Editoriale
Uscire dal paganesimo

di Giovanni Sarubbi

C’erano una volta la DC ed il PCI. Sono morti entrambi agli inizi degli anni ‘90 del secolo scorso, la prima nel 1994, il secondo nel 1991. Li hanno talmente demonizzati che sembrano non essere mai esistiti con i loro pregi e i loro difetti. La DC era il partito interclassista, il PCI era il partito della classe operaia. La DC si autodefiniva come «il partito che realizza, sul piano politico, l’unità dei cattolici impegnati a dare al paese un regime di democrazia integrale, nella solidarietà delle classi(solidarismo) e nel perseguimento di un ordine sociale che consenta la totale espansione della persona umana da un minimo di proprietà resa libera di opporsi ad ogni violenza pubblica o privata»[1]. Il PCI, secondo lo statuto del 1979, in piena era Berlinguer, era il partito che «organizza gli operai, gli intellettuali, i cittadini che lottano, nello spirito della Resistenza, per l’estensione e il rafforzamento delle libertà sancite dalla Costituzione repubblicana e antifascista, per trasformare l’Italia in una società socialista fondata sulla democrazia politica, per affermare gli ideali della pace e del socialismo in Europa e nel mondo»[2].
DC e PCI si sono contrapposti frontalmente dal 1948 al 1976. Nel 1973 Enrico Berlinguer, divenuto segretario generale del PCI l’anno prima, propose il compromesso storico con la DC. Negli anni 1975-1976 ci furono le elezioni, prima quelle amministrative e poi quelle politiche che segnarono una grande avanzata del PCI e l’avvio della cosiddetta “solidarietà nazionale”. Nel 1976 per la prima volta il PCI si astenne su un governo monocolore democristiano guidato da Giulio Andreotti. Nel 1978 ci fu il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro leader della DC.
Quello fu un punto di svolta della politica in Italia. Il “compromesso storico” fu sepolto insieme alle spoglie di Aldo Moro.
È in quel momento che in realtà muore la DC. Il PCI, quello fondato a Livorno nel 1921, che aveva lottato contro il fascismo e guidato la Resistenza, era in realtà finito nel 1964 con la morte di Togliatti e il successivo passaggio generazionale, qualche anno dopo, con la segreteria di Enrico Berlinguer. Lo scioglimento del PCI avvenuto poi nel 1991 dopo la caduta del muro di Berlino del 1989, fu semplicemente l’atto notarile che formalizzo una realtà già operante da tempo. La caduta del muro funzionò come la classica goccia che fece traboccare il vaso. La generazione post-berlingueriana era non solo molto lontana dallo spirito originario del 1921 ma era stata anche incapace di promuove in Italia una politica comunista che si radicasse saldamente nella società italiana. Il “compromesso storico” era fallito ed il gruppo dirigente del PCI con lo scioglimento non fece altro che capitolare di fronte a quella classe padronale che dal 1979, con la FIAT, aveva rialzato la testa e si era ripresa tutto ciò che aveva dovuto cedere nel periodo 1968-1978, contratti, scala mobile, tfr, diritti sindacali.
Ma dopo la morte di Aldo Moro cambiò anche la DC. Prevalse l’ala andreottiana. Alle successive elezioni del 1979 il PCI perde il 4% dei voti. Dopo alcuni governi guidati da Cossiga, dal 1981 la DC diede vita a governi di coalizione denominati di “pentapartito”, che durarono fino al 1993, formati dall'intesa tra i partiti del vecchio centro-sinistra degli anni ‘60 con l'aggiunta del PLI (DC-PSI-PSDI-PRI-PLI). Pentapartito che finì annegato nella corruzione con l’inchiesta mani-pulite mostrando il vero volto di quella classe padronale corrotta, corruttrice e parassitaria che ha da sempre praticato il principio del “privatizzare i profitti” da un lato e dall’altro “scaricare le perdite sullo stato”. Stato come mucca da mungere, come era stato durante il fascismo, e su cui scaricare disoccupati, inquinamento, disastri ambientali e sociali. Da questo marciume l’Italia esce ancora una volta a destra, con l’entrata in scena del berlusconismo che è ancora oggi un fritto misto costruito con personaggi della destra neofascista e del disciolto PSI, partito affondato insieme al suo segretario CRAXI durante la stagione di mani-pulite.
Lungi da me l’idea che io possa in poche righe tentare un bilancio storico critico di tutta la storia italiana e di quella della DC e del PCI o di ciò che è avvenuto nel nostro paese dal 1993 ad oggi.
Ho fatto questo flash-back per ricordare da dove siamo partiti guardando a ciò che sta succedendo in queste ultime settimane nella politica italiana, sia nel PD, sia nella destra berlusconiana fascio-leghista, sia nel Movimento cinque stelle.
Dal 1993 è come se fossero scoppiate due pentole sotto pressione, quelle dell’ex DC e dell’ex PCI. Ma, vedendo ciò che da queste pentole è venuto fuori fino ad oggi, bisognerebbe parlare più propriamente di due fogne principali (DC e PCI) e di alcune secondarie (PSI-PSDI-PRI-PLI-MSI), tanti sono i liquami che sono stati diffusi nella società e che si sono trasformati in una miriade di sigle partitiche il cui brodo di coltura comune è da un lato la corruzione e dall’altro la ricerca del potere assoluto, del dittatore che racchiuda in se tutti i poteri. Idea questa che sempre viene fuori nei momenti di crisi economica che sono sempre anche cristi politiche, con partiti incapaci di esistere senza i soldi della classe padronale che i soldi li possiede. Crisi che, da quando vige nel mondo il sistema capitalistico, sono crisi mondiali e che si sono già trasformate in due guerre mondiali nel secolo scorso e nella terza guerra mondiale a pezzi odierna.
E in questa crisi e nel disfacimento di quelli che bisogna chiamare “gruppi di potere” e non partiti politici, perché sono lontanissimi dallo spirito della Costituzione (art. 49), ci sono in tutti i gruppi gli stessi miti e le stesse sindromi su cui credo occorre ragionare e su cui si potrebbero esercitare molti psichiatri.
Miti e sindromi che si chiamano ad esempio “unità della sinistra” o “unità della destra”, o quello della “ricostruzione di partiti unici”, a destra a sinistra o in altri luoghi. E poi c’è la sindrome della “vittoria”, o di considerare i partiti come organizzazioni militari impregnate di spirito maggioritario, con tutti uniti dietro ad un solo uomo al comando. Non c’è aspetto dei miti o delle sindromi psichiatriche operanti nella politica italiana che non sia anche una offesa o uno stravolgimento della nostra Costituzione.
Miti e sindromi che hanno fatto scomparire le classi sociali dalla scena politica, facendoci credere che siamo tutti nella stessa barca, poveri e ricchi, con i poveri che sostengono i ricchi perché gli hanno fatto credere che anch’essi possono diventare tali.
Il termine più usato in queste settimane è sicuramente quello di “unità”. L’unità viene invocata, sospirata, acclamata ma poi mentre si fonda un nuovo partito da quel partito se ne separa un altro, come è accaduto in queste settimane a sinistra. Niente di nuovo, per chi conosce la storia e per chi sa che l’unità si può fare, in politica e nella società, solo su precisi interessi economici. Chi pensa oggi di aggregare partiti su formule politiche, centro-destra o centro-sinistra che dir si voglia, e non su precisi interessi economici o è in mala fede o non ha capito nulla della crisi economica che oggi si vive in Italia. Un governo ed un partito che dia, come ha fatto il PD ed il suo governo, tutti i fondi disponibili alle industrie di armamenti non potrà mai essere appoggiato da chi si vede negare il lavoro, le pensioni, la sanità, la scuola, i trasporti.
La cancellazione delle classi ed il dare tutto il potere ad una sola classe, quella dei padroni, ha prodotto un'Italia dove ci sono il 30% di poveri con i ricchi che sono 400volte più ricchi di appena 20 anni fa. Da questo dato occorre ripartire. Ed è questo il dato che ha spaccato il PD, fondato e costruito su un principio maggioritario e sulla riproposizione della fallimentare esperienza del "compromesso storico" berlingueriano. Le contraddizioni di classe sono inconciliabili o, come si dice dalle mie parti, "il sazio non crede a chi è digiuno".
Viviamo dunque in una società che, per dirla con don Primo Mazzolari, è impregnata di paganesimo, con il “dio denaro” che pretende un culto assoluto e che uccide ogni giorno decina di migliaia di poveri in tutto il mondo. E don Primo dava del paganesimo questa definizione: «Il paganesimo è un sistema di vita associata, ove tutte le forze convergono verso l’esaltazione oppressiva dell’individuo, il quale accetta l’oppressione, non perché la riconosca cosa buona, ma perché spera di essere tra i primi, vale a dire tra i pochi che convogliano l’oppressione altrui a proprio vantaggio». Paganesimo, idolatria, ingordigia, sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Queste le radici del male e delle oppressioni diffuse in Italia e nel mondo.
Oppressioni che producono fenomeni come quelli dei due operai della LIDL che rinchiudono in una gabbia due donne rom e poi le offendono, ridendo di loro a più non posso, e poi mettono il filmato su Facebook che poi viene ripreso dal segretario del partito fascio-leghista, con alcune decine di migliaia di persone che lo diffondono e cliccano ”mi piace”.
Ecco, bisogna uscire dal paganesimo, uscire dall’oppressione e occorre farlo per davvero ed è un compito collettivo, da fare tutti insieme, democraticamente senza uomini soli al comando, recuperando i grandi ideali, il socialismo, la pace, la fine di ogni guerra, la salvaguardia dell'ambiente. E occorre riflettere sulla nostra storia per capire il punto in cui siamo e da dove occorre ripartire.
Giovanni Sarubbi
NOTE
1IL NUOVISSIMO CENTONE, DIZIONARIO DELL’ELETTORE DEMOCRATICO, D.C. SPES 1963, voce Democrazia Cristiana pag. 73
2Statuto del Partito Comunista Italiano approvato al 15° Congresso del PCI Roma 30 marzo 3 aprile 1979 pag. 5



Domenica 05 Marzo,2017 Ore: 17:35