Editoriale
Una eredità da rifiutare

di Giovanni Sarubbi

Fare i conti con l'eredità costantiniana, e farlo proprio in occasione del 17 centenario dell'editto che nel 313 d.c. trasformò il cristianesimo in religione dell'impero romano (per il testo dell'editto vedi qui), sta diventando una esigenza sempre più diffusa fra quanti vogliono potersi dire oggi seguaci di Gesù di Nazareth che, è oramai chiarissimo anche ai ciechi, non aveva in mente in alcun modo ciò che hanno fatto Costantino e i papi che ne hanno ereditato il potere temporale o i vari “cristianesimi” in lotta tra loro che da allora sono nati.

Sul nostro sito abbiamo pubblicato importanti contributi su tale aspetto quali quelli di Raffaello Saffioti (vedi qui). Interessante anche la riflessione di Robert Hotte (Ciò che credo...) che presenta il libro di Joan Chittister, una benedettina, che formula una versione diversa del credo niceno-costantinopolitano che è oggi difficile da comprendere «perchè elaborata in un contesto culturale» totalmente diverso dal nostro. Questo credo fu stabilito al Concilio di Nicea del 325 DC e ulteriormente precisato nel Concilio di Costantinopoli nel 381 DC. Un credo reso obbligatorio dall'imperatore con conseguenze pesantissime per chi non lo accettava. Il primo concilio di Nicea del 3251, nel suo quinto canone, aveva stabilito che: «Quanto agli scomunicati, sia ecclesiastici che laici, la sentenza dei vescovi di ciascuna provincia abbia forza di legge e sia rispettata la norma secondo la quale chi è stato cacciato da alcuni non sia accolto da altri». Questa è la norma dalla quale si è partiti per giungere poi alle uccisioni di chi semplicemente proponeva pensieri diversi o aveva una pratica diversa da quella ritenuta “ortodossa”. Uccisioni e scomuniche praticate, anche se in modo diverso fra loro, da tutti i cristianesimi che si sono sviluppati dopo il 325dc.

Il credo niceno-costantinopolitano è, dal mio punto di vista, il frutto più avvelenato del cristianesimo costantiniano. Questo credo è ancora oggi il punto di riferimento di quasi tutte le chiese cristiane del mondo ed è la base dei dialoghi ecumenici.

Il credo niceno-costantinopolitano è, infatti, il testo di riferimento dei dialoghi ecumenici persino nei dialoghi fra alcune chiese pentecostali e alcune chiese protestanti storiche (come la chiesa Valdese). L'unità dei cristiani la si vorrebbe ricostruire partendo dal credo stabilito al Concilio di Nicea convocato e presieduto dall'imperatore Costantino, che non era in quel momento neppure formalmente cristiano. E' del tutto evidente che in tale impostazione c'è la spiegazione del perchè i dialoghi ecumenici non fanno passi avanti e sono oggi sostanzialmente fermi. Dal Concilio di Nicea in poi le chiese cristiane hanno negato il Vangelo. La nuova religione avviata da Costantino a Nicea legava i cristiani all'imperatore che, come in tutte le religioni precedenti, divenne “imperatore per volontà di Dio”. Niente di nuovo sotto il sole. Idee vecchie che gli stessi ebrei avevano sperimentato con i vari “Re” unti dai profeti di Dio.

Il credo di Joan Chittister, pur mettendo in evidenza una critica ed un disagio rispetto al credo niceno-costantinopolitano, non si discosta assolutamente dal suo impianto che rimane spostato sul piano della metafisica, dimenticando il “Dio padre”, o come preferisco chiamarlo io, il “Dio umanità” di Gesù. Nei Vangeli non c'è un solo racconto nel quale Gesù chiede a chicchessia di fare una professione di fede come quella proposta dal credo niceno-costantinopolitano o dalle varianti come quelle di Joan Chittister che è essa stessa piena di contraddizioni. Al secondo punto del suo credo afferma di Credere «alle molteplici rivelazioni di questo Dio che è vivo in ogni cuore umano, che si esprime in tutte le culture, e si ritrova in tutte le sapienze del mondo», ma poi riafferma successivamente la fede assoluta in un Gesù trasformato in “Cristo”, in “unto di Dio”, in unica e sola manifestazione di Dio nel mondo.

Confrontarsi con l'eredità di Costantino non è dunque un fatto di “aggiornamento culturale” del credo da lui definito. Bisogna metterne in discussione l'impianto filosofico-teologico ripartendo dai Vangeli. E allora l'unico credo possibile è quello delle beatitudini, ad esse dobbiamo fare riferimento se vogliamo definirci seguaci di Gesù di Nazareth. E le beatitudini sono la richiesta ad ognuno di impegnarsi per l'umanità. Tutto il resto non conta nulla.

Ci auguriamo che possano essere molti i lettori che su tale tema vogliano esprimere la loro opinione.

Giovanni Sarubbi

NOTE

[1] Per il testo delle decisioni di quel concilio vedi il sito http://www.clerus.org/clerus/dati/2000-06/13-2/PrimoNicea.html




Domenica 27 Gennaio,2013 Ore: 12:07