Un inverno

di Lidia Menapace

6 febbraio 2012
Non ricordo l'inverno 1985, ero molto spesso a Roma e certamente per me ("una foca bolzanina" come mi definivo) si dovette trattare di un freddo del tutto sopportabile. 
Invece ricordo bene l'inverno del 1944/45, un inverno freddissimo, quando il generale Alexander, che per incarico degli Alleati dirigeva i rapporti con la Resistenza italiana, accortosi con  britannica flemma che non  eravamo né monarchici, né  di destra, pensò bene di congedarci e ci ordinò di tornare alle nostre case: naturalmente non eseguimmo, dato che sarebbe stato come farci fucilare  tutti e tutte. Ma portammo ugualmente terribili  conseguenze di quello sciagurato ordine: per tutto l'inverno  gli Alleati non ci buttarono con i lanci aerei, non dico armi, ne avevano sempre buttate poche, ma nermmeno munizioni, coperte, scatolette, medicinali, niente, nemmeno un'aspirina, il che aggravò notevolmente le condizioni di chi stava in montagna.
Una notte -credo di gennaio del 1945-  dovevo inoltrare ad Arona della stampa clandestina (Il Ribelle  o la Stella Alpina) e informazioni a una ragazza che faceva la staffetta e avrebbe preso e portato a destinazione il plico:era la sorella di don Federico parroco a Lesa. Venivo da Novara e avevo la seguente copertura: ero una studente universitaria milanese sfollata,  (tesserino e libri) che preparavo l'esame di latino (Tuscolanae e Seneca appresso), mi ero addormentata in treno e dovevo scendere alla prima fermata e non potevo far passare più di 20 minuti prima di stare in una casa (questa era la legge del coprifuoco): mi avviai dunque di buon passo verso la canonica con la speranza (avrei dovuto dire a una eventuale ronda incontrata)  che il parroco mi potesse avviare a qualche famiglia o darmi ospitalità per la notte in canonica. Cammino spedita verso una salita breve ma ripida alla volta della casa di don Federico: c'è un bello strato di neve gelata, una luna che fa come giorno, la neve scintilla; ma appena mi affaccio alla salita vedo le canne di due fucili, che spuntano  in cima, là dove devo svoltare per raggiungere la meta. Chi saranno? partigiani? fascisti? tedeschi? MI viene addosso una paura boia e cammino sempre più lentamente e facendo il maggior rumore possibile, ricordo ancora ll cra cra della crosta di neve che si sgretola sotto gli scarponi e la paura che cresce, finchè non mi accorgo che i "fucili" sono le stanghe di un carretto,  tiro un gran sospiro di sollievo. Ero sudata -con quel freddo-  dalla paura. Quando la racconto non  vogliono credere: ma come si fa a confondere le  stanghe di un carretto con due fucili? non è possibile, dicono. Con la paura sì: giuro.


Marted́ 07 Febbraio,2012 Ore: 16:34