Rifondare l’economia: lo esige l’economia stessa!
di Jorge Arturo Chaves Ortiz
(traduzione dallo spagnolo di José F. Padova)
"Rifondare l'aconomia": Vaste programme, direbbe il Generale De Gaulle, che però intendeva rispondere all'esclamazione: Mort aux cons! (Morte ai minchioni!) partita dalla platea. Il Generale Monti ci sta provando (a rifondare il diritto al lavoro) e, nel farlo, si agita citando i sondaggi - ma non è un copyright del Berluska? - e dimenticando le sue ormai vaghe promesse di equità (e suscitando il sospetto che gli stia cadendo la maschera). Eppure l'economia ha una "intrinseca dimensione etica, senza la quale perderebbe il suo carattere scientifico, sino a smarrire la sua stessa razionalità". Lo sostiene il prof. Jorge Arturo Chaves dal Costa Rica, nell'articolo qui riportato. Rifondare l’economia: lo esige l’economia stessa!Jorge Arturo Chaves Ortiz, San José, Costa Rica, professore emerito di Economia etica all’Universidad Nacional, San José, Costa Rica (v. anche http://es.scribd.com/) (traduzione dallo spagnolo di José F. Padova) Non sono le autorità morali e religiose quelle che possono risolvere le crisi economiche… 1. Da quando iniziò la grande crisi finanziaria internazionale, nel 2008, tutto il mondo si chiede che fare. Davanti a tanto grande corruzione, come quella che ha segnato gli avvenimenti, sarà già giunto il momento in cui le autorità morali intervengano per mettere il freno a ciò che sta succedendo? Di fronte a tanta incapacità politica nella gestione della crisi non rimarrà altro se non appellarsi alle Chiese perché infondano un altro genere di comportamento nei responsabili della finanza, della produzione e del commercio? Grande è la tentazione di mirare in questa direzione. Ma no. Per di lì non si va da nessuna parte. Per uscire dalla confusione nella quale si trovano tutti i Paesi non c’è bisogno di moralizzare l’economia dal di fuori. E meno che mai di sottoporla a giudizi religiosi. Innanzitutto, è chiaro che con questo non si dice che resta soltanto da incrociare le braccia. Al contrario. Diventa sempre più evidente che l’attuale economia deve sottoporsi a un processo di rifondazione fin dalle sue radici, senza che abbiano a che dire né i maestri delle Chiese, né le autorità morali della società. Basterebbe che gli economisti e il loro circondario capissero che cosa è l’economia e per che cosa è, per intraprendere subito severe rettifiche alle teorie e alle pratiche attuali. E quindi un’economia che ricuperi la sua vocazione umana e scientifica originarie scoprirebbe entro sé stessa le sue esigenze etiche e contribuirebbe ad aprire la porta attraverso la quale tutti gli esseri umani raggiungano pienezza di vita e pertanto la loro realizzazione spirituale. 2. La maggior parte dei professionisti dell’economia contemporanea – legati a quella che è nota come la «corrente principale», alla linea chiamata «neoclassica» –, nella loro derivazione «neoliberista» non sopportano che si parli loro di giudizi etici con riferimento al loro campo di analisi. Considerano tali opinioni «soggettive» e aliene dal carattere «obiettivo» della scienza economica. Questa, affermano, deve muoversi per ragioni scientifiche, attraverso il linguaggio dei fatti e la forza dell’analisi, e non mediante affermazioni che pretendano di imporre percorsi di azione partendo da argomenti autoritari. Questo si applica a tutti i campi dell’economia: alla produzione, al commercio, al campo monetario e fiscale, ecc. Per esempio, se vi è un problema di prezzi elevati, di deficit tributario, d’inflazione o di svalutazione della moneta nazionale, gli economisti cercano nei fatti come ognuno di questi problemi è in rapporto con altri elementi economici: gli interessi, l’indebitamento, il livello di aumento dei salari o dei profitti, e altro ancora. Per diagnosticare così dove sono gli errori. Tuttavia non ammettono che dal di fuori si venga a dire loro, per esempio, che indipendentemente dalla dinamica del mercato ci si possa pronunciare su quello che deve essere prodotto, o come possano essere i prezzi dei prodotti, o il tipo di posti di lavoro da creare. Assumendo queste posizioni gli economisti hanno in parte ragione. In quanto scienza, l’economia deve muoversi col metodo scientifico che le è proprio, in uno sforzo teso a conoscere come sono le realtà con le quali si confronta, come si relazionano fra loro le strutture fisse e quelle variabili, per sapere come procedere quando sorge un problema. …perché l’economia stessa contiene una dimensione etica. 3. Tuttavia vi sono altri aspetti sui quali quegli analisti non hanno ragione. Vi sono dimensioni dell’economia delle quali non si rendono conto, perché sono del tutto ciechi per vederle, in quanto li impedisce il loro rigido approccio. Da sempre, fin dai suoi albori come pensiero articolato, la scienza economia si sviluppò come una disciplina scientifica che non soltanto si prospettava come risolvere i problemi tecnici che si presentavano nel funzionamento dell’economia reale ma che, prima e in più, si interrogava circa la stella polare della sua attività, definita da due domande chiave: per che e per chi funziona l’economia e per che e per chi si risolvono i suoi problemi, in un modo o nell’altro. Mentre la prima domanda, che sorge nella vita quotidiana, definisce la dimensione tecnica o ingegneristica dell’economia, gli altri due interrogativi esprimono il carattere etico e politico che ha ogni attività economica. Per questo motivo non occorre che autorità morali o religiose esterne vengano a indicare una direzione in senso morale, perché un’economia propriamente detta tenderà sempre a confrontarsi con questa intrinseca dimensione etica. Senza la quale l’economia perderebbe il suo carattere scientifico, sino a smarrire la sua stessa razionalità, pretendendo di convertirsi in un mero insieme di raccomandazioni tecniche per risolvere problemi, ignorando gli obiettivi per i quali lo sta risolvendo e a favore di chi lo sta facendo. 4. Nella pratica tuttavia accade che non si riconosca come l’attività economica mira a un per che e a un per chi, ma tuttavia non per questo trascura di optare per una risposta a questi interrogativi. Tutte le politiche economiche, gli strumenti governativi o imprenditoriali, portano sempre a costruire un certo tipo di economia e a favorire determinati gruppi sociali, per quanto non lo si dica. Gli strumenti tecnici che si escogitano per risolvere i problemi o contribuiscono a costruire una società più equa oppure rafforzano la concentrazione di ricchezze. O riescono a togliere dalla povertà gruppi sociali svantaggiati ovvero si interessano soltanto a generare profitti per i gruppi di potenti. Non esistono strumenti «neutri». Lo si può vedere nelle «soluzioni» previste più frequentemente per le recenti crisi: si rinvia l’aiuto ai disoccupati e alle famiglie che hanno perso la casa per rafforzare, al contrario, i gruppi finanziari che, paradossalmente, sono stati i principali responsabili della crisi. E tutto questo col pretesto di risolvere i problemi. 5. I cittadini sono i garanti dei fini dell’economia Un’economia legata alla giustizia, alla libertà e alla solidarietà non è qualcosa quindi che dipende dall’intervento di qualche guru morale o religioso, ma nemmeno resta nelle mani del caso. Dipende dagli stessi analisti economici adempiere professionalmente a ciò che spetta loro, indicando come e quali risorse tecniche servano al fine di una società contrassegnata da quei valori e non dalla disuguaglianza e dall’esclusione. Certamente, come si è dimostrato soprattutto recentemente, questo compito degli economisti e degli esecutori politici non si definisce spontaneamente. Fin dall’interno dell’economia è necessario si eserciti una funzione di controllo. Si tratta della partecipazione di tutti i cittadini – i quali sono potenzialmente lesi dai provvedimenti economici –, il solo elemento che può garantire che quelle disposizioni servano alle necessità e agli interessi comuni a tutti. Si tratta dell’esigenza che l’economia sia trasparente circa i suoi propositi e suoi beneficiari del suo funzionamento e non confonda le idee alla popolazione con intenzionali esoterismi tecnici. Si richiede un grande sforzo collettivo per rifondare l’economia 6. L’economia attuale, teorica e pratica, è qualcosa di molto differenziato da quello che le spetta essere, come insegna la storia. Soprattutto negli ultimi decenni il processo di «finanziarizzazione» ha scardinato l’economia dalla posizione sociale e scientifica che le spetta, convertendola in «tecniche per fare soldi», in modo sempre più irresponsabile. Ha dimenticato, molto più di quanto appaia rispecchiato nei libri, la sua vocazione di scienza della produzione e della distribuzione di beni e servizi, allo scopo di rispondere alle necessità delle persone che convivono e in un rapporto ragionevole con il resto del pianeta. Ricuperare questa funzione originale dell’economia, che equivale a ridarle il suo carattere umano, è una sfida chiave per la sopravvivenza della società attuale e della vita sulla Terra. Tuttavia non è una sfida cui dare facilmente risposta, soprattutto perché la presente dinamica economica favorisce in misura sproporzionata piccoli gruppi con grandi poteri. Questi, e i teorici che li legittimano, si opporranno con tutte le loro forze a che l’economia cambi e ritorni a essere ciò cui è chiamata. Però non occorre per prima cosa vincere la battaglia teorica per la costruzione di una nuova scienza economica – anche se è altrettanto necessario farla – né competere nel potere con coloro che oggi monopolizzano i risultati della creazione di ricchezze. Si può scommettere che il superamento dell’organizzazione e della dinamica economiche esistenti – inique e disumanizzanti – otterrà spazi che diano luogo a nuove relazioni sociali, politiche ed economiche – in piccole imprenditorialità, in movimenti municipali e in reti ambientaliste e di costume. Mosse dalle necessità e dispiegando l’incontenibile indignazione di fronte all’evidente ingiustizia, nelle fenditure del sistema attuale si formeranno nuove forme per produrre, commerciare, lavorare e generare profitto, contrassegnate dalla solidarietà, che diano vita alle migliori capacità delle persone. E queste relazioni umane di qualità – come diceva Saint-Exupéry – sono «l’unico vero lusso», con un potere invincibile.
“la Republica”, 28 marzo 2012 Giovedì 29 Marzo,2012 Ore: 16:12 |