Le Monde Diplomatique, 12 ottobre 2010
Lettere dal Brasile

Nella pampa l’invasione degli eucalipti

Di Patrick Herman

(traduzione dal francese di José F. Padova)


Fra poco sapremo se in Brasile vi sarà, forse, un cambiamento di rotta nei confronti dei drammatici problemi ambientali e sociali che lo "sviluppo" sta esasperando. Il Brasile è fra i principali depositari del destino climatico della Terra, il suo "verde" è considerato essenziale per la nostra atmosfera. Questo articolo è l'ennesimo allarme. Purtroppo con poca "audience", perlomeno finché i governanti non sentono minacciati i loro posti di potere.
JFPadova

http://blog.mondediplo.net/2010-10-12-Dans-la-pampa-l-invasion-des-eucalyptus
vedi anche: http://www.ildialogo.org/estero/articoli_1239701716.htm

I sondaggi erano categorici: la candidata del Partito dei Lavoratori (PT), DilmaRousseff, poteva contare su una vittoria «facile» alle elezioni presidenziali del 2010. Il sostegno del presidente uscente, LuizInácioLula da Silva, l’autorizzava perfino – si diceva – a immaginare una vittoria al primo turno, il 3 ottobre. Con il 46,91% dei voti validi – contro il 32,61% del suo principale avversario, José Serra, del Partito della socialdemocrazia brasiliana (PSDB), di centro-destra – la sig.ra Rousseff si vede costretta a un secondo turno, il 31 ottobre. È la candidata del Partito verde (PV), Marina Silva, vicina ai settori evangelisti, che ha creato la sorpresa, aggiudicandosi il 19,33% dei voti. Il Partito verde avrebbe registrato un simile successo se «Lula» avesse mantenuto le sue promesse in materia di ambiente? Limitando, per esempio, l’espansione delle monoculture, come quella dell’eucalipto…?

2 settembre 2010. Di già São Paulo non è più che un ricordo. São Paulo e il suo agglomerato urbano che sfiora i 20 milioni di abitanti, i suoi immobili imprigionati dietro a cancellate, con le guardie nelle garitte, i suoi ingorghi demenziali, gli elicotteri che nell’aria trasportano i potenti e i senza fissa dimora che dormono sui marciapiedi, nell’odore dolciastro dell’etanolo [ndt.: il carburante estratto dalla soia, di uso generale in Brasile].

L’autobus ha lasciato dietro di sé Florianopolis, per filare verso il Rio Grande do Sul. Sullo schermo video del veicolo simpatici eroi si fanno inseguire da animali preistorici con zanne taglienti su sfondi di cartapesta. In certi incroci qualche bandiera agitata mollemente da uomini e donne in cerca di una manciata di real [ndt.: 1 real = € 0,43] per migliorare la loro vita quotidiana. Il Brasile è in campagna elettorale, le elezioni presidenziali si preparano per ottobre e ogni partito paga portatori di vessilli per ricordare la propria esistenza.

In sette ore di percorso si ha il tempo per sonnecchiare un poco, per osservare le case dai vivaci colori che cospargono un paesaggio molto rurale e informarsi su questo Stato dove l’eucalipto tenta di diventare il re.

La monocoltura su grande scala di questo albero importato dall’Australia, questo è l’obiettivo delle grandi industrie della cellulosa e della carta. Una monocoltura di più, si potrebbe dire: già la canna da zucchero ha decimato la Mata Atlantica [ndt.: grande foresta pluviale delle zone subtropicali e tropicali del Brasile, ricca di ecosistemi e fondamentale per la protezione idrogeologica del suolo, attualmente resta il 7,4% dei 500.000 kmq originari – v. fra l’altro http://www.adnkronos.com/IGN/Sostenibilita/Ecosostenibilita/Ambiente-Wwf-foresta-Atlantica-si-salva-ma-deforestazione-continua_3933950627.html] del Nordest del Paese, il caffè le foreste del Sudest e il cerrado, immensa savana arborea di 2 milioni di kmq del centro del Brasile ha perduto in cinquant’anni quasi la metà della sua copertura vegetale per l’avanzata della soja, che provoca le devastazioni ben note nella foresta amazzonica.

Una delle più grandi riserve d’acqua dolce sotterranea al mondo
L’offensiva dei propugnatori dell’eucalipto si sviluppa nel sud dello Stato, la Metade Sul. Qui è presa di mira un’altra favolosa eco-regione: la pampa, 760.000 kmq, vera e propria unità naturale che si estende largamente in Uruguay e nella regione della Plata in Argentina. Fino verso la fine degli anni ’80 Pista fra muri di eucaliptil’attività di allevamento tradizionale aveva preservato questo insieme di ecosistemi unico al mondo, con le sue quattrocento varietà di graminacee, seicentocinquanta specie di leguminose, i suoi animali e piante endemici e i suoi numerosi uccelli. Ormai, il folle treno dello sviluppo forsennato è lanciato a tutto vapore: obiettivo, un milione di ettari piantati a eucalipto, ma anche a pineta (per l’industria del mobile) e ad acacia (per il tannino). Si immagina il disastro che sta per arrivare, tanto più che questa prospettiva non riguarda soltanto il mondo visibile, ma anche l’universo invisibile delle profondità della terra. In effetti la pampa dispiega all’infinito le sue ondulazioni sopra una delle più grandi riserve d’acqua dolce sotterranea al mondo, l’acquifero Guarani, dal nome del primo popolo indio contattato dagli invasori occidentali più di cinque secoli fa, che subisce regolarmente l’espulsione dalle proprie terre, senza che il Governo federale si degni di sollevare un sopracciglio.

Estendendosi per il 70% nei sottosuoli del Brasile meridionale, ma anche in quelli dell’Argentina, del Paraguay e dell’Uruguay, questo acquifero impressiona: 1,2 milioni di kmq per 55.000 miliardi d’acqua di capacità. Esso è stato già fortemente messo sotto pressione, perché in sua mancanza non c’è sviluppo di città-funghi, non c’è monocoltura di canna da zucchero né fabbriche di cellulosa.

Piccolo problema di calcolo: sapendo che un eucalipto adulto pompa trenta litri d’acqua al giorno, con 2.500 piante per ettaro, quale sarà la quantità d’acqua assorbita da un milione di ettari? In una regione che soffre regolarmente di deficit idrico le conseguenze sono inevitabili: prosciugamento dei rios, scomparsa di migliaia di sorgenti, esaurimento di intere sacche di acquifero e razionamento, perfino scomparsa dell’accesso all’acqua per gli umani.

Questo è quindi il territorio ambito dalle grandi compagnie della cellulosa, esteso in immense fazenda che sono il marchio del latifondista brasiliano. Secondo l’Istituto brasiliano di geografia e di statistica (IGBE), le aziende agricole di più di mille ettari (meno dell’1% del totale) occupano il 44% della terra. Una struttura che affonda le sue radici lontano nella storia, come spiega il geografo Paulo Alentejano sul giornale Brasil de Fato. «I latifondi sono apparsi fin dall’inizio della colonizzazione, con la distribuzione delle terre alla piccola cerchia di amici del re del Portogallo», spiega questo professore universitario. «Si trattava non soltanto di sfruttare la terra con gli schiavi, ma anche di rendere sicuro il controllo politico del territorio. Nel 1850 la Legge della Terra ha rafforzato questo sistema, trasformando la terra in merce. Solamente coloro che avevano denaro potevano accedervi. Questo monopolio e la concentrazione fondiaria sono proseguiti nel XX secolo. I tentativi successivi di introdurre in Brasile una riforma agraria sono stati bloccati dal potere politico dei latifondisti. Una tendenza che si è ancor più accentuata con la “modernizzazione” dell’agricoltura brasiliana a partire dagli anni ’70: concentrazione, aumento della capacità produttiva ed espulsione dei lavoratori della terra (1)».

Contadini senza terra contro signori della cellulosa
La riforma agraria, eccoci al punto. Essa è al centro dello scontro che oppone i signori della cellulosa al Movimento dei senza terra (MST, Movimento dosTrabalhadoresruraissem terra). Orticoltrice a trecento chilometri da Porto Alegre e incaricata delle pubbliche relazioni del Movimento, Ana fa anche parte del coordinamento Via Campesina. Conosce bene le società implicate nei conflitti che l’accaparramento delle terre per piantarvi eucalipti provoca: StoraEnso la Finlandese, Fibria la Brasiliana, nata nel 2009 grazie alla crisi economica mondiale dalla fusione di Aracruz e Votorantim, e le Cilene CPMC e Masisa. Mentre viaggiamo enumera le ragioni che hanno spinto le Società a mettere gli occhi sul Sud del Paese: clima favorevole e crescita molto rapida degli alberi, terre e mano d’opera a buon mercato, incentivi fiscali e finanziari.

La nostra prima visita è all’accampamento di Trevi de Chaquiadas. Situato di fronte a un incrocio stradale, a un’ora di auto da Porto Alegre, non mira direttamente all’occupazione di terre. Si tratta piuttosto di una dimostrazione permanente e simbolica della presenza dei senza terra, nella contemporanea vicinanza di piantagioni di eucalipti e di un incessante passaggio di veicoli. Diverse decine di capanne ricoperte di plastica nera sono destinate ad accogliere una sessantina di famiglie. «In realtà esse sono meno numerose», spiega Ana, «perché da quattro o cinque anni si assiste a un tentativo di criminalizzare il Movimento e, di fronte all’aumento della repressione violenta, la partecipazione delle famiglie è meno cospicua». Il vessillo del MST sventola in cima a un palo, in fondo a un orto mantenuto con cura. A due passi dalla strada, all’ingresso dell’accampamento, una lastra di lamiera sospesa serve come gong in caso di allarme per la sicurezza.

In fondo all’accampamento una riunione di coordinamento raccoglie una decina di persone. Ci spiegano che i rapporti con il proprietario del terreno sono accettabili, ma molto più tesi con l’impresa che pianta alberi a qualche decina di metri da lì. Contraddizione: nell’accampamento qualcuno non trova lavoro se non nelle piantagioni… Ma queste grandi società creano tanti posti di lavoro quanti ne propagandano? Secondo uno dei partecipanti alla riunione, dopo la messa a dimora degli alberi e un poco di cure nel primo anno, non c’è più lavoro, fino al taglio molto meccanizzato degli eucalipti dopo sette anni. Gli alberi sono trattati, in particolare contro le formiche, ma anche contro parassiti, e qui il trattamento si fa mediante aeroplani. Tanto peggio per quelle e quelli che vivono nelle vicinanze e che approfittano anch’essi del trattamento.

Qui nessuno sa quali prodotti vengano utilizzati. Un documento della Divisione delle foreste dell’Organizzazione ONU per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) mi farà conoscere in seguito che le termiti in Brasile sono trattate con arsenico bianco, un minerale che ha la caratteristica di non degradarsi. Le Devastazione dopo il taglioformiche, che tagliano foglie e gemme, sono attaccate con bromuro di metile, ma anche con lindano [ndt.: gamma-benzene esacloruro], e i coleotteri col DDT. Irritazioni respiratorie, riniti, dermatosi, segnalate dagli occupanti dell’accampamento, sono moneta corrente. Ma per tutti questi lavoratori della terra il rischio maggiore è il cancro. Chi studierà questo mondo invisibile?

La salute contro un posto di lavoro? Largamente praticato da che mondo è mondo, questo mercato degli inganni è attuato anche qui. Salvo che la creazione di impieghi strombazzata dagli industriali della cellulosa non convince affatto i responsabili del MST. In un’intervista del 2007 fanno il punto della situazione: «Sul milione di ettari destinati a essere piantati si potrebbero sistemare 43.000 famiglie. Se 185 ettari di eucalipti creano un posto di lavoro, la riforma agraria ne creerebbe cinque (2)».

Autoproduzione alimentare, strade, pozzi, scuole…
Lasciamo l’accampamento per l’ «assentamento» (sistemazione di famiglie nel quadro della Riforma agraria) di Belo Monte, nel comune di Eldorado do Sul: lì si tenta di ricreare impieghi mediante la lavorazione della terra e di resistere all’invasione degli eucalipti. Flavio Vivian ci accoglie nella sua casa bioclimatica. Tetto di vegetali su intelaiatura circolare di legno, muri in mattoni fatti con la terra, la casa si nasconde nella vegetazione di una piega del terreno, su una radura di circa 80 ettari, delimitata da ogni parte dalle muraglie oscure degli eucalipti. Per iniziativa del Movimento dosDesempregados (Movimento dei disoccupati), una sessantina di famiglie si sono messe là da qualche anno, su terreni incolti posseduti dalla GeneralMotors e acquistati a scopi speculativi. A quell’epoca i rapporti di forza erano più favorevoli a nuove sistemazioni pilotate dall’Istituto nazionale della colonizzazione e della riforma agraria (INCRA). Priorità all’autoproduzione alimentare, ma anche fabbricazione di strade, di pozzi, di scuole e di reti energetiche: questo era il concetto di sviluppo del territorio e di un tessuto sociale dinamico che ispirava questi insediamenti. Un progetto sconfitto totalmente dal 2007, con l’arrivo alla testa dello Stato di YedaCrusius, membro del Partito socialdemocratico e largamente finanziata dagli industriali della cellulosa. Secondo João Paulo Rodrigues, del MST, è ormai arrivato il tempo della criminalizzazione dei movimenti sociali, ritrasmessa da stampa e giustizia, con la partecipazione attiva della Brigata militare.

Animatore del Movimento dei piccoli agricoltori (MPA), creato due anni fa, Flavio sottolinea le difficoltà che assillano quotidianamente le famiglie insediate: «Uno degli aspetti perversi delle piantagioni è che tutta la fauna dei dintorni viene a nutrirsi e a riprodursi sulle nostre coltivazioni. Fra le file degli eucalipti non vi è nulla. Tutto questo fa danni. D’altra parte, aspettando di sviluppare il nostro lavoro sul posto, molti sono obbligati ad andare a lavorare in città, da dove erano partiti per venire a sistemarsi qui. Per gli uomini c’è l’edilizia, per le donne, i lavori di pulizia. La lontananza pone gravi problemi di trasporto». Eppure, per le famiglie stabilite qui, la lontananza dalla violenza urbana è una conquista apprezzabile.

Lasciamo Belo Monte e i suoi giardini alberati, dove talee e impianti aspettano la buona stagione per formare quell’ambiente vivo al quale tutti aspirano, a due passi dagli allineamenti mortiferi degli eucalipti. Nella bruma che è seguita alla pioggia si distaccano da entrambi i lati della pista file fantomatiche di alberi, interrotte soltanto dagli appezzamenti recentemente devastati da tagli raso terra e da enormi mucchi di legno tagliato sulla lunghezza. Lontano rumoreggia la macchina che abbatte, scorza e taglia. Non ci si avvicina. La zona è sempre più sotto sorveglianza, la tensione nella zona è palpabile e non bisogna trattenersi sulle piste. Giusto il tempo di scattare qualche fotografia.

Sull’aereo di ritorno a São Paulo, qualche immagine sulle lotte condotte da anni contro la monocoltura degli eucalipti. Il video s’intitola Rompendo o silêncio (Rompere il silenzio). Il filmato di un’auto nella notte. Il viso nascosto da un foulard, alcune donne strappano la plastica che protegge le serre. Poi rovesciano le griglie sulle quali innumerevoli piante di qualche centimetro  crescono in vasetti di plastica. È l’8 marzo 2006 e quasi duemila contadine mobilitate da Via Campesina hanno appena distrutto un vivaio di eucalipti. La tradizione della lotta non è nuova in Rio Grande do Sul: la prima azione del MST risale al 7 gennaio 1979, con l’occupazione della fazendaMacali, seguita sul filo degli anni da numerosi interventi, con una determinazione e un coraggio che in seguito non si sono mai smentiti. In marzo 2007 sono effettuate in Rio Grande quattro occupazioni di terre, nel quadro di una mobilitazione nazionale per la sovranità alimentare e contro l’agro-commercio. Nel settembre dello stesso anno millecinquecento famiglie convergono in tre colonne verso Coqueiros do Sul, con l’obiettivo di requisire la fazenda Guerra. Secondo il MST, i novemila ettari di questa proprietà offrono due posti di lavoro permanenti e una ventina di stagionali. Il Movimento, sostenuto un anno prima dall’intervento su «Lula» di ventitre prefetti a favore dell’esproprio dell’azienda agricola, si propone di sistemarvi cinquecento famiglie creando millecinquecento posti di lavoro diretti. Una delle colonne viene attaccata dai fazendeiros. La fazenda sarà occupata temporaneamente in gennaio 2008.

Discorso ambientalista sulla «”fissazione del carbonio”»
Il racconto di queste azioni di resistenza occuperà il pomeriggio dell’8 settembre. Siamo a Guararema, a due ore d’auto da São Paulo, nel Centro FlorestanFernandes, dedicato a quel figlio di emigrati portoghesi, sociologo uscito dal microcosmo universitario e rimasto per tutta la vita accanto al mondo operaio. Decine di rappresentanti dei diversi Stati si sono riuniti per questo seminario della Via Campesina, in questo magnifico complesso di edifici costruiti da una brigata del MST in cinque anni di lavoro.

Uno a uno gli argomenti degli industriali della cellulosa sono esaminati e respinti. L’eucalipto per lottare contro l’erosione del terreno? Per diminuire la pressione sulle foreste «native»? per creare posti di lavoro? Per occupare terre abbandonate dall’agricoltura? La realtà ha altri nomi: violazioni dei diritti delle comunità, eliminazione dell’agricoltura da vivaio, incremento dell’esodo rurale verso le bidonville urbane, appropriazione delle risorse naturali, utilizzazione massiccia di sostanze tossiche a uso agricolo e di alberi transgenici e infine distruzione degli ecosistemi.

La strategia dei piantatori è sviscerata: le piantagioni si evolvono in funzione del mercato mondiale, ripartito al rialzo con la domanda cinese, e cercano di inglobare i piccoli proprietari di arboreti. Tutto questo per l’esportazione, ma certo. Un discorso ambientalista sulla fissazione del carbonio permette agli industriali del settore di vantarsi con la lotta al riscaldamento climatico. Quanto alla certificazione delle piantagioni, essa serve come argomento di marketing in un mondo sempre più sensibilizzato all’ecologia. In questo grande gioco d’inganni la «società civile» non è stata dimenticata: sono state create ONG al servizio degli interessi degli industriali, come pure fondazioni, per mettere una parte delle università sotto controllo mediante sponsorizzazioni e partnership.

Le cifre seguono le une alle altre: nel 2009, 6.310.000 ettari piantati con eucalipti e pini (3) hanno proiettato il Brasile al rango di quarto produttore mondiale di cellulosa. Le previsioni al termine del 2014 sono di 7,5 milioni di ettari. Sempre nel 2009 l’industria del legno ha prodotto 174 milioni di mc, di cui il 32% per la cellulosa e la carta, 22,7% per il legno e 13,4% per il carbone di legna. Ne è colpita la maggior parte degli Stati brasiliani. Nell’ordine: MinasGerais (1,3 milioni di ettari), São Paulo (1,03 mil. di ha), Bahia (628.000 ha), Mato Grosso do Sul (290.000 ha) e Rio Grande do Sul (272.000 ha).

Venuti da tutti questi Stati, uomini e donne si susseguono per prendere la parola. Luiza rappresenta la comunità Quilombola (4) de Santa Cruz, che ha visto il flagello degli eucalipti prendere il posto della compagnia petrolifera brasiliana Petrobras. Nello Stato di São Paulo tre piantagioni sono state fermate in seguito all’azione dei Movimenti locali. A Bahia, regione del cacao, dove i latifondisti sono particolarmente violenti, seguono occupazioni, piantagioni di fagioli, dibattiti nelle scuole. Una diapositiva mostra un cartellone piantato su una recinzione: «Accesso permesso alle famiglie dei defunti qui sepolti». Perfino i morti stanno dietro il filo spinato. Nel Mato Grosso do Sul si sono installate quasi mille famiglie.

«La monocoltura s’impianta prima nella testa, poi nella terra». A questa espressione rispondono come un’eco queste parole del filosofo VicenteMadaglia: «I governi sono patologicamente ossessionati dall’ideologia della crescita infinita (5)». In parte per aver rifiutato di comprendere che le piantagioni di eucalipti non sono foreste e che le monocolture per il mercato mondiale non nutrono il popolo brasiliano, domenica 3 ottobre DilmaRousseff, la candidata del presidente Lula, si è trovata ad affrontare un secondo turno per le elezioni presidenziali brasiliane.

[1] Raquel Junia, « Limite da propriedade da terra reduziriadesigualdade », Brasil do Fato, 2-8 septembre 2010.
[2] « A monocultura do eucalipto. Deserto disfarçado de verde ? », Cadernos IHU emformaçao, São Leopoldo, n° 27, 2008.
[3] Secondo l’Associazione brasiliana dei produttori forestali (ABRAF).
[4Quilombolas : territori occupati dagli schiavi neri evasi.
[5Cadernos IHUop. cit.


Arcoiris
http://domani.arcoiris.tv/elezioni-brasile-cara-marina-che-difendi-l’ambiente-non-puoi-non-votare-e-fare-il-gioco-della-destra/
Elezioni Brasile – Cara Marina che difendi l’ambiente, non puoi non votare e fare il gioco della destra

Ma Marina respinge l’appello e sceglie la “neutralità”. E DilmaRousseff può avere problemi. Senza apparato e senza soldi Marina Silva (Verdi) ha raccolto la fiducia di 20 milioni di elettori. Pericoloso congelare nell’equidistanza tra il conservatore Serra e Dilma, candidata di Lula, il patrimonio umano e la voglia di cambiamento che il popolo le chiede. La sua decisione può trasformare il paese e salvare l’Amazzonia. Per il momento i Verdi non hanno raccolto la preghiera di FreiBetto e del Pd

di FreiBetto   (18-10-2010)
A fine mese il Brasile saprà chi prende il posto di Lula alla presidenza. La sorpresa del primo turno sono i 20 milioni di voti raccolti da Marina Silva. Voti per lei non per il partito dei Verdi perché gli elettori hanno scelto una persona, non un partito. Il che pone tanti interrogativi. Buona parte di chi ha votato Marina si è messa d’accordo nella scelta attraverso le reti sociali di internet il quale funziona come gigantesco manifesto virtuale. Migliaia di persone ne hanno discusso nell’universo web e attraverso web hanno cercato le ragioni che suggerivano una candidata senza apparati e con pochi soldi. È curioso constatare che la militanza virtuale cresce nel dialogo tra persona e persona; militanti volontari nelle strade: pagavano di tasca propria manifesti e volantini, vendevano piccole cose dell’artigianato povero per raccogliere quanto bastava a nutrire il loro volontariato. La differenza è proprio questa: chi insegue un’idea senza badare ai sacrifici e chi fa le stesse cose per guadagnare un po’ di soldi senza conoscere i programmi del candidato del quale canta le lodi. Insomma, mercenari per bisogno.Marina ha scelto “la neutralità. I delegati verdi hanno votato a San Paolo il loro distacco: 84 delegati si sono decisi per il “no”. Solo quattro hanno proposto di appoggiare DilmaRousseff.
Contrariamente alla distrazione che affligge sia il Pt di Lula e di DilmaRousseff, sia il Psdb del candidato conservatoe José Serra, il tema della difesa dell’ambiente anima il proselitismo di Marina Silva. Non è solo un argomento “verde”. La società è molto preoccupata del degrado, del riscaldamento globale, della deforestazione dell’Amazzonia e della costruzione di giganteschi sbarramenti idroelettrici che snaturano immense regioni e umiliano la sopravvivenza di chi vive con i rutti della terra.
Marina Silva si è offerta politicamente quale portavoce delle richieste fondamentali della società, richieste mai davvero raccolte dal Pt e dai conservatori di Serra. Parafrasando Shakespeare, vi sono più cose tra la sinistra e la destra di quanto immaginano i cacicchi dei partiti. Marina ha inventato una griglia che rompe la polarizzazione partitaria sempre più lontana dalle esigenze delle persone. E 20 milioni di brasiliani hanno visto in lei una nuova speranza.
La candidatura di una donna cresciuta nell’analfabetismo delle foreste con la voglia di sapere per capire all’ombra di ChicoMendes; una donna che ha bloccato la deriva plebiscitaria prevista per DilmaRousseff attorno alla quale si è stretto il Partito dei Lavoratori; questa donna impone alla vincitrice o all’improbabile vincitore Serra, l’obbligo di ascoltare le proteste e cambiare i programmi del governo che verrà. Chi va a votare vota per risolvere i problemi e acquietare l’angoscia della sopravvivenza. Non vuol sapere se il miglior presidente del Brasile è stato HentiqueCardoso, teologo dell conservazione, o Lula da Silva del partito che rappresenta la sinistra urbana. Vuol sapere quale futuro lo aspetta. Quale tipo di vita sarà concesso dallo sviluppo economico che i candidati promettono. Non è un problema brasiliano. In ogni parte del mondo il nodo non cambia: scuola, salute, lavoro. E come potrà respirare se l’Amazzonia sopravvive o verrà mangiata dalla soia e dagli speculatori.
Marina è una debuttante nel partito dei Verdi mentre l’immagine di Lula è più forte dell’immagine del suo partito. Come in ogni altro partito anche la storia dei Verdi è segnata dalle contraddizioni. Hanno fatto parte del governo di Lula (Ministero della Cultura), hanno collaborato con Josè Serra, governatore di San Paolo (ministro per la difesa dell’Ambiente). I Verdi potranno scegliere di restare sulla cresta dell’onda sedotti dal canto delle sirene che hanno vinto, quindi accettare qualche ministero nel futuro governo. Marina no. La sua storia è di coerenza etica, testimone mai scesa a compromessi. Ma bisogna dire che non può restare neutrale nella lotta del ballottaggio. La politica della neutralità è peccato di omissione. Nessun momento della nostra vita – dal caffè della mattina al trasporto quotidiano – sfugge alla logica della politica. Marina non è arrivata da Marte. Viene dalle comunità dell’Acre, comunità ecclesiale di base, dalla scuola di ChicoMendes, dal Pt che l’ha portata in Senato e l’ha voluta Ministro federale dell’Ambiente nei due mandati di Lula. L’elettore chiede a Marina di schierarsi e di farlo in coerenza con la sua storia di militante dai principi etici e ideologici che non hanno mai tremato. Sarebbe sconfortante vederla osservare senza decidere. Non è in buon fedele solo chi abbraccia una religione. Bisogna essere fedeli alla traiettoria che ha permesso a Marina di diventare una delle più ammirate e popolari leader del Brasile. È in gioco non il futuro elettorale della senatrice Silva e del suo immenso patrimonio politico, quei 20 milioni di persone aggrappate alle sue parole; è in gioco il futuro prossimo del paese. Nei quattro anni che ci aspettano, la sua influenza può cambiare carattere e decisioni del nuovo governo. Ecco perché è necessario che i Verdi e Marina scelgano fra due progetti così diversi nelle intenzioni, ma anche pericolosamente diversi nella considerazione della dignità del popolo.

FreiBetto è una delle voci libere della Teologia della Liberazione. Frate domenicano, giovanissimo è stato imprigionato e torturato dalla dittatura militare brasiliana. L'impegno umano, inevitabilmente politico, verso i milioni di diseredati che circondano le città e vivono nelle campagne del suo paese, lo ha reso pericoloso agli occhi dei generali che governavano il Brasile. Ha scritto 53 libri. La sua prosa diretta e affascinante analizza l'economia e la politica, la vita della gente con una razionalità considerata " sovversiva " dai governi forti dell'America Latina, e non solo. Non se ne preoccupa. L'ammirazione dei giovani di ogni continente lo compensa dalla diffidenza dei potenti. Venticinque anni fa ha incontrato e intervistato Fidel Castro, libro che ha fatto il giro del mondo. Lula, presidente del Brasile, lo ha voluto consigliere del programma Fame Zero. FreiBetto è oggi consigliere di varie comunità ecclesiastiche di base e del movimento Sem Terra. Ha vinto vari premi. L'Unione degli Scrittori Brasiliani lo ha nominato Intellettuale dell'anno. Il suo libro " Battesimo di Sangue ", tradotto in Italia, è diventato un film.



Lunedì 25 Ottobre,2010 Ore: 11:43