Le Monde Diplomatique, novembre 2009
Dai discorsi volontaristici ai falsi dibattiti

L’immigrazione, un «problema»così comodo

di Eric Fassin, sociologo presso l’École normale supérieure, membro dell’associazione « Questa Francia qui ».

(traduzione dal francese di José F. Padova)


L’evacuazione forzata della «giungla» di Calais [ndt.: vasta area di sosta per “clandestini” che tentavano di raggiungere la Gran Bretagna], come l’hanno mostrata le espulsioni mediatiche dei sans papier [=immigrati senza documenti legali]: il controllo dell’immigrazione per il governo francese costituisce una priorità. Non si tratterebbe più di «subire» gli immigranti, ma di «sceglierli», così martella Nicolas Sarkozy. Ora, questi maschi discorsi di Stato contribuiscono più a mantenere efficiente un «problema», che procura benefici politici a buon prezzo a coloro che lo sfruttano, piuttosto che a prendere le misure della posta che esso mette in gioco.

Presiedendo una conferenza dell’Unione per un movimento popolare (UMP) dedicata all’immigrazione, Sarkozy, allora ministro dell’Interno, il 9 giugno 2005 collauda un nuovo vocabolario politico destinato a un considerevole successo: «Voglio passare da un’immigrazione subita a un’immigrazione scelta». L’immigrazione per lavoro non data certo da quel discorso, ma eccola ribattezzata: la scelta appartiene allo Stato, non agli immigranti – se non per i rimpatri detti «volontari», espulsioni accettate contro denaro. La novità riguarda l’ opposizione all’immigrazione designata col termine «subita». Sarkozy lo dichiara poco dopo: «È proprio il minimo che la Francia decida chi ha il diritto di stabilirsi sul suo territorio e chi non lo ha (1)». In questo modo l’alternativa è presentata come una risposta di buon senso a un problema contemporaneamente economico e politico.

Non si tratta già di rifiutare l’immigrazione nel suo principio (al contrario, si proclama chiaro e forte che la Francia deve restare una terra “meticcia”). È un modo di coniugare, senza tensioni apparenti, le esigenze del pragmatismo economico e della fermezza politica. È anche lo strumento per non darla vinta né ai partigiani dell’apertura delle frontiere né a quelli dell’immigrazione-zero, ovvero alla «sinistra della sinistra» e alla «destra della destra» e, nello stesso tempo, per privare la sinistra socialista del suo terreno politico prediletto, ossia il «giusto mezzo» fra gli estremi.

La scelta della «preferenza nazionale»?
Tuttavia la distinzione fra immigrazione «scelta» e «subita» è minata da una fondamentale contraddizione: questa costruzione politica non è né coerente nella logica né fondata empiricamente (2). In effetti, la prima è per definizione un’immigrazione di lavoro, mentre la seconda riguarda soprattutto l’immigrazione famigliare. Ora, la contrapposizione fra le due si disfa non appena si prende in esame la realtà. Da una parte, i lavoratori sono inclini ad avere una famiglia: il loro comportamento non è dettato dal solo interesse finanziario. Dall’altra, le famiglie tendono a cercare un lavoro: i legami umani non impediscono la logica economica. Non si tratta quindi solamente di umanità, ma anche di razionalità: è assurdo fare come se la famiglia e il lavoro esistessero in mondi paralleli, senza rapporto alcuno. In breve, la soluzione preconizzata da Sarkozy non è univoca: non si saprebbe come incoraggiare l’immigrazione «scelta» e scoraggiare quella «subita» in un intervento simultaneo.

I governi francesi si adoperano senza dubbio a «riequilibrare» entrambe: l’immigrazione famigliare non è forse nove volte (circa) più importante di quella per lavoro? La lettera d’incarico inviata il 9 luglio 2007 al ministro dell’Immigrazione Brice Hortefeux è chiara: «Punterete all’obiettivo di far sì che l’immigrazione economica rappresenti il 50% del flusso totale delle entrate». Tuttavia, diminuendo quella legata alla famiglia molto più che aumentando quella riguardante il lavoro, come lo dimostra il Comitato interministeriale di controllo dell’immigrazione nel suo rapporto annuale (3). Se la parte relativa al lavoro nell’immigrazione duratura proveniente da Paesi terzi [ndt.: fuori dall’UE] nel 2007 si è effettivamente accresciuta rispetto al 2006, lo è stato soprattutto «grazie» alla diminuzione dei permessi di soggiorno per motivi famigliari (4). Malgrado la pubblicazione di un elenco di centottanta «mestieri sotto pressione», aperti alla mano d’opera straniera a causa di «difficoltà di assunzione», la realtà delle cifre si rivela molto lontana dai discorsi ufficiali: soltanto centosessanta permessi per «competenza e talento» concessi nei primi tre trimestri del 2008.

La rinuncia all’immigrazione «scelta» non è quindi effetto della crisi. La congiuntura permette piuttosto di giustificare a posteriori ciò che le cifre già facevano trapelare. Occorre tenerle bene a mente quando si legge la lettera d’incarico indirizzata il 31 marzo 2009 al successore di Hortefeux, Eric Besson. Ormai «la priorità assoluta deve essere diretta al ritorno nell’impiego delle persone che in Francia ne sono prive». È rivelatore il fatto che, dopo la diffusione di questa lettera sulla stampa, la fine dell’ultima frase - «quindi, per quanto riguarda il vostro campo di competenza, l’impiego degli stranieri in posizione regolare» - sia scomparso con discrezione dal documento ufficiale (5). Si può affermare più chiaramente la scelta della «preferenza nazionale»?

Che sia scelta o no, l’immigrazione è ancora e sempre presentata come un problema. Altrimenti, perché adottare continuamente nuove leggi, sempre più restrittive – dopo le leggi Sarkozy del 2003 e 2006, la legge Hortefeux del 2007, in attesa certa di una legge Besson? Evidentemente, la retorica di Sarkozy non mira a risolvere un problema, ma a costituirlo in quanto tale.

È illuminante paragonare le sue dichiarazioni del 9 giugno 2005 con il discorso politico generale pronunciato il giorno prima, all’Assemblea generale, dal suo rivale, Dominique de Villepin, allora nuovo primo ministro. Se Villepin parla appunto d’immigrazione «scelta» (ma non «subita»), lo fa soltanto per contrapporla alle pratiche illegali e alla frode; meno inventivo (o meno disinibito) del suo rivale, egli non concepisce di prendersela contro l’immigrazione famigliare. Ora, Sarkozy grazie alla sua terminologia realizza un doppio dislocamento. Fino ad allora l’immigrazione «subita» era riconosciuta «di diritto». Ormai è contro quella che ci si deve rivolgere; non è più sufficiente quindi lottare contro l’immigrazione illegale.

Senza dubbio le espulsioni di immigrati in situazione irregolare occupano un posto privilegiato nella comunicazione governativa. Nondimeno: i sans papiers non sono abbastanza numerosi in Francia per fare dell’immigrazione un problema fondamentale. A differenza degli Stati Uniti, dove i dodici milioni di clandestini erano assenti dall’ultima campagna presidenziale, organizzare in Francia il pubblico dibattito attorno a qualche centinaia di migliaia di persone in situazione irregolare, su una popolazione di più di sessanta milioni di abitanti, richiede un lavoro politico considerevole. Il «problema dell’immigrazione» non si pone da solo; esso non esiste se non in quanto viene posto e non dura se non perché è mantenuto e rinnovato.

«Da una parte, spiega Sarkozy nel 2005, il rispetto per la vita famigliare è uno dei nostri valori e costituisce una condizione per l’integrazione. Dall’altra, Il ricongiungimento famigliare occupa oggi un posto troppo importante nell’equilibrio dei flussi migratori ed è all’origine di numerose frodi (matrimoni in bianco o forzosi, frodi ai danni dello stato civile…)». La presunzione di frode risulterebbe dalla volontà politica di «riequilibrare»? E di trarne le conseguenze: «Occorre avere il coraggio di porre in altro modo i termini del dibattito. Il ricongiungimento famigliare è certamente un diritto, ma non un diritto che si possa esercitare nell’assoluto disprezzo delle regole». In altre parole, lo so bene, ma, tuttavia…

Sospetto di frode a priori
Dalla lotta contro la frode si passa molto rapidamente alla ridefinizione del diritto stesso.: «Quindi è necessario essere più rigorosi sulla valutazione delle condizioni di reddito, di alloggio, d’integrazione preliminare al ricongiungimento». La vita della famiglia non appare più come una «condizione dell’integrazione»; al contrario, l’integrazione ora fa parte dei «requisiti per il ricongiungimento» famigliare.

Ci si ricorda che il diritto alla vita famigliare in Francia ha valore costituzionale e che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, all’art.8, garantisce a ognuno il diritto «al rispetto della sua vita privata e di famiglia»? Il rapporto della Commissione Mazeaud sull’inquadramento costituzionale della nuova politica dell’immigrazione nel luglio 208 mitiga così: «Se il rispetto della vita privata è un diritoo, il complesso delle condizioni alle quali è subordinato il suo esercizio può essere oggetto di un controllo più spinto [sotto forme] convalidate dal Consiglio costituzionale o dalla Corte di giustizia dell’Unione europea».

E continua dettagliando tutto un programma di lotta contro l’immigrazione «subita»: «Per il ricongiungimento dei coniugi attraverso la verifica più rigorosa della realtà del matrimonio, della continuità della vita in comune; mediante l’attenta valutazione delle condizioni di reddito e di alloggio per l’accoglienza dei figli; con il controllo più esigente della realtà delle relazioni parentali ed educative prima di accordare a uno straniero il beneficio dell’assunzione di responsabilità di figli residenti o francesi; prendendo in considerazione con la massima circospezione i documenti di stato civile; col rifiuto intransigente ed effettivo del ricongiungimento di famiglie poligame; con la verifica effettiva del carattere “sproporzionato” dell’offesa alla vita privata e famigliare alla quale il Ceseda (codice dell’entrata e del soggiorno degli stranieri e del diritto d’asilo) subordina il ricongiungimento famigliare in loco». Una commissione che pure gode di buona reputazione per aver resistito all’ingiunzione presidenziale in materia di quote convalida così il trattamento dell’immigrazione delle famiglie come un problema che è conveniente ridurre.

Le leggi sull’immigrazione del 2006 e 2007, come anche la legge sul controllo della validità dei matrimoni del 2006, hanno irrigidito la doppia logica di restrizione del diritto alla vita famigliare già all’opera almeno dal 2003 – sospetto aprioristico di frode e condizioni preliminari sempre più rigorose. Di conseguenza la flessione dei dati, da quelli del ricongiungimento a quelli dei matrimoni misti, è edificante: fra il 2006 e il 2007 il numero dei permessi di soggiorno concessi in questo quadro si abbassa del 10,6%. Il calo è «di una tale ampiezza che può essere considerato come il segno di una vera e propria rottura», nota con soddisfazione il bilancio interministeriale già citato.

Perché rilanciare il «problema dell’immigrazione», grazie all’invenzione dell’ «immigrazione subita», e perché nel giugno 2005? Il nuovo governo è nominato all’indomani del rigetto del trattato costituzionale europeo con il referendum. Ansioso d’interpretare a suo favore «il significato del voto che i francesi hanno espresso il 29 maggio», il presidente dell’UMP ritiene così di dare una doppia risposta a «quelli del no». Notificando da una parte che l’Altro, minacciante culturalmente ed economicamente s’incarna meno nella figura dell’«idraulico polacco» che in quella dell’immigrato, il più sovente venuto dall’Africa; rivendicando dall’altra una politica volontari sta nel momento in cui gran numero di elettori rifiutano di essere privati di qualsiasi potere d’intervanto sul corso degli eventi – da cui il contrasto che è riassunto nell’opposizione fra i termini «scelta» e «subita».

In risposta allo «spirito di sovranità antieuropeo», Sarkozy disegna quindi uno «spirito di sovranità europeo». Al contrario di una politica dell’immigrazione che allontanerebbe Parigi dall’Europa, questo schema gli permette di rivendicarvi un ruolo motore: «Voglio che la Francia sia ormai sistematicamente la prima in Europa nel proporre e costruire una strategia migratoria adatta alle poste in gioco del mondo contemporaneo». Il Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo, adottato dal consiglio europeo il 16 ottobre 2008 sotto la presidenza francese, completerà una dinamica avviata da lunga data: non soltanto il «problema dell’immigrazione» è abbordato al livello dell’Unione, ma esso costituisce ormai il cuore dell’identità europea.

Questo successo diplomatico è dovuto indubbiamente all’efficacia elettorale di una strategia che rappresenta l’immigrazione come un problema per meglio ignorare gli altri «problemi» o, più precisamente, gli altri modi di dare significato al malcontento che si è espresso nelle urne e di evitare di dare loro altre risposte.

Le Monde, 13 luglio 2005
Vedi Cette France-là. 06.05.2007 / 30.06.2008, La Découverte, Paris, 2009, in particolare p. 389-394
Secrétariat général du comité interministériel de contrôle de l'immigration, Les Orientations de la poli-tique de l'immigration. Cinquième rapport — dècembre 2008, La Documentation française, Paris, 2009
Nel 2006, per quanto riguarda l’immigrazione legale proveniente dai Paesi non-UE, i lavoratori non rappresentano che 10.713 permessi di entrata per un soggiorno di lunga durata, ovvero circa la stessa quantità di rifugiati e richiedenti il diritto d’asilo (10.205). In compenso, l’immigrazione di carattere famigliare si eleva a quota 95.973. La diminuzione di quest’ultima (più di 10.000 unità fra il 2006 e il 2007) spiega quasi del tutto il calo totale (da 183.261 a 171.222). Questi dati sono presi dall’opera Les Orientations de la politique de l'immigration, op. cit.
Si può verificarlo sul sito dell’Ufficio francese dell’immigrazione e dell’integrazione, che non ha tenuto conto della frattura se non nella versione scaricabile, mantenendo la versione originale sulla pagina dove la lettera è copiata.

Testo originale:

Le Monde Diplomatique, novembre 2009
De discours volontaristes en faux débats
L’immigration, un «problème» si commode
Par Eric Fassin * Sociologue à l'École normale supérieure, membre de l'association Cette France-là.

La dispersion de la « jungle » de Calais comme les médiatiques expulsions de sans-papiers l'ont montré : le contrôle de l'immigration constitue une priorité du gouvernement français. Il ne serait désormais plus question de « subir » les migrants, mais de les «choisir», martèle ainsi M. Nicolas Sarkozy. Or ces mâles discours d'Etat contribuent davantage à entretenir un « problème », procurant à peu de frais des bénéfices politiques à ceux qui l'exploitent, qu'à prendre la véritable mesure de ses enjeux.

Présidant un colloque de l'Union pour un mouvement populaire (UMP) consacré à l'immigration, M. Nicolas Sarkozy, alors ministre de l'intérieur, teste, le 9 juin 2005, un nouveau vocabulaire politique promis à un succès considérable : «Je veux passer d'une immigration subie á une immigration choisie. » Bien sûr, l'immigration de travail ne date pas de ce discours, mais la voilà rebaptisée : le choix appartient à l'Etat, non aux migrants — sinon pour les retours dits «volontaires », expulsions consenties moyennant finances. La nouveauté tient à l'opposition dessinée avec l'immigration «subie ». M. Sarkozy le déclare peu après : a C'est quand même bien le minimum que la France décide qui a le droit de s 'installer sur son territoire et qui ne l'a pas (1). » L’alternative est ainsi présentée comme une réponse de bon sens à un problème tout à la fois économique et politique.

Il n'est pas question de rejeter l'immigration dans son principe (au contraire, on clame haut et fort que la France doit res-ter une terre de métissage). C'est une façon de conjuguer, sans tension apparente, les exigences du pragmatisme économique et de la fermeté politique. C'est aussi le moyen de renvoyer dos à dos les partisans de l'ouverture des frontières et ceux de l'immigration zéro, soit la «gauche de la gauche» et la «droite de la droite» et, du même coup, de priver la gauche socialiste de son terrain politique de prédilection, à savoir le «juste milieu» entre les extrêmes.

Le choix de la «préférence nationale» ?
Toutefois, le partage entre immigrations «choisie» et «subie» est miné par une contradiction fondamentale : cette construction politique n'est ni cohérente logiquement, ni fondée empirique-ment (2). En effet, la première est par définition une immigration de travail, tandis que la seconde concerne surtout l'immigration familiale. Or l'opposition entre les deux se défait dès qu'on examine la réalité. D'un côté, les travail-leurs sont enclins à avoir une famille : leur conduite n'est pas dictée par le seul intérêt financier. De l'autre, les familles ont tendance à chercher du travail : les liens humains n'empêchent pas la logique économique. Il ne s'agit donc pas seulement d'humanité, mais aussi de rationalité : il est absurde de faire comme si la famille et le travail existaient dans des mondes parallèles, sans rapport aucun. Bref, la solution préconisée par M. Sarkozy n'en est pas une : on ne saurait dans un même mouvement encourager l'immigration «choisie» et décourager l'immigration «subie».

sion envoyée le 9 juillet 2007 au ministre de l'immigration Brice Hortefeux est claire : ((Vous viserez l'objectif que 1 'im-migration économique représente 50 % du flux total des entrées. » Toutefois, c'est en diminuant celle liée à la famille, bien plus qu'en accroissant celle qui touche au travail, comme le montre le comité interministériel de contrôle de l'immigration dans son rapport annuel (3). Si la part relative du travail dans l'immigration durable venue des pays tiers s'est effectivement accrue en 2007 par rapport à 2006, c'est surtout «grâce» à la baisse des cartes de séjour pour motif familial (4). Malgré l'affichage de cent quatre-vingts «métiers en tension» ouverts à la main-d'oeuvre étrangère en raison de «difficultés de recrutement», la réalité des chiffres se révèle bien éloignée des discours officiels : seulement cent soixante cartes «compétences et talents» délivrées lors des trois premiers trimestres de 2008 !

Le renoncement à l'immigration «choi sie» n'est donc pas un effet de la crise. L( conjoncture permet plutôt de justifier posteriori ce que les chiffres trahissaien déjà. II faut l'avoir en tête lorsqu'on lit h lettre de mission adressée le 31 mars 200(. au successeur de M. Hortefeux, M. Eric Besson. Désormais, «la priorité absolu( doit aller au retour à l'emploi des per sonnes qui en sont privées en France». 1 est révélateur qu'après la diffusion de cett(lettre à la presse, la fin de la dernière phrase – «donc, en ce qui concerne votre champ de compétence, l'emploi des étrangers en situation régulière» – ait disparu discrètement du document officiel (5). Peut-on affirmer plus clairement le choix de la «préférence nationale»?

Choisie ou pas, l'immigration est encore et toujours présentée comme un problème. Sinon, pourquoi sans cesse adopter de nouvelles législations, toujours plus strictes – après les lois Sarkozy de 2003 et 2006, la loi Hortefeux de 2007, en attendant sans doute une loi Besson? Manifestement, la rhétorique de M. Sarkozy ne vise pas à résoudre un problème, mais à le constituer en tant que tel.

Comparer ses propos du 9 juin 2005 avec le discours de politique générale prononcé la veille, à l'Assemblée nationale, par son rival, M. Dominique de Villepin, alors nouveau premier ministre, est éclairant. Si M. de Villepin parle bien d'immigration «choisie» (mais non «subie»), c'est seulement pour l'opposer aux pratiques illégales et à la fraude; moins inventif (ou moins décomplexé) que son rival, il ne conçoit pas de s'en prendre à l'immigration familiale. Or M. Sarkozy réalise grâce à son vocabulaire un double déplacement. Jusqu'alors l'immigration «subie» était reconnue «de droit». C'est à celle-là qu'il faut s'en prendre désormais ; il ne suffit donc plus de lutter contre l'immigration illégale.

Sans doute les expulsions d'immigrés en situation irrégulière occupent-elles une place de choix dans la communication gouvernementale. Il n'empêche : les sans-papiers ne sont pas assez nombreux en France pour faire de l'immigration un problème majeur. Par contraste avec les Etats-Unis, où les douze millions de clandestins étaient absents de la dernière campagne présidentielle, organiser le débat public en France autour de quelques centaines demilliers de personnes en situation irrégulière, pour une population de plus de soixante millions d'habitants, demande un travail politique considérable. Le «problème de l'immigration» ne se pose pas tout seul; il n'existe que pour autant qu'il est posé, et il ne dure que parce qu'il est entretenu et renouvelé.

«D'un côté, explique M. Sarkozy en 2005, le respect de la vie familiale est une de nos valeurs et constitue une condition de l'intégration. D'un autre côté, le regroupement familial tient aujourd'hui une place trop importante dans l'équilibre des flux migratoires et est à l'origine de nombreuses fraudes (mariages blancs ou forcés, fraudes à l'état civil...).» La présomption de fraude résulterait-elle de la volonté politique de «rééquilibrer»? Et d'en tirer les conséquences : «Il faut avoir le courage de poser autrement les termes du débat. Le regroupement familial est certes un droit, mais pas un droit qui peut s'exercer dans le mépris absolu des règles. » Autrement dit, je sais bien, mais, quand même...
Suspicion de fraude a priori
Du combat contre la fraude, on passe très vite à la redéfinition du droit lui-même : «Il faut donc étre plus rigoureux sur l'appréciation des conditions de revenu, de logement, d'intégration préalables au regroupement. » La vie familiale n'apparaît plus comme une «condition de l'intégration»; à l'inverse, l'intégration fait maintenant partie des «préalables au regroupement» familial.

Rappelle-t-on que le droit à la vie familiale a valeur constitutionnelle en France, et que la Convention européenne des droits de l'homme, dans son article 8, garantit à chacun le droit «au respect de sa vie privée et familiale»? Le rapport de la commission Mazeaud sur le cadre constitutionnel de la nouvelle politique d'immigration tempère en juillet 2008 : «Si le respect de la vie privée et. familiale est un droit, la réunion des conditions auxquelles est subordonné son exercice peut faire l'objet d'un contrôle plus poussé [sous des formes] validées par le Conseil constitutionnel ou la Cour de justice de l'Union européenne. »

Et de détailler tout un programme de lutte contre l'immigration «subie» : «Pour le rapprochement des époux, par la vérification plus rigoureuse de la réalité du mariage, de la continuité de la vie commune; par l'appréciation attentive des conditions de revenu et de logement pour l'accueil des enfants; par la vérification plus exigeante de la réalité des relations parentales et éducatives avant d'accorder à un étranger le bénéfice de la prise en compte d'enfants résidents ou français; par la prise en considération plus circonspecte des documents d'état civil; par le refus intransigeant et effectif des regroupements de familles polygames; par la vérification effective du caractère "disproportionné " de l'atteinte au respect de la vie privée et familiale à laquelle le Ceseda [code de l'entrée et du séjour des étrangers et du droit d'asile] subordonne le regroupement familial sur place. » Une commission, pourtant réputée pour avoir résisté à l'injonction présidentielle en matière de quotas, valide ainsi le traitement de l'immigration familiale comme un problème qu'il convient de réduire.

Les lois sur l'immigration de 2006 et 2007, ainsi que la loi sur le contrôle de la validité des mariages en 2006, ont durci la double logique de restriction du droit à la vie familiale à l'oeuvre au moins depuis 2003 – suspicion de fraude a priori et conditions préalables toujours plus rigoureuses. En conséquence, le recul des chiffres, du regroupement familial aux mariages binationaux, est édifiant : entre 2006 et 2007, le nombre de titres de séjour délivrés dans ce cadre baisse de 10,6 %. La chute est «d'une telle ampleur qu'elle peut étre regardée comme marquant une véritable rupture», note avec satisfaction le bilan interministériel déjà cité.

Pourquoi relancer le «problème de l'immigration», grâce à l'invention de 1'« immigration subie», et pourquoi en juin 2005? Le nouveau gouvernement est nommé au lendemain du rejet du traité constitutionnel européen par référendum. Soucieux d'interpréter en sa faveur «le sens du vote qu'ont exprimé les Français le 29 mai», le président de l'UMP estime offrir ainsi une double réponse aux «nonistes ». En signifiant, d'une part, que l'Autre menaçant, culturellement et économiquement, s'incarne moins dans la figure du «plombier polonais» que dans celle de l'immigré, le plus souvent venu d'Afrique; en revendiquant, d'autre part, une politique volontariste au moment où tant d'électeurs refusent d'être privés de toute prise sur le cours des choses – d'où le contraste que résume l'opposition entre les mots «choisie» et «subie».

En réponse au «souverainisme anti-européen », M. Sarkozy dessine donc un souverainisme européen». Contrairement à une politique d'immigration qui éloignerait Paris de l'Europe, ce schéma lui permet d'y revendiquer un rôle moteur : «Je veux que la France soit désormais systématiquement la première en Europe pour proposer et bàtir une stratégie migratoire adaptée aux enjeux du monde contemporain.» Le pacte européen sur l'immigration et l'asile, adopté par le Conseil européen le 16 octobre 2008, sous la présidence française, parachèvera une dynamique enclenchée de longue date : non seule-ment le «problème de l'immigration» est abordé au niveau de l'Union, mais il constitue désormais le coeur de l'identité européenne.

Ce succès diplomatique tient sans doute à l'efficacité électorale d'une stratégie qui constitue l'immigration en problème pour mieux ignorer d'autres ((problèmes», ou, plus précisément, d'autres manières de donner sens au mécontentement qui s'est exprimé dans les urnes, et éviter de lui apporter d'autres réponses.
(1) Le Monde, 13 juillet 2005.
(2) Cf. Cette France-là. 06.05.2007 / 30.06.2008, La Découverte, Paris, 2009, en particulier p. 389-394.
(3) Secrétariat général du comité interministériel de contrôle de l'immigration, Les Orientations de la poli-tique de l'immigration. Cinquième rapport — dècembre 2008, La Documentation française, Paris, 2009.
(4) En 2006, pour ce qui concerne l'immigration légale venue des pays tiers, les travailleurs ne représentent que 10 713 titres d'entrée pour un séjour de longue durée, soit à peu près autant que les réfugiés et demandeurs d'asile (10 205). En revanche, l'immigration familiale s'élève à 95 973. La baisse de celle-ci de plus de 10 000 entre 2006 et 2007 explique presque entièrement la baisse du total (de 183 261 à 171 222). Ces chiffres sont tirés de l'ouvrage Les Orientations de la politique de l'immigration, op. cit.
(5) On peut le vérifier sur le site de l'Office français de l'immigration et de l'intégration, qui n'a pris en compte la coupure que dans la version téléchargeable, en gardant la version originale sur la page où la lettre est copiée


Mercoledì 02 Dicembre,2009 Ore: 15:27