Die Zeit online, Hamburg – 27 dicembre 2011
Maria e Giuseppe nel ghetto del denaro

(traduzione dal tedesco di José F. Padova)


La ricchezza non deve essere demonizzata, dice il presidente del Consiglio Monti. Ma la disuguaglianza? 
Die Zeit se ne occupa da tempo, con diversi articoli di approfondimento, che spero di poter presto inviare. Un'iniziativa del settimanale amburghese tuttavia si discosta dalle argomentazioni, sovente corredate da statistiche, con le quali in genere si affronta l'argomento: perché non fare un test sul campo, si è chiesta Die Zeit? Il risultato, di piacevole lettura e di meno allegro coinvolgimento morale, lo potranno giudicare i lettori.

Per chi volesse uno studio "classico": Distribuzione del reddito e diseguaglianza: l’Italia e gli altri | in: Economia e Politica, Rivista online di critica della politica economica, ecco il link:
http://www.economiaepolitica.it/
Notevole il Grafico n° 4.

JFPadova


Die Zeit online, Hamburg – 27 dicembre 2011
Frattura sociale
Maria e Giuseppe nel ghetto del denaro

I tedeschi più benestanti con le case più costose vivono sul Taunus presso Francoforte. Banchieri, manager, industriali. Che cosa succede se si chiede loro aiuto? L’attrice Viola Heeß e il nostro redattore Henning Sußebach – travestiti  come una coppia di senzatetto – si sono messi in cammino poco prima di Natale.
(traduzione dal tedesco di José F. Padova)
http://www.zeit.de/2011/52/DOS-Maria-und-Josef/seite-1

Da dove cominciare in questo posto, dove tutto appare come se fosse una riproduzione in scala di Monopoli: dall’albergo nel castello? sulla strada dei parcheggi? nel club del golf? alla cittadella? Oppure cominciamo davvero dal dubbio che ci ha fatto compagnia sulla strada da Francoforte su al Taunus, ostinato come un cane che ci è venuto dietro: si può cercare la verità con una menzogna?

È un martedì mattina di Avvento, freddo e grigio. Siamo arrivati con la linea 4 della ferrovia suburbana, partendo dalla Hochhauskulisse [ndt.: i grattacieli di Francoforte, la Skyline] attraverso la scacchiera della zona industriale, avanti lungo i campi di stoppie e i recinti per La coppia di senzatetto davanti allo Schlosshotel di Kronberg cavalli, sempre più in salita fino al capolinea: Kronberg im Taunus, velato dalla nebbia. Un Nido del cuculo tedesco fra le nuvole [ndt.: il cuculo è un uccello parassita, depone e fa covare l’uovo nei nidi altrui e il suo pulcino ne espelle i piccoli dell’ignaro uccello-madre].

Ci aveva attirati una statistica. L’Istituto di Ricerca sui Consumi ha calcolato che i tedeschi più ricchi – quelli col maggior potere d’acquisto – non vivono sull’isola di Sylt o sulle rive dello Starnberger See [ndt.: noto come “il lago dei VIP”], ma sulle pendici dell’Alto Taunus. Famiglie di industriali e banchieri, milionari e miliardari.

Scendiamo dal treno e il fiato si condensa in nuvolette. Noi siamo: Viola Heeß, attrice libera professionista di Amburgo e io, un redattore di Die Zeit – d’ora in poi per una settimana una coppia con scarpe consumate e abiti logori, carichi di zaini e sacchi di plastica, pronti per un esperimento. Travestiti da senzatetto, senza un euro in tasca, vogliamo chiedere aiuto e asilo alla gente di qui. Comincia la recita di Natale del Kronberg.

Così ci mettiamo in cammino. Due forme svalutate nelle strade piene di immobili di prezzo altissimo, dove ogni casa mostra il segnale rosso di un impianto d’allarme, dove le porte dei garage sono larghe come porte di campi di calcio e gli zampilli delle fontane gorgogliano anche in inverno.

Da che cosa precisamente si riconosce la ricchezza in un Paese benestante? Dai furgoni per le consegne, sui quali è scritto “Il vostro fornitore di acqua per piscine”? Dalle bambinaie filippine che spingono i passeggini su e giù per la città? Dal fatto che i ragazzini delle elementari, di ritorno a casa, fissano duramente due persone che hanno aspetto diverso da papà e mamma? Da una cultura di upperclass, della quale danno notizia gli annunci di gruppi teatrali, scuole di ballo e cori?

Nonostante Kronberg sia segnata su ogni cartina geografica, ci troviamo qui a misurare una sorta di terra incognita. Kronberg non è meta di viaggi come Sylt, non ha passeggiate a lago come Starnberg, qui Google non fornisce la street view. Sotto l’aspetto geografico, Kronberg si trova nel mezzo della Germania, ma dal punto di vista sociale al margine dell’attenzione. Questo dovrebbe andare a puntino a molti dei 17.000 abitanti. A Kronberg si trova la villa degli Opel e la foresteria della Banca Centrale Europea. Qui vivono l’ex presidente della Bundesbank Karl Otto Pöhl e Walther Leisler Kiep, la cui tenuta è stata perquisita nel corso delle indagini sull’affare del finanziamento illecito alla CDU [Christlich-Democratische Union, la DC tedesca]. Eppure nessuno di questi nomi si trova sulla guida telefonica. E sebbene si mormori che Josef Ackermann [ndt.: presidente della Deutsche Bank]si sia trasferito, Kronberg è considerato il cortile di casa della Deutsche Bank. Una buona metà della squadra dirigente qui abita o ha abitato, anche l’ex membro del consiglio di amministrazione Hilmar Kopper, autore della peggiore affermazione dell’anno 1994, che definì come “noccioline” i 50 milioni di DM che il truffatore immobiliare Jürgen Schneider allora aveva sottratto a centinaia di artigiani. Finché non ebbe preso la fuga, Schneider abitò a dieci chilometri da Kopper, nell’incantevole Königstein. In un maniero privato con 29 stanze, incoronato da una recinzione dorata. Oggi vivono nella cittadina, fra gli altri, il risanatore della Opel Nick Reilly, Martin Blessing, presidente del Consiglio di amministrazione della Commerzbank, come pure Jürgen Sarrazin, ex capo della Dresdner Bank e lontano parente di Thilo Sarrazin.

Una volta la Frankfurter Allgemeine Zeitung ha definito Kronberg come la «Wandlitz [ndt.: località esclusiva presso Berlino] della Germania occidentale», come «luogo di ritiro per coloro che dicono la parola definitiva nell’economia del Libero Mercato». È la città nella quale abitano «i mercati»: i manager secondo i cui criteri il mondo attuale viene valutato. La sera qui si ritirano persone che poco prima hanno giocato d’azzardo per miliardi e ora giudicano sul destino di interi Stati. Che accade se questi ricchi vedono la nostra povertà? Con il benessere la compassione cresce, o sparisce?

La nostra prima constatazione: il mondo dei ricchi è bello. Soltanto chi ha lo sguardo annebbiato dall’invidia sociale non vuole ammetterlo. Centro della città è il parco Victoria, in lieve salita, coperto da giganteschi cedri, faggi e altri grandi alberi, che hanno avuto tempo cent’anni per crescere. Campi da tennis riposano sotto una copertura di fogliame. Tutto intorno al parco si allineano ville nello stile a telaio dell’Assia o anglo-gotico Tudor, sfumato da rododendri, edera o muschio. Kronberg ha l’aria di un’imitazione di contea inglese, ciò che è anche vero: alla fine del XIX secolo si stabilì qui la madre dell’ultimo Kaiser germanico, Victoria, principessa di Gran Bretagna e Irlanda. In alto sulla città si fece costruire un castello ispirato alla nostalgia di casa, la sua residenza di vedova, il cui stile impronta la città. Nei cataloghi dei mediatori immobiliari Engel & Völkers le vecchie ville sono oggi definite «oggetti di understatement». Muti ce ne andiamo, strascicando i piedi, attraverso il parco e le viuzze del quartiere medievale. Il primo giorno non vogliamo subito avventarci su Kronberg, ma avere silenzioso effetto sul luogo e lasciare che il luogo agisca su di noi. Il vento spinge via sul prato un prospetto di fitness che comincia con le parole: «Sei da poco diventata mamma? Ti chiedi come puoi entrare nei tuoi vecchi abiti senza tata e personal trainer? Allora Mamifit fa al caso tuo!».

Nella mattinata Kronberg sembra essere popolato soltanto da esseri femminili. Non soltanto da bambinaie, ma anche da mogli: dal bell’aspetto, che fanno acquisti, jogging. Di queste cosiddette «mammine del Taunus» nel nostro materiale d’archivio si leggeva che non sarebbe stato loro «necessario lavorare», perché nel loro budget famigliare un paio di migliaia di euro più o meno non avrebbero avuto importanza. Perciò se ne vanno a spasso in ciò che identifica i bonus incassati dai loro mariti: fuoristrada Mercedes e Audi, tutte nere. Le mogli di Kronberg sono giovani, appaiono senza eccezioni snelle e hanno l’aspetto di chi torna adesso dal maneggio: coda di cavallo, sciancrate giacche trapuntate, jeans e stivali di cuoio.

È mezzogiorno e ancora non abbiamo denaro, niente da mangiare né un posto dove dormire. È tempo di incrementare la nostra «quota di capitale proprio». Ma come? Chiedere l’elemosina sulla piazza del Mercato? Lì davanti a un supermercato Rewe c’è un boschetto di alberi di Natale – e nel bel mezzo è accovacciato qualcuno: un mendicante (speriamo non sia mandato da Der Spiegel). Un paio di strade più in là Viola si mette davanti a una panetteria – «Chiuso per pausa pranzo» –, tira fuori una tazza e comincia a rivolgersi ai passanti: «Scusatemi, siamo senza ricovero e abbiamo bisogno di aiuto». Addirittura – o proprio – qui, nel rifugio dei ricchi, questa frase suona come una mostruosità. Ancora spesso ci verrà da pensare se ci vergogniamo per il mendicare in sé o perché con la nostra povertà simulata danneggiamo gli affari di Natale del mendicante davanti al Rewe.

Prima della nostra partenza per Kronberg ci eravamo letto ancora una volta il libro di Michael Holzach, Deutschland umsonst [Germania gratis]. 30 anni fa l’allora redattore di Die Zeit si era spacciato per persona senza mezzi e aveva vagato attraverso tutta la Germania. Il suo reportage aveva venduto 200.000 copie, un testo di storia a livello federale. «Andare senza denaro attraverso un mondo, nel quale tutto gira attorno al Marco e al Pfennig [ndt.: centesimo di marco], aveva per me qualcosa di utopistico, mi appariva come l’andare in una terra nuova in assoluto», scrisse Holzach. Anche per lui all’inizio il mendicare fu di peso. «Non sono credibile a me stesso», scriveva. Per lui fu dura nel distretto dell’Alto Taunus. In una «zona ricca da fare schifo, dove le ville padronali si nascondono dietro cespugli alti come case, quasi avessero la coscienza sporca», nessuno lo aiutò. Le richieste di cibo o lavoro fatte da Holzach furono respinte con frasi come questa: «In casa c’è personale a sufficienza!». Per collera e fame più forte Holzach mise in atto il suo primo furto. Sgraffignò quattro tavolette di cioccolata.

”Qui ci sono ancora una volta gli oziosi fannulloni”, annuncia una ragazzina alla mamma
Protetti dalle falde dei nostri copricapo osserviamo attentamente i passanti: anche i pensionati, slanciati e snelli, immagini di leadership dalla schiena flessuosa. Dopo una mezz’ora nella nostra tazza gocciolano le prime monetine, corredate dall’ammonimento: «Però non per la droga!». Passa il mezzogiorno, la fornaia arriva. Quando ci vede seduti davanti alla sua vetrina il suo viso si corruccia. Apre il negozio e dice: «Però qui non potete rimanere». Dall’interno ci scruta attraverso la merce esposta. Quando vede che ci tiriamo su, con muto imbarazzo ci porge un sacchetto con tre panini.

Sette euro e 43 centesimi, tre panini – questo è il bottino dell’elemosina del primo giorno. Paragonato alle nostre aspettative, avvelenate dai pregiudizi derivati dalla lettura di Holzach, veramente molto. Paragonato con i 5000 euro che un abitante di Kronberg, come più tardi siamo venuti a sapere, ha speso soltanto per la decorazione floreale delle sue nozze, piuttosto poco.

Rapidamente si fa buio. Dove dormire? In uno dei chioschi vuoti del mercatino di Natale? Nel castello, il cui portone è aperto? Un giovanotto ci ha raccontato di un luogo d’incontro degli scout, su in alto sul pendio. Risaliamo una strada, passando davanti a portoni sempre più imponenti, attraverso le cui grate di ghisa si possono vedere enormi giardini, profondi e neri. Jaguar, Porsche, Maserati ci danno la caccia mentre saliamo sulla montagna. Gli uomini arrivano a casa rombando.

La casa degli scout si trova alla fine di un vicolo cieco. Sulla porta risalta una stella rossa di carta, sulla finestre sono incollati fiocchi di neve ritagliati su carta, i soffitti sono rivestiti di tavole di legno di pino. Tutta la buona volontà degli anni sessanta, si sta al sicuro in camere a due, quattro e sei letti. Un paio di ragazzotti giocano a ping-pong. Uno chiede sommessamente: «Sono barboni o zecche?». Quando ci scorgono, negli occhi dei gestori si può già leggere il rifiuto. Una coppia sui sessanta, due visi stanchi.
«Allora, che cosa volete?”, domanda l’uomo.
«Chiedervi se possiamo dormire da voi».
«Per la nostra organizzazione non va bene. Accettiamo solamente gruppi».
Sembra che annusi che non abbiamo denaro. Non ce lo chiede neppure. Dietro le braccia incrociate la sua sentenza è già stata emessa.
«E se dessimo una mano in giardino?», chiediamo, «o in cucina?»
«Ah, questo assolutamente no! C’è l’Ufficio d’igiene».
Sua moglie dice: «Qui potreste mangiare qualcosa …»
«… ma poi forse non se vanno più via» le sussurra lui all’orecchio.

Cinque minuti dopo ci troviamo nuovamente sulla strada. In mano un cartoccio, messo insieme in fretta dalla donna, con dentro tovagliolini, mele, mandarini e succo di frutta. Ridiscendiamo la china. Sulla via, in ogni zona di traffico limitato a 30 all’ora, ci lasciamo alle spalle una serie di pali per l’illuminazione, sui quali appaiono per incantesimo le telecamere di sorveglianza.

È l’ostinazione che ci spinge al castello, all’emblema della città? Furtivamente sgattaioliamo nel cortile del castello, dove il Rotary Club ha fissato due tende per il mercatino di Natale. In una di queste srotoliamo il nostro materiale da accampamento e cerchiamo di dormire. La notte comincia a piovere. La bufera tira giù la tenda. Viola: «Adesso espiamo le nostre bugie».

Dopo questa notte abbiamo perduto la distanza interiore dai nostri sosia senzatetto e guadagnato la necessaria patina di credibilità. Quando sorge il sole, Kronberg nuota come un’isola su un dorato mare di nubi. Verso sud sulla foschia si innalza lo skyline di Francoforte come un irsuto porcospino. Laggiù si lavora, qui in alto si vive. Senza il pragmatismo di un luogo non ci sarebbe forse il romanticismo dell’altro – e viceversa. Pieni di timore reverenziale lasciamo che il grande Yin e Yang del cosmo finanziario di Francoforte faccia effetto su di noi.

Nel parco Victoria, splendente di rugiada, incontriamo una donna con la sua figlioletta. La ragazzina ci guarda e strilla: «Mamma! Ci sono ancora una volta i pigri fannulloni».

La povera bambina. E se i suoi genitori hanno preso atto della notizia che nel frattempo l’aspettativa di vita dei tedeschi con scarsi guadagni si accorcia? Verrà qualcuno di loro a sapere che ci sono catastrofi più grandi di una caduta dell’indice di borsa? Si meraviglierà mai qualcuno del fatto che in Germania il dieci percento più ricco possiede più del 60 percento di tutto il patrimonio e il 50 percento più povero ne ha soltanto il due percento?

È possibile che alla ragazzina sia scappata fuori proprio una logica di vita kronbergeriana: colui al quale le cose vanno peggio che a un altro è pigro, vile o qualcosa come un fallito. Visto molto dall’alto il mondo deve essere popolato da puri inetti.

Che tipo di topos sociale [ndt.: da socius=sociale e τόπος topos=luogo, rapporto fra una società e il luogo che essa abita] è quello in cui risiede l’ Officehouse di Spielmann, un arredatore d’interni con lo slogan «Portare avanti con stile», che in Libia ha arredato palazzi per Muammar El-Gheddafi e poco tempo fa ha fatto pubblicità per il dittatore – nel frattempo ammazzato dal popolo? Un luogo nel quale iniziò la sua carriera nella CDU un banchiere di nome Peter Gloystein il quale, nel 2005 quando era assessore all’Economia a Brema, durante una festa a base di vini annaffiò di spumante un senzatetto seccatore e disse: «Ecco qui, anche tu hai qualcosa da bere». Un luogo sul cui giornale di annunci Kronberger Bote uno storico di cose militari cerca «Reperti militari & patriottici fino al 1945».

Nessuno sa quanti milionari ci sono veramente in Germania
Ispezioniamo la zona top, il quartiere Schönberg, posizione in pendenza come sulle Prealpi, vista a perdita d’occhio. Le ville qui costano sui sei milioni di euro – nonostante una «carenza estetica», come deplora la rivista di economia Capital: la direzione verso l’alto porta attraverso una strada «con costruzione di abitazioni a un piano». Tutto ciò che ha più di tre piani ha sul Taunus la fama di un ghetto.

È un mondo di anonimi quello in cui noi stiamo ora entrando. A tutte le porte, targhette del campanello senza nomi, tutt’al più le iniziali. M., H., K. Alcune si chiamano anche «modello», altre «campanello». Ci fissano immobili gli occhi delle telecamere, nelle cui nere pupille crediamo di leggere una miscela di paura e avversione. In una strada come questa – l’Ellerhöhweg nel confinante Bad Homburg – nel 1989 fu ucciso Alfred Herrhausen della RAF [ndr.: Rote Armee Fraktion, le BR tedesche]. Ci stupiamo chiedendoci dove sono le guardie private delle quali prima tanto avevamo sentito parlare.

Forse risiedono nei molti, appariscenti furgoncini di fornitori. Ci vedono come una coppia di pixel sugli schermi dei loro apparati di controllo. Oppure qui non c’è proprio alcun servizio di vigilanza? E tutti i campanelli senza nome sono anzi l’atteggiamento di un ceto che si sente non più appartenere al resto della società? Bagaglio ideologico e realtà di vita dei tedeschi ricchi sono quasi del tutto inesplorati, diversamente dai poveri essi non devono dare alcun conto di sé alle Autorità. Perfino chi fa ricerca professionale sulla ricchezza non sa quanti milionari vi siano in Germania, le loro valutazioni oscillano fra i 400.000 e gli 800.000. Con precisione nessuno lo sa, perché è più facile rilevare reddito che il patrimonio. Anche l’attuale «Rapporto sulla Povertà e la Ricchezza» del Governo federale dedica 400 pagine ai poveri e dieci ai ricchi. Se il Rapporto definisse l’influenza esercitata sul paese, il numero delle pagine dovrebbe essere in proporzione inversa.

Suoniamo. Aspettiamo. Sordi latrati. Negli occhi delle telecamere traspaiono presto le presenze. Le persone dietro i muri si fanno un’immagine di noi – e tacciono. Soltanto raramente dai citofoni scricchiola un «Sì?!» e allora noi diciamo:«Siamo senza tetto e di passaggio e volevamo chiedere se…»
«… no, grazie!»
«… qui lavoro soltanto, mi dispiace»
«… capo tedesco non qui. Lavora banca. Suonare prossima casa!»
«… la padrona di casa non è qui e io non posso aiutarvi».
Perfino lì dove vivono è impossibile attaccare discorso con i ricchi.

Non può sfuggirci solamente una signora sui 40, che proprio allora tira giù dalla sua Mercedes le ceste della spesa,. È del tipo “manager di famiglia”, taglio di capelli corto e eskimo. Viola le chiede di poter usare la toilette – e fa conoscenza con un sedile di water riscaldato. Questo è più di quanto ci si poteva aspettare, sotto ogni aspetto. Questa donna è la prima che ci apre la porta su un mondo domestico piastrellato di chiaro con fronte finestre sul castello e alle pareti disegni di bambini. È anche la prima che ci fa domande sulla nostra storia, con la superiorità di un capo del personale o di una madre di molti bambini. Finalmente possiamo raccontare la nostra leggenda, quella di due personaggi falliti sulla via verso il sud, forse la Spagna, dove sperano nel caldo.
«Ma ne avete ancora di strada da fare», ci dice.

Finalmente l’accenno di un colloquio, di una domanda, di una comprensione. Non abbiamo il presentimento che questa sarebbe stata anche l’ultima volta.

Fino a sera inoltrata ci sono sbarrate persone e case. Rimane soltanto il pastore.
La casa parrocchiale della Chiesa evangelica sembra essere stata copiata da un calendario dell’Avvento nella realtà: porta di legno, veranda, albero di Natale..

Ancora una volta suonare, aspettare, di nuovo un metallico «Sì?!» dal citofono.
«Abbiamo una richiesta».
Dopo un po’ la porta si apre, sullo spiraglio un profilo nero. Il pastore.
«Siamo senza dimora e volevamo chiedere dove qui si può trovare da dormire».
«Per quanto ne so qui non c’è nulla».
«Non potremmo passare la notte qui da Lei?»
«No. Ci siamo capiti che questo non va»
«Eppure Lei è la Chiesa».
Con questa frase il nostro imbarazzo nei suoi confronti è rimosso. «Ciononostante», dice lui.
«Abbiamo con noi anche i sacchi a pelo»
«No. E con rispetto parlando: qualcosa di simile qui non era mai successa».

Non è detto nella Bibbia: «Bussate e vi sarà aperto?» e Gesù non dice: «Ciò che avete fatto al più umile dei miei fratelli lo avrete fatto a me?» Là dove ognuno possiede, evidentemente non si può imparare ad aiutare.

E quindi: il pastore non apre del tutto la porta. Sembra lottare con sé stesso. Quanto spesso ha provato con i bambini del comune il Presepio, e adesso gli capita questo! Se lui non aiuta, chi altro? Esita, si lambicca il cervello, poi sparisce nella canonica – non senza aver prima chiuso la porta per precauzione – e ritorna con 20 euro, l’indirizzo di un ostello per la gioventù a 15 km da lì e un sacco di plastica, nel quale deve aver stipato quasi tutte le sue provviste: una mezza forma di pane, salsiccia, formaggio, pomodori, mele, arance, acqua, biscotti. Perfino gomma da masticare.

Il sacco pesa quanto la sua coscienza. Ed è tanto pieno che potremmo metterci in marcia per un lungo cammino. Via, lontano da questa città.

Con la linea suburbana 4 ritorniamo, lungo i recinti per cavalli e i campi di stoppie, attraverso la scacchiera della zona industriale fino al centro degli affari di Francoforte, dove troviamo un albergo. I viveri li lasciamo al Centro di accoglienza della stazione.

Avrà il pastore meditato stanotte sul suo commercio delle indulgenze?
La ragazzina del Parco avrà domandato a sua madre, prima di addormentarsi, dove saranno rimasti i pigri fannulloni?
E che cosa avrà fatto la signora che ha ospitato Viola nella sua toilette? Ha poi disinfettato il suo bagno? Ha dovuto ascoltare da suo marito che non si dà da mangiare ai gatti randagi? È andata a letto turbata o orgogliosa? O ci ha dimenticati?

A Kronberg abbiamo probabilmente suscitato piccole emozioni. Ma in noi stessi sicuramente. Che cosa avremmo fatto al loro posto? Avremmo agito diversamente? Queste sono le domande che si pone ogni critico e ogni esaminatore e alle quali non c’è alcuna risposta. Soltanto una frase, vecchia di duecento anni, di Gotthold Ephraim Lessings: «Il recensore non ha bisogno di poter fare meglio di ciò che egli biasima». Il suo odioso merito è quello di descrivere ciò che vede.

La logica sul Taunus: perché i poveri aspettano aiuto proprio dai ricchi?
Il giorno dopo un treno ci porta a Königstein, nella città gemella siamese di Kronberg. Secondo il calendario delle manifestazioni una meta altrettanto conveniente: durante questa settimana si apre il mercatino di Natale. Qui c’è una «Winner’s Lodge» e conferenze sui temi «Dirigere con naturale autorità », «Motivarsi: finalmente lunedì!» e «Soddisfatti non basta». E all’Hotel Falkenstein Grand Kempinski parte un «Whisky-Dinner: Bowmore & Auchentoshan [famosi whisky scozzesi] con menu di 5 portate elaborato da Oliver Heberlein [rinomato chef]».

Königstein ha forse più caratteristiche di città di quante ne abbia Kronberg. Si fa scoprire con maggiore facilità. Qui c’è posto per due Hotel Kempinski [ndt.: cinque stelle]. Qui hanno sede i gioiellieri. Qui nel 1947 fu fondata la Junge Union [organizzazione giovanile di stampo democristiano]. Qui alle elezioni comunali di marzo la FDP [Partito Liberal Democratico] ha avuto più voti della SPD [Partito Social Democratico Tedesco]. Qui vi sono la prima clinica tedesca per l’emicrania, la clinica psichiatrica privata Dr. Amelung e un ospedale specialistico per le malattie del cuore e vascolari. In una casa su dieci, come constatiamo, sono affisse insegne di guaritori, fisioterapisti e psicologi.

Questa volta alle persone vogliamo rendere le cose più facili: da subito Viola è anche incinta. Di tanto in tanto lo ricorderemo per inciso.

Nel Villa Rothschild Kempinski – secondo la tavola bronzea sul portale uno dei «Leading Hotels of the World» – sono riuniti oggi i manager della banca americana JP-Morgan. Il castelletto col frontone a punta se ne sta sul cocuzzolo di un grande parco come se l’avesse drappeggiato un pasticcere. Davanti alla porta è parcheggiata una Maybach [autovettura di lusso esclusivo], prezzi da 400.000 euro in su. L’hotel è uno dei numerosi edifici carichi di storia della regione: servì come residenza estiva alla famiglia di banchieri Rothschild, finché nel 1938 questa trovò riparo dai nazisti fuggendo in Svizzera. Dieci anni più tardi il Consiglio Parlamentare deliberò qui la Costituzione della Repubblica Federale Tedesca. Adesso la pioggia picchietta sul tetto.

Quando su uno spesso tappeto rosso entriamo nel vestibolo possiamo udire risate. Voci di uomini. Voci di potenti. Alla parete un quadro, che ricorda il Consiglio Parlamentare, nobilitato dalla frase: «Tutte le persone sono uguali».

All’improvviso si materializza davanti a noi una collaboratrice dell’albergo, tanto spaventata quanto lo siamo noi. Torcendosi le mani domanda: «Come posso esservi d’aiuto?». Le raccontiamo la nostra storia e subito ce ne rincresce. Questo è il dilemma insolubile della nostra ricerca: proprio coloro che si mettono nei nostri panni rischiano di finire in un gorgo di solidarietà.
La ragazza dice in fretta: «Scendano al piano disotto – qui già abbiamo Loro chiesto che cosa vogliono». Quando ci spinge attraverso un passaggio tortuoso fuori di vista dei suoi ospiti, è evidente: ne è passato di tempo da quando ci davano del Lei. Dal nostro nascondiglio ascoltiamo come telefoni agli alberghi della città e tratti il prezzo. Chiede anche a un superiore quanto costi una camera, per riposare e scaldarsi. Sotto 115 euro purtroppo non c’è niente da fare, ci dice, «e Loro devono adesso proseguire svoltando dietro l’angolo. Se vi vedono qui, si arrabbiano con me».

Ancora una volta corre in direzione delle voci maschili, sembra parli con qualcuno e poi ritorna con resti di prima colazione impacchettati in fogli di alluminio e tè in bicchieri di carta. Apre un’uscita di sicurezza e ci sussurra dietro un «Buona fortuna».

Se in questa storia ci fossero stati Maria e Giuseppe, questa giovane sarebbe stata il primo angelo.

A Königstein c’è una strada che non è solamente ripida e lunga, ma anche leggendaria – l’Ölmühlweg, nella quale da ragazzo il presidente della Commerzbank Martin Blessing si procurò la sua «cicatrice alla Harry Potter» sulla sua «alta fronte», come una volta ha raccontato il manager magazin: «Conseguenza di un’eccitazione nervosa per la quale il decenne rischiò l’osso del collo: sulla bicicletta giù per la sua solita Ölmühlweg, a velocità pazzesca, non frena in tempo, una brutta caduta, il collo contro lo scalino del marciapiede, finché alla fine la testa atterra sul palo della luce».

Straordinario, come il mondo può essere piccolo anche in tempo di globalizzazione. Su in alto, alla fine della Ölmühlweg, ai margini del cosmo infantile di Martin Blessing – il cui nonno era presidente della Bundesbank e il cui padre faceva parte del Consiglio di amministrazione della Deutsche Bank – vi è oggi il Centro della comunicazione e del training di Königstein, aperto nel 1971 come centro di formazione della Dresdner Bank e ora di proprietà della Commerzbank.

E se una delle 218 camere fosse libera?

Sul nostro cammino verso l’alto collezioniamo esperienze microeconomiche: con ogni metro di altitudine salgono i prezzi degli immobili – e cala la capacità di immedesimazione, 2000 anni fa chiamata ancora «compassione».

«Siamo senza ricovero e volevamo chiedere…»
«… qui di fronte c’è un albergo!»
«… e perché suonate alla mia porta?»
«… quassù è troppo raffinato per voi».

Così suona la logica di Königstein: perché i poveri aspettano aiuto proprio dai ricchi?

Sulle pendici del Taunus si conferma uno studio dello psicologo americano Dacher Keltner. Keltner è professore all’Università della California e ha recentemente affermato che le persone benestanti sono meno compassionevoli di quelle povere. Distribuzione di ricchezza e imposte in Germania Prima di intraprendere le proprie ricerche aveva preso in considerazione altro materiale: da un sondaggio effettuato dalla Associazione americana per l’Assistenza pubblica risultò che i nuclei famigliari con un reddito annuo minore di 25.000 dollari destinavano il 4,2 percento dei loro introiti alle offerte. Famiglie con più di 100.000 dollari facevano beneficenza solamente per il 2,7 percento. A San Francisco ricercatori sulle attività caritatevoli hanno preso in considerazione le dichiarazioni dei redditi di persone con meno di 35 anni e hanno scoperto che quelli con un reddito annuo di meno di 200.000 dollari davano in beneficenza l’1,9 percento – chi guadagnava di più soltanto uno 0,5 percento.

All’inizio Keltner pensava che probabilmente le persone più povere fossero più religiose o politicamente piuttosto di sinistra. Tuttavia pervenne a concludere che i poveri semplicemente sperimentavano più spesso come si debba «aiutarsi reciprocamente»: «Vi è sempre da qualche parte qualcuno che si occupa di te o che bada a tuo figlio». Proprio questo li rende capaci di percepire le necessità degli altri. Negli studi di Keltner quelle persone, sottoposte ai test, con soltanto un diploma della Highschool [scuola secondaria], riconoscevano i sentimenti altrui meglio di quelle con formazione superiore e con redditi migliori. Quando mise in contatto due soggetti di test perché facessero conoscenza reciproca, Keltner poté addirittura osservare come costoro, piuttosto che stringere migliori rapporti, giocherellassero con qualcosa, scribacchiassero o cercassero i notiziari sul loro cellulare. «Che i ricchi contraccambino qualcosa è psicologicamente inverosimile», dice Keltner. «Quello che ricchezza, istruzione, prestigio e una buona posizione nella vita danno a una persona è la libertà di concentrarsi su sé stessa».

Nel Centro della comunicazione e del training della Commerzbank un terzetto di impiegati annuncia che non c’è posto per noi nella loro foresteria: «Infatti siamo una sede di congressi».
«Ah, di notte chiudete?»
«No, ma…». Oltre a ciò avrebbero telefonato al parroco cattolico. Lì saremmo stati i benvenuti.

L’odierno destriero di razza è uno Sport Utility Vehicle (SUV)
Il pulmino per tornare in città resta riservato alle nuove leve della Banca, nonostante la presumibile gravidanza di Viola. Di nuovo scendiamo dalla montagna come da una piramide sociale. Ci vuole una buona ora prima di aver trovato il parroco. Il quale ci dice che nessuno gli ha telefonato. Tuttavia fa aprire dal sacrestano la canonica, dove è sistemato anche l’asilo infantile. Srotoliamo le nostre stuoie isotermiche su una pedana decorata col gioco dell’oca. Fino a tarda sera ce ne stiamo con l’orecchio teso, sorvegliati da due cavalli a dondolo, ascoltando le prove del coro per la messa di Natale.

Nel fine settimana la città si trasforma: i manager diventano padri, il grigio dei vestiti cede il passo al rosso fuoco dei giacconi da tempo libero. Al mercatino di Natale regna una lieta atmosfera da libro illustrato, come quelli brulicanti di figurine disegnati da Ali Mitgutsch. Bambini vistosamente ubbidienti e genitori rilassati – serenità di famiglie beneducate. Dove sbuchiamo noi la folla forma un varco per lo sgomento e il disgusto. Andiamo verso lo stand del vino brulé del Lions Club, secondo l’autodefinizione «Una associazione mondiale di persone libere, pronte in amichevole comunione a porsi i problemi sociali del nostro tempo». Dietro il banco due uomini rabbrividiscono per il freddo. Alla nostra frase standard «Siamo senzatetto, conoscete un posto dove possiamo restare?» uno di loro reagisce con un «All’aperto?», e l’altro con «No!». Frettolosamente chiudono la loro cassa di metallo.

Oggi il blasone del Club è più grande della sua bontà. Probabilmente deve essere presente un fotografo di giornale perché questo rapporto si capovolga.

Continuiamo il gioco di alternanza fra il luogo e noi nella Reichenbachweg, la zona più cara di Königstein: una viuzza a fondo cieco, silenziosa come un cimitero, nella quale dietro macchie di tuie si nascondono ville impreziosite da colonnati. La pioggia vela la vista giù verso Francoforte. Ci rannicchiamo sotto un abete, la nostra ancora di salvezza con le foglie aghiformi.

Ma questo è per una volta un chiaro segnale ai mercati. Se tutte le insolenze dei «bancster»[assonanza per gangster!] e i titoloni sui giornali addomesticanti sulle banche vi hanno impressionati, adesso sarebbe una buona occasione per legare un pacchetto natalizio di indulgenze.

Giovani coppie passano facendo jogging, scortate da grossi cani. Osserviamo ciclisti su mountain bike con elmetti, occhiali protettivi e attrezzature antiurto. Hanno l’aspetto di cavalieri bianchi tolti da Guerre stellari. Nel weekend sembra che non li scandalizzino gli spruzzi di fango, ma piuttosto le macchioline sui titoli onorifici, testimonianze per la nobilitazione ininterrotta del [loro] pregiato Io. Brandelli di dialoghi aleggiano: «… davvero devi acquistare tutto intero, altrimenti hai sempre noie con i diritti di accesso…» ndt.: terminologia bancaria…].

Ridicolo. Si odono continuamente notizie di «mercati insicuri», di analisti «esultanti» o «nervosi». Un popolo ipersensibile, cui si rizzano i capelli seguendo il crollo dei listini di borsa. Adesso sui visi non si muove muscolo. In due ore e mezzo contiamo 150 automobili. Sono ancora vetture imponenti, Sport Utility Vehicles (SUV). Non appena ci si avvicinano diventano più lente, perché gli occupanti vogliono dare un’occhiata a entrambi questi esseri sotto l’abete, come partecipassero a un safari. Poi riprendono velocità, schizzando spruzzi d’acqua.

L’odierno destriero di razza è il SUV.

Due auto si fermano. Dalla prima scende un giardiniere in jeans e stivali. In dialetto dell’Assia misto a turco dice che il tempo è troppo brutto per lavorare – quindi potrebbe regalarci le sue provviste: panini, banane, caffè. Più tardi si ferma una vettura, troppo piccola per le condizioni locali, con dentro un uomo i cui capelli sono alquanto troppo lunghi. Un architetto? Un compositore? Uno psicologo? Appare francamente scosso quando dal finestrino abbassato domanda: «Vi serve denaro?». Ci allunga una banconota – ancora una volta sono 20 euro –, riparte, torna con un sacchetto di frutta e dice implorante: «Qui non vi aiuta nessuno. Per favore, andatevene a Francoforte».

A sera ci sediamo davanti al’ingresso dell’Hotel Falkenstein Kempinski, sulla cui «Terrazza Skyliner» dovrebbe presto cominciare il whisky-dinner. Teniamo appoggiato alle ginocchia un cartello di cartone:
SENZATETTO + INCINTA
CI AIUTATE?

Adesso non mandiamo più segnali con la lampadina, ma con un lampione stradale! Non suoniamo neppure più alle porte, ma facciamo una vera e propria «offerta niederschwellig [ndt.: caratteristica dell’attività di assistenza sociale, quando le offerte di prestazioni si presentano con bassa soglia di coinvolgimento e responsabilizzazione], come si usa dire in tedesco commerciale.

Nel frattempo ci aspettiamo con ansia ciò che finora abbiamo temuto: gente dei servizi di sicurezza. Controlli di polizia. Spiegazioni, nel migliore dei casi.

Di tanto in tanto ci passano davanti le auto. I coni di luce dei loro fari scivolano via sopra di noi, ci illuminano come in un cabaret, passano oltre – e ci lasciano al buio.

Non succede nulla.

Non abbiamo provocato a sufficienza – o le abbiamo sparate troppo grosse? Da quando abbiamo fatto la nostra comparsa hanno tutti paura di una telecamera nascosta? Ci hanno smascherato e se ne sono dati notizia a vicenda con una catena di telefonate? Oppure qui hanno sull’anima un callo tanto grande che non si può proprio farli arrabbiare?

Da 2000 anni si racconta questa vecchia storia: una coppia alla ricerca di un riparo. Quasi ogni adulto dovrebbe essere stato almeno una volta da bambino Maria o Giuseppe nella recita di Natale, uno dei pastori, il gestore della locanda o almeno una pecorella. Ogni festività del Natale corriamo in chiesa, cantiamo Chi bussa alla porta? o Il vostro Bambinello arriva e sospiriamo perché siamo contenti di noi stessi. Ma che dire, se Maria e Giuseppe non sono molto più che folklore festivo?

A quel tempo, a Betlemme, le cose non si svolsero proprio splendidamente – e tutto sarebbe stato da tempo dimenticato, se fosse stata respinta una coppia disgustosamente normale. Ma così, alla luce della fine di quella storia, i locandieri godono di fama notevolmente cattiva.

Non eravamo tanto ingenui da credere che un qualsiasi presidente di consiglio di amministrazione avrebbe sprimacciato per noi il suo letto king-size. Saremmo una coppia di ipocriti se ci fossimo permessi un semplicistico giudizio sul fatto di essere stati di tanto in tanto respinti. Ma circa il tono col quale questo è quasi sempre accaduto? E su quell’ostinato silenzio?

Questa Wandlitz della Germania Occidentale ne esce senza steccati e barriere. Si chiude in sé col catenaccio dell’ignoranza. Non è possibile realizzare un isolamento in modo e misura superiori a questo.

A Kronberg vi sono innumerevoli Circoli della Carità – sulla carta
Che cosa dovrebbe accadere se la crisi arriva e con essa una nuova disoccupazione? Se la questione della giustizia sociale si pone in modo ancora più greve?

Naturalmente Kronberg e Königstein hanno la sfortuna di essere sinonimi. Come Sylt e San Moritz. Qui vi sono non soltanto milionari, ma anche persone,che vivono in «edifici di appartamenti su molti piani». Sono stati proprio quelli, che ci sono apparsi i più umani: una fornaia. Un parroco. Una impiegata di reception. Un giardiniere. Il personale ausiliario e i fornitori di corte nel nuvoloso Nido del cuculo tedesco.

Non è proprio sereno, domenica, la seconda di Avvento, in cui il nostro esperimento volge alla fine, questo scherzo pensato seriamente, questa missione superficialmente sotto copertura., Se noi sul Taunus ce la fossimo presa profondamente a cuore,  diversamente dallo scrittore nomade Holzach non saremmo affamati, ma invece, e molto più, raggelati.

A Kronberg lo scampanio chiama al servizio divino. Che cosa predicherà il pastore?

Camminiamo su verso l’albergo-castello, non più la residenza vedovile di Victoria, ma il «Germany’s Leading Resort» di proprietà del langravio e dei principi di Hessen. Qui si offrono corsi di svariato argomento per bambini. Al bar è appeso alla parete un quadro originale di William Turner. E nel caso un ospite paghi 700 euro gli si riserva nella Royal Suite il letto del Kaiser Guglielmo II. Vogliamo solamente bere un caffè e pagare.

La strada che porta all’hotel non ha marciapiede. Qui non si corre, qui si passa in auto. Il castello si erge sul campo da golf come una roccia grigia piena di fenditure. Sembra ardere dal didentro, i lampadari risplendono. Oggi è un giorno particolare: una coppia residente a Kronberg – lui è manager presso l’Agenzia di rating Standard & Poor’s – ha invitato tutti al concerto della Charity, come ogni anno. I figli e figlie della città suoneranno violoncello, violino e pianoforte. Il ricavato è destinato ai bambini subvedenti del Bangladesh.

Vi sono innumerevoli Circoli della Carità a Kronberg, dispendiosamente rappresentati e documentati. In Internet trovate immagini del capo del Consiglio direttivo su un modesto sfondo ospedaliero e manager con in braccio bimbi dalla pelle scura. La concorrenza sembra essere tanto grande che ormai si deve aiutare chi ha più di un malanno, per avere visibilità generale. I bambini del Bangladesh non bastano, devono essere anche ciechi. Si preferisce l’aiuto indiretto – quindi collegato a festività e con offerte destinate il più possibile lontano. Bangladesh, Sri Lanka, Perù. Chi si arrischia nelle vicinanze si prenderebbe, anziché riconoscenza, probabilmente un dibattito sulla [equa] ripartizione. Ma così si appare su una bella foto con in mano un assegno astronomico.

«Nella Charity il fantastico sembra essere», dice Viola, «che tutti quanti vedano che: Qui si fa carità».
Oggi questo buon sentimento si può ottenere con un prezzo d’ingresso già da 35 euro.

Entriamo con armi e bagagli. Nel foyer un valletto aiuta gli ospiti a togliersi i cappotti. Dappertutto camerieri, che si impegnano a ogni passo sul marmo a specchio per mantenere la loro dignità. In una vetrina una stilografica di Faber-Castell per 3.200 euro. Bicchieri che si toccano con lievi suoni. Lieto mormorio. Molta pelle in vista. Molta grazia. Molto nero. Molto bianco. E là in mezzo all’improvviso noi, i poor, direttamente davanti all’albero di Natale. Muscoli facciali, allenati dagli affollati ricevimenti a mantenere le apparenze, finiscono fuori controllo. Mormorio. Bisbiglio. Finalmente per una volta nessuna porta, nessuno steccato, nessun vetro ci divide dagli oggetti del nostro studio! Cerchiamo facce conosciute, i Kopper, gli Ackermann e i Blessing. Ma per fare questo non ci resta nessuna opportunità, dopo trenta secondi ecco il Manager on Duty, un giovanotto con taglio di capelli vecchio stile, alla Guttenberg [ndt.: ex ministro della Difesa del governo Merkel, dimessosi nel marzo 2011 per aver copiato parti della tesi di laurea e famoso per la sua pettinatura], e impeccabili modi da guardaportone. Con l’eleganza di un presentatore [televisivo], attraverso due ali di persone silenziose, ci spinge fuori all’aperto.

«Oggi è veramente inopportuno», ci dice con le sopracciglia alzate. «Qui abbiamo infatti una manifestazione di beneficenza».

Fuori sotto la pioggia ci guardiamo attorno. Come potremmo solamente dimenticare tutto questo.

Con la collaborazione di Amrai Cohen e Caterina Lob
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I nostri due ricercatori sociali si sono preparati per il loro compito durante un mese – dopotutto non è dovuta crescere soltanto una barba: Helmut Richard Brox, un tempo senzatetto, che nel frattempo conduce su Internet un sito di consulenza per senzacasa (link: http://www.ohnewohnung-wasnun.de/ ), ha dato consigli a «Maria» e «Giuseppe» su come presentarsi ed equipaggiarsi. Il guardaroba della Croce Rossa Tedesca di Amburgo ha prestato loro i vestiti e i sacchi a pelo. I due ricercatori ringraziano qui sinceramente tutti coloro che li hanno aiutato a Kronberg e a Königstein – e chiedono scusa a quelli che forse si sono sentiti raggirati.



Martedì 10 Gennaio,2012 Ore: 23:26