita della Grecia è un'eventualità alla quale la zona euro potrebbe ormai fare fronte molto bene, modo questo di fissare fin da subito i termini del rapporto di forza che non mancherà di formarsi dal momento che un governo Syriza in funzione farà conoscere i suoi intenti per il rinegoziato [del suo debito]..
«La CDU» e «l'egoismo», ovvero il rifugio della cecità europeista
In genere questo è un brutto momento per i commentatori europeisti, disperati per questa ostinazione nella rigidità che finisce - se ne rendono ben conto - per fabbricare un'Europa dalla faccia di m… e che, per contenere la sua prostrazione, non ha trovato nulla di meglio che la doppia risorsa di mettere la cosa sul conto della CDU [2] [ndt.: il partito della Merkel] («Questa non è la Germania, è la destra tedesca») oppure su quello dell'egoismo («I tedeschi non vogliono pagare per gli altri»). Evidentemente la doppia risorsa è un doppio errore, come è sufficiente a farlo riconoscere anzitutto l'adesione zelante ai principi dell'Europa liberale della «sinistra» francese e in effetti di tutte le sinistre di destra europee, equivalenti funzionali del SPD [3] [Partito socialista], anch'esso altrettanto destrorso come tutti quanti gli altri. Ma lo dimostra ugualmente la permanenza del povero riflesso «intellettuale», che ritorna sistematicamente alla spiegazione moralistica delle cose o alla spiegazione delle cose mediante la morale, se necessario mediante l'«egoismo», quando evidentemente la «solidarietà» risolverebbe tutti i nostri problemi - miseria di una costruzione politica che non ha più che il ricorso alla virtù per sperare di contenere le sue tare congenite.
Ora nulla, in questa faccenda tedesca, ha a che vedere né con la «destra» né con l'«egoismo», il tutto condito con la difesa di principi - che non hanno alcunché di morale. Principi monetari, iscritti in una credenza collettiva, transpartitica, formata sul trauma dell'iperinflazione del 1923, concepita a torto o a ragione - in questo caso, a torto - come l'anticamera del disastro estremo, il nazismo.
Resta il fatto che, nei negoziati a ripetizione con la Grecia, per la Germania è in gioco meno il «pagare» o il «non pagare» e più il mantenimento dei principi di ortodossia - equilibrio dei bilanci, indipendenza assoluta della Banca Centrale, divieto di qualsiasi finanziamento monetario dei deficit - dei quali essa si è fatta una Costituzione economica, un'identità nazionale di rimpiazzo, un bastione immaginario contro il caos sociale e la conditio sine qua non della sua partecipazione alla moneta unica. Alla perdita di miliardi di euro la Germania acconsentirebbe senza battere ciglio, se per caso l'abbandono da parte dell'Europa degli imperativi categorici monetari, da essa imposti fino ad ora, la determinasse ad uscire - proprio lei! - dall'euro, al prezzo di una rivalutazione del neo-marco che silurerebbe i suoi surplus commerciali. Ma piuttosto questo che trasgredire. E piuttosto sola con i suoi principi che male accompagnata da irresponsabili.
Merkel bluffa? No
Come spesso accade, la salvaguardia dei valori più sacri si accompagna alle manovre più torbide. Non sfugge ad alcuno che, specialmente dopo le dichiarazioni di Angela Merkel, sta per mettersi in movimento un grande gioco del poker, con strategie di pre-intimidazione e costruzione anticipata del rapporto di forza. Al poker, come si sa, tutta l'arte sta nella valutazione del bluff. La Merkel sta bluffando?
C'è di che porsi la domanda quando si conoscono le angosce che hanno accompagnato nel 2012 l'eventualità di un'uscita della Grecia [dall'euro]. Le cose in seguito sono cambiate così da dare nuovo credito all'apparente leggerezza tedesca riguardo a questa prospettiva? Di fatto sì e per una ragione essenziale: la ristrutturazione del debito greco del 2012, di tale misura che ha avuto come effetto, dopo la digestione del haircut da parte dei creditori privati [4], di rimettere la maggior parte dei titoli greci nelle mani dei creditori pubblici - l'Unione Europea (Unione Europea), il Meccanismo europeo di stabilità (MES), il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la BCE, che tutti insieme detengono 254 miliardi di euro [5] contro i 44 del settore privato. Ora, i timori che ispirava lo scenario di un'uscita della Grecia erano essenzialmente legati alla riattivazione di un rischio sistemico in caso di default su un debito all'epoca di 360 miliardi di euro, ma soprattutto nel portafoglio degli investitori privati per quasi l'85%. Il fatto stesso della ristrutturazione avrà dimostrato che questo timore era probabilmente esagerato, perché la sfera dei creditori privati avrà assorbito perdite fra il 50% e il 70% del valore nominale senza apparente danno. A fortiori quindi il rischio sistemico adesso non è più attuale - «si può farlo» conclude la Germania, che non ha mai smesso di pensare alle sue banche implicate in tutto questo affare [6].
Se gli effetti collaterali a quelli specificamente finanziari di una uscita-default sembrano essere abbastanza controllabili, che ne è tuttavia degli effetti collaterali politici - in altre parole, del contagio? Perché è del tutto certo che l'uscita di un Paese avrebbe l'effetto di un colpo di fulmine, con forti proprietà di emulazione. Specialmente in Portogallo e Spagna, dove si devono tenere elezioni legislative rispettivamente in novembre e dicembre 2015. Ma in quel momento preciso a che punto saranno gli effetti di emulazione? Probabilmente non nel punto migliore, temiamo. Perché occorre l'onestà di riconoscere che fra difficoltà logistiche connesse alla reintroduzione della dracma, a imperfezioni nella messa in funzione del controllo sui capitali, alla super-svalutazione di fatto, all'immediatezza dell'inflazione importata, ai tempi di risposta delle esportazioni, ecc., un processo di uscita-default comincerebbe con una fase abbastanza caotica, in cui la stabilizzazione e poi la materializzazione dei benefici richiederebbero almeno dodici e più probabilmente diciotto mesi. La fine del 2015 sarebbe il fondo del fossato - ovvero la peggiore immagine possibile da offrire per una strategia di uscita dall'euro e un bocconcino prelibato per quegli europeisti del «ve l'avevamo ben detto».
Non c'è forse una contraddizione nella posizione tedesca? Perché la Germania dichiara in anticipo di opporsi a qualsiasi ristrutturazione del debito detenuto dai creditori pubblici se la Grecia resta… ma avrebbe soltanto da gettare i titoli greci fra la carta straccia nel caso la Grecia uscisse. Annunciare prima che una perdita benché minima è intollerabile, per poi consentire - di fatto - a perdere tutto dopo è un segno di una logica un poco masochistica. E più o meno credibile. Tuttavia in questo non vi è contraddizione se non riferita a una logica incompleta, perché si deve dire una volta di più che la Germania tiene ai suoi soldi meno di quanto tenga ai suoi principi. Rifiutare concessioni in materia di debito greco non ha a che vedere con un egoismo che vuole fare economie, ma con la conservazione di un dogma monetario - quello che la Germania ha imposto all'Europa monetaria, il cui rigoroso mantenimento è condizione della sua stessa partecipazione e per il quale è pronta a pagare miliardi.
La negoziazione o l'incertezza di ciò che c'è sotto
In queste condizioni, diciamolo subito che, per Syriza, il neonato è in posizione podalica. È pur vero che il partito di Tsipras si è messo da solo in difficoltà, sostenendo, con la più completa incongruenza, sia il suo progetto di opporsi al memorandum [ndt.: il diktat di Germania e Troika] sia il suo desiderio di rimanere nell'euro. Vi era qui una contraddizione che la sua ala sinistra, impersonata da economisti come Stathis Kouvelakis, non aveva mancato di fare notare, e per di più già da tempo: il margine di transazione con Euro-Germania sul debito greco è stato esaurito con la ristrutturazione imposta ai creditori privati, immaginare che potrebbe essere estesa ai creditori pubblici, a fortiori quando fra questi si conta la BCE, costituisce adesso un sogno ad occhi aperti.
Per Syriza l'alternativa è quindi molto semplice: piegarsi o mandare tutto all'aria. Senza che vi sia una terza possibilità. E Tsipras, se immagina di poter restare nell'euro e ottenere per di più qualche nocciolina, si racconta frottole. Senza dubbio si potrà contare sui commentatori europeisti per farci apparire le bagatelle come giganteschi progressi, perfino forse come vittorie trionfali, in ogni caso la dimostrazione nei fatti della formidabile flessibilità delle istituzioni europee. La verità è che Tsipras non oltrepasserà lo stadio dell'aperitivo, e piuttosto a basso prezzo, perché l'Euro-Germania non cederà nulla di significativo - se chiedesse di più la Merkel gli indicherebbe la porta.
Ma che cosa vuole Tsipras, esattamente? Tendenzialmente sempre meno, così sembra. In due anni Syriza è passata da un rifiuto totale del memorandum a uno scaglionamento molto ragionevole del debito detenuto dai creditori pubblici. È certo che a questo grado di diluizione, per non dire di rinuncia, le contraddizioni sono meno acute. Ogni impresa di alleggerimento effettivo del debito e di liberazione dalla camicia di forza delle politiche economiche porterebbe a un'espulsione di fatto dalla zona euro, a proposito della quale si noterà che non c'è bisogno di una clausola (che in questo caso manca) dei Trattati europei per procedervi, così come il caso cipriota ha cominciato a dimostrare: per la BCE è sufficiente mettere il sistema bancario greco sotto embargo - in concreto: impedirgli l'accesso al rifinanziamento - per fargli subire nelle 24 ore una tale tensione d'illiquidità che soltanto la ricostituzione con la massima urgenza di una Banca centrale nazionale è il solo mezzo per salvarsi dal crollo totale. E questa ricostituzione equivale a quella di una moneta nazionale, perché la BCE non riconoscerebbe come euro le emissioni monetarie provenienti da fonti autonome, situate fuori dal suo controllo. Le banche greche potrebbero essere abbastanza presto reintegrate nel circuito internazionale dei pagamenti interbancari, tuttavia tutto ciò che proverrebbe da esse sarebbe considerato dracma, all'occorrenza un tasso di cambio di uno a uno all'ora zero, in attesa del tracollo che non mancherebbe di accadere.
La via rettilinea dalla normalizzazione alla disillusione
Sarebbero quindi l'euro o la camicia di forza finanziaria a trovarsi in mutande, o nessuna delle due. Ora, nulla sembra prepari a questa seconda possibilità dell'alternativa, se si considera sia la deriva politica di Syriza, sia il pretesto che le danno i sondaggi, che assicurano come la popolazione greca resti attaccata alla moneta unica - e a ragion veduta: Syriza, derivando, ha di fatto rinunciato a produrre lo sforzo necessario per fissare nell'opinione pubblica l'abbandono del'euro come una possibile opzione, adeguata per esempio a una strategia di scontro graduale, alla fine della quale l'arma ultimativa dell'uscita dall'euro è indicata come solidamente integrata nell'insieme dell'arsenale.
Eppure non se ne esce, da questi abbandoni successivi che hanno portato un movimento promettente a una tanto rapida normalizzazione; e che lo condannano a breve scadenza a disillusioni dolorose: perché occorre avere un animo ben saldo per immaginare che semplici operazioni di rinnovato scaglionamento, in una politica economica invariante su scala mondiale, potrebbero avere qualche effetto significativo sull'economia greca, della quale si deve ricordare la perdita del 20% del PIL dal 2010 - ovvero un risultato che rammenta gli annali della Grande Depressione tipo USA anni '30, ma senza New Deal per venirne fuori.
Quindi non se ne esce ma, di fatto, se sì, se ne viene fuori molto bene. Perché qui vi è l'effetto schiacciante delle istituzioni proprie del parlamentarismo, il cui gioco regolamentato condanna irresistibilmente le rotture politiche, subitamente magnetizzate dall'obiettivo elettorale, così da tradire necessariamente tutto quello che è stato prodotto dalla loro fragorosa entrata in scena, deviando il loro corso verso il centro, nel modo in cui Syriza ha intrapreso a recuperare le truppe disperse del Pasok [ndt. Il partito socialista dei Papandreu] - un destino che Podemos conoscerà a sua volta, non 'è da dubitarne (ma che in realtà è già avvenuto).
Dopo due anni di edulcorazione già tanto pronunciata, non sarebbe forse un miracolo politico se Syriza avesse la risorsa interna di ritornare al suo radicalismo primordiale per considerare di nuovo un'uscita dall'euro nel caso - probabile - in cui la rinegoziazione del memorandum non desse come risultato che delle briciole? Poiché la politica non è propriamente il luogo d'elezione dei miracoli, lo schiacciamento sotto il peso delle istituzioni europee e del parlamentarismo nazionale coalizzati e l'abbandono di fatto di ogni ambizione di farla finita con la camicia di forza neoliberale sono il prevedibile risultato di questa cronaca di una normalizzazione annunciata. Rude - ma salutare - lezione della realtà per tutti i partiti della (vera) sinistra europea, i quali, a immagine del Fronte di Sinistra [ndt.: velleitario tentativo francese di coagulare le sinistre] non la finiscono mai di menare il can per l'aia - se lo menano ancora - per perdersi nel sogno di una «trasformazione dell'euro dall'interno», questa chimera della quale Syriza mostrerà loro ben presto l'inanità e il costo politico.



Sabato 24 Gennaio,2015 Ore: 19:36