Editoriale
L’economia di Francesco e la costruzione della pace

di Rocco Altieri

L
’evento che si è svolto on-line dal 19 al 21 novembre 2020 col titolo suggestivo di “Economia di Francesco” ha coinvolto studiosi, accademici e oltre 2000 giovani economisti e imprenditori di tutto il mondo. Esso doveva tenersi in presenza ad Assisi nel marzo scorso, ma la pandemia mondiale ne ha modificato l’organizzazione. Fortemente voluto da Papa Francesco, si propone come un inizio di un processo di ricerca e sperimentazione di nuovi modelli economici, alternativi a quelli che generano inquinamento, violenza e morte. Vuol trasformare in termini concreti, culturali, economici e politici, quei principi declamati nelle encicliche “Laudato Sì” e “Fratelli Tutti”.
La preparazione del primo incontro di questi giorni ha avuto in realtà una lunga gestazione di quasi due anni. Quando esso è stato annunciato, come Centro Gandhi abbiamo subito preso contatti col suo direttore scientifico, il prof. Luigino Bruni, economista accademico, leader del progetto “Economia di comunione”, promosso dal movimento cattolico dei focolarini di Chiara Lubich. Ci siamo così recati a Benevento per incontrarlo di persona, avendo saputo che era relatore a un convegno sul futuro dei piccoli comuni, svoltosi nel giugno 2019 presso la locale Università della Pace. Ci siamo proposti in un intervento pubblico di portare il nostro punto di vista, lasciandogli in dono anche alcuni libri editi dal Centro Gandhi sul tema dell’economia nonviolenta.
In quell’occasione abbiamo avuto conferma di come sia difficile trovare ascolto e considerazione in chi vive solo della sua supponenza, circondato da un’aurea di sapienza accademica e dalla fama di guru spirituale.
Ignorati nella fase organizzativa, non invitati a prendere la parola come avevamo chiesto, abbiamo comunque seguito umilmente le varie fasi dell’iniziativa svoltasi nella tre giorni di Assisi, avendo conferma di quanto il direttore del Dialogo Giovanni Sarubbi aveva già intuito e denunciato nel suo primo editoriale di qualche giorno fa dedicato all’Economia di Francesco.
Il richiamo ad Assisi è sempre suggestivo, ma ancora una volta quanto è distante lo spirito della povertà francescana. L’accorta regia degli economisti prodiani di Bologna, guidati dall’emerito prof. Stefano Zamagni, teorici del capitalismo ben temperato e delle privatizzazioni dei beni comuni, che tanto hanno fatto male all’Italia in questi anni, ha messo in scena un evento a due livelli.
Quello centrale sotto i riflettori di Frate Fortunato dal Sacro convento, trasmesso nelle varie lingue, compresa la traduzione italiana, con esperti e giovani yuppie che vogliono conciliare innovazione, impresa, profitti e pace, ha richiamato, come mi ha suggerito il buon professore calabrese Antonio Gimigliano, l’atmosfera della celebre “Leopolda” (i convegni promossi da Matteo Renzi a Firenze). Non è forse un caso che il 4 ottobre 2020 sono stati approvati simbolo, nome e programma del nuovo partito “Insieme" per iniziativa del professor Stefano Zamagni, l’economista cattolico che è stato la grande star di Assisi. Nei vari interventi che si sono succeduti per ore non abbiamo ascoltato una sola parola critica del modello economico dominante, non un solo cenno all’industria bellica e alla guerra.
A un livello secondario, messi in sordina, trasmessi sul canale zoom, sono stati relegati, non tradotti in italiano, gli interventi critici come quello del teologo francescano Leonardo Boff dal Brasile e di Vandana Shiva dall’India. Il bellissimo intervento finale di Papa Francesco ci è parso in perfetta sintonia con i discorsi sviluppati dai due grandi pensatori critici del Sud del mondo, non certo con la “fuffa” mielosa degli accademici italiani.
Leonardo Boff e Vandana Shiva hanno denunciato ancora una volta la falsa scientificità dell’economia accademica che separa l’economia dall’ecologia, che in realtà nella comune radice etimologica (dal greco oikos: casa) richiamano un’unica verità, la scienza della necessaria normazione della nostra casa comune.
È stata l’economia moderna a determinare una frattura e una distorsione tra i due ambiti, considerando la natura solo come risorsa da sfruttare e ponendo come suo orizzonte la riproduzione del capitale, la mercificazione e lo scambio basato sul denaro, nella prospettiva della massimizzazione del profitto, dell’accumulazione del capitale e della crescita illimitata dei consumi. Si è così sviluppata non una scienza, ma una “metafisica”, costruita su complesse equazioni matematiche, costruite con rilevatori numerico-monetari. Ma una tale disciplina era stata chiamata da Aristotele non economia, ma crematistica (Aristotele, Politica, 1, 1256b 26-1257b 24), focalizzata cioè sullo studio di come arricchirsi, prescindendo dal bene comune e dai limiti imposti dal mondo fisico reale.
Nel secolo scorso “un economista indiano dai piedi scalzi”, Joseph Cornelius Kumarappa (1892-1960), uno dei più importanti collaboratori di Gandhi nella lotta per l’indipendenza dell’India, ci ha aiutato a ripristinare una visione corretta, olistica dell’economia, collegandola all’ecologia, elaborando il pensiero di una Economy of Permanence, idea che Kumarappa concepì nel 1945, mentre era in prigione a Jabalpur, nella fase finale della lotta di affrancamento dal dominio coloniale inglese.
Ogni regola umana che non segua il soffio e la vitalità della natura, che non rispetti l'equilibrio ecologico, secondo Kumarappa, diverrà col tempo produttrice di violenza e di guerra. Il capitale, la mercificazione e lo scambio basato sul denaro hanno spinto gli uomini a dimenticare le condizioni fondamentali che rendono possibile l’esistenza sulla terra.
Per Kumarappa l'economia va ripensata in maniera opposta a quella moderna. Proponendo l’idea di un’economia della permanenza, la riproducibilità da tenere in considerazione non è più quella del capitale, ma quella dei cicli biologici e naturali, la fertilità dei suoli, la salubrità dell’acqua e dell’aria, sottratte finalmente all’inquinamento e allo sfruttamento industriale. In questo senso l'economia rispettosa della natura diventa “permanente”, mentre quella parassitaria, praticata dall’economia moderna, è transeunte, senza futuro, perché distrugge le basi stesse della sua riproducibilità biologica. Perciò, afferma Kumarappa, nei rapporti con la natura bisogna passare dal comportamento parassitario, dove chi vive a spese di un altro organismo ne può determinare la morte, a un comportamento simbiotico con tutti gli esseri viventi sulla terra. Questa esigenza era stata già posta con evidenza nel secolo scorso dal biologo e sociologo scozzese, Patrick Geddes e dall’anarchico russo Pëtr Kropotkin nel Mutuo appoggio. In Italia in anni recenti è stata ripresa da Danilo Dolci nel suo progetto di piena occupazione per liberare la Sicilia occidentale dalla “zecca della mafia”.
Il depauperamento dell’ambiente e delle risorse naturali dà impulso, inoltre, alle attività predatorie, al cannibalismo tra gli esseri viventi, il mors tua vita mea, alla guerra per il controllo delle fonti energetiche, il petrolio innanzitutto. Dopo due guerre mondiali e la corsa agli armamenti nucleari, le tensioni del mondo deflagrano oggi in nuove guerre, sempre più terribili. È indispensabile e urgente promuovere il passaggio da un’economia parassitaria e predatoria a un’economia della permanenza, al sevizio del benessere di tutti, nessuno escluso, che Gandhi chiama Sarvodaya. L'economia di servizio è la più elevata forma di economia in natura. È quella che si instaura tra la madre e i cuccioli. La madre rischia la vita per proteggerli, dimostrando una cura per la sopravvivenza della specie futura, che va al di là del suo stesso interesse vitale. Kumarappa la paragonò all’economia della mucca, poiché in India i villaggi si servono del concime organico e del traino animale come garanzia del benessere di tutti.
Al contrario, il richiamo ossessivo che si è fatto nel convegno di Assisi agli obiettivi dello “sviluppo sostenibile” appare ambiguo e retorico, è un evidente ossimoro che fantastica mirabolanti rimedi tecnologi e manageriali per mantenere in realtà in piedi l’economia parassitaria e predatoria del capitalismo dominante. Rilanciato in continuazione dai giovani selezionati dagli organizzatori è lo slogan di voler conciliare profitti e costruzione della pace, “capra e cavoli” come ha giustamente scritto Giovanni Sarubbi. Nessuno dei teorici presenti dello “sviluppo sostenibile” ha criticato l’industria bellica e la guerra, che sono tra i più terribili fattori di violenza, inquinamento, alterazione della biosfera.
Il concetto di economia della permanenza sarebbe il più pertinente alla visione francescana. Essa è un’idea non solo economica, ma insieme religiosa e scientifica, politica ed educativa, che fa degli uomini i protettori della terra e offre un orientamento sicuro per i giovani che vogliano garantire ancora a lungo la vita sul pianeta terra, senza più violenze e senza più guerre.
Attraverso il Dialogo di Monteforte Irpino lanciamo il nostro messaggio in bottiglia sperando di arrivare a Papa Francesco, superando i marosi del cerchio magico che lo circonda.



Domenica 22 Novembre,2020 Ore: 06:08