Editoriale
LA VERITA’ UCCIDE

di Daniela Zini

CONOSCERE E' RICORDARE: ANNA STEPANOVNA POLITKOVSKAJA (New York, 30 agosto 1958 - Mosca, 7 ottobre 2006)


Anna Politkovskaja
30 agosto 2010 - 7 ottobre 2010

Il 7 ottobre 2006, Anna Politkovskaja è ridotta al silenzio.
Il 7 ottobre 2006, Anna Politkovskaja è ridotta al silenzio, per sempre.
Il 7 ottobre 2006, Anna Politkovskaja è ridotta al silenzio, per sempre, per aver parlato.
La verità uccide.
Perché le parole sono armi, si sa, e possono uccidere o, piuttosto, condannare a morte.
Ne è la conferma quel 7 ottobre 2006.
Anna Politkovskaja tornava dal fare la spesa.
All’uscita dall’ascensore, l’attendeva il suo assassino.
Viva.
Morta.
Quel giorno Vladimir Putin festeggiava il suo cinquantaquattresimo compleanno.
Nel computer, Anna Politkovskaja aveva pronto un altro articolo contro l’uomo che, oggi, è presidente della Cecenia, Ramzan Kadyrov. Da sette anni, la giornalista russa scriveva della piccola repubblica come di un buco nero della coscienza, dove massacri, stupri e torture erano la norma per soldati e miliziani.
“Un posto dove alcuni possono fare quel che vogliono e gli altri devono accettarlo. La Russia continua a permettere che esista un angolo del Paese dove i diritti civili non esistono. È una scelta molto rischiosa.”
Anna Politkovskaja, Un piccolo angolo d’inferno.
A quattro anni dalla sua morte, la Cecenia è ancora quel posto?
Oggi, di Grozny, la sudicia, non vi è più traccia.
Le piaghe vive sono state ricoperte di gesso, di intonaco, di vernice.
Imprese turche e coreane hanno costruito grattacieli, di cui il trentatreenne presidente, a nome della Fondazione Akhmad Kadyrov, elargisce appartamenti.
I ristoranti di lusso servono su tovaglie immacolate i loro piatti nazionali.
I marciapiedi sono puliti e il monumento ai kadyroviani, “caduti nella lotta al terrorismo”, è lucidato tutti i giorni.
La facciata è lustra.
Per Grozny circolano auto senza targa, dai vetri oscurati, con uomini a bordo armati e dai volti, coperti da una maschera. Sono le squadre speciali antiterrorismo, i padroni della vita di chiunque. Rapiscono chi vogliono nella più assoluta impunità. I giudici rifiutano di avviare le indagini e i poliziotti non accettano le denunce e diffidano i renitenti.
Da circa quattro anni, si accede a Grozny dal suo aeroporto, appena salito al rango di scalo internazionale. L’obiettivo è di avere da Mosca il diritto alla dogana, perché possano partire e arrivare merci di ogni genere con il solo controllo dei kadyroviani.
Secondo l’analista militare della Novaya Gazeta, Pavel Felgenhauer:
“Ramzan Kadyrov è per il Cremlino quel che un re goto era per l’impero romano: un aiuto oggi, ma un pericolo domani. Kadyrov ha denaro e potere autonomi. Il suo esercito è costituito da 20-30.000 uomini, tre o quattro volte più numerosi dei guerriglieri che hanno cacciato Mosca, nel 1996, da Grozny. È gente spietata, decisa a tutto. Sanno che se perdessero il potere verrebbero uccisi dalle vendette cecene o arrestati dalla Russia. In caso di rottura dell’alleanza personale tra Kadyrov e Putin non avrebbero altra scelta che combattere e sarebbe una guerra decisamente più difficile di quelle che abbiamo già visto.”
Lo Stato è separato dalla religione in Russia, ma Kadyrov, figlio di un precedente presidente ceceno assassinato, a Grozny, nel maggio del 2004, il mufti Akhmad Kadyrov, ha adottato, di fatto, l’islam come religione ufficiale della sua repubblica.
“In Cecenia noi siamo tutti musulmani al cento per cento e l’islam è fiorente. Noi pratichiamo la forma tradizionale dell’islam che ci hanno tramandato i nostri avi.”
Simbolo di questo islam ostentato, i tre edifici eretti nel cuore della capitale. La Moschea Akhmad Kadyrov, innanzitutto, la più grande d’Europa, costruita, in due anni, su modello degli edifici religiosi turchi e inaugurata il 17 ottobre 2008. A qualche centinaia di metri, l’Università Putin-Kadyrov, che ha aperto le porte, lo scorso settembre, e accoglie, già, più di duecento studenti. La moschea e l’università sono completate da un terzo edificio, il Centro di Medicina Islamica, destinato alla cura delle malattie, in particolare quelle di origine nervosa, con metodi, prettamente, tradizionali. 
Tre anni fa, nel quadro di un programma per il “ritorno spirituale e morale” della Cecenia, Ramzan Kadyrov, ha ordinato che le donne dovessero coprirsi i capelli. Lo stravagante presidente, collezionista di costose vetture, animali esotici e belle ragazze, considera le donne proprietà dei propri mariti e sostiene che il loro ruolo precipuo sia di fare figli. Anche se la poligamia è illegale in Russia, Kadyrov incoraggia gli uomini a prendere più di una moglie. Fortunatamente, un decreto governativo è giunto a vietare il matrimonio prima dei diciotto anni, talmente la situazione delle giovani madri di quattordici e quindici anni era divenuta allarmante.
Pilastri della società cecena per tutto il periodo della guerra e dell’esodo, le donne sono, oggi, le più minacciate da questo ritorno alla tradizione. A Grozny, le donne hanno paura di uscire sole, al calare della sera, nonostante l’illuminazione accecante delle strade della città ricostruita. 
Le nuove regole sono entrate in vigore usando la maniera forte, la sola che conosce, oggi, la Cecenia. Ibrahim Kerimov, il rettore dell’Istituto del Petrolio, una delle università più antiche e più  prestigiose della regione, ha ricevuto l’ordine di firmare le proprie dimissioni, perché la sua segretaria non portava il velo. Avrebbe voluto tenere duro. Ma i miliziani sono venuti e gli hanno sussurrato all’orecchio:
“Tu hai, ancora, un fratello.” 
Ha compreso il messaggio: uno dei fratelli era già scomparso.
La Politkovskaya non ha visto nulla di tutto questo.  
È il terrore di cui non è rimasto più nessuno a riferire.
Anna Politkovskaja era una giornalista.
Anna Politkovskaja era una giornalista straordinaria.
Anna Politkovskaja era una giornalista straordinaria e coraggiosa.
Anna Politkovskaja era una giornalista straordinaria, coraggiosa e scomoda.
Nel 2000, ha aperto non una autostrada, ma un cammino, un sentiero ai giornalisti e agli altri, avidi di verità, in direzione per la Cecenia, devastata, una seconda volta, in dieci anni dalla guerra.
Ha dimostrato che è possibile lavorare fuori dei sentieri battuti, giungere alla verità e restituirla, abbattere le porte chiuse entro le quali le autorità volevano tenere le operazioni belliche.
Ha dimostrato che l’umano, con tutte le sue debolezze e tutta la sua grandezza, può resistere alla macchina infernale, al rullo compressore del potere armato, deciso a finirla con il nemico dichiarato, all’occorrenza con i ceceni nel loro insieme.
Ha denunciato i crimini commessi dall’esercito russo in Cecenia contro i civili, in nome della lotta al terrorismo, ma anche dai combattenti ceceni e, da ultimo, dagli uomini di Ramzan Kadyrov.
Quali parole per esprimere la collera, la disperazione, la tristezza, la rabbia, il sentimento di impotenza che bollono in noi?
Quali parole per esprimere la voglia di urlare, la pesantezza, l’intorpidimento della volontà di fronte a una tale violenza, di fronte a un tale arbitrio, di fronte a una tale impunità?
Quali parole per esprimere il disgusto che ci ispirano la guerra in Cecenia, i morti, gli scomparsi, le distruzioni e, terribile, il diniego di questa barbarie?
Impietosa, interminabile, la doppia guerra di Cecenia, schiacciante replica del Cremino alla volontà di indipendenza cecena, ha fatto, in dieci anni, circa 200.000 morti, vale a dire il 20% della popolazione.
“La parola decimazione prende un suono lieve quando la si confronti con la sorte dei ceceni.”
ha scritto Adriano Sofri in una lettera rivolta al presidente del consiglio Silvio Berlusconi.
Che resta a noi di fronte a questi crimini?
Evitiamo di piangere, pensiamo piuttosto alla famiglia e ai colleghi di Anna Politkovskaja.
E cerchiamo di portare tutto il nostro sostegno a chi, come lei, si batte perché la verità sia detta, venga fuori, esploda.
Perché gli assassini, i loro mandanti e tutti coloro che hanno avuto interesse che questa donna tacesse per sempre non dormano sonni tranquilli.
Per dire a coloro che non si sentono coinvolti, quanto ci sembri vitale battersi per la Giustizia.
E contro la barbarie.
Perché l’assassinio di questa grande donna non resti impunito, facciamo in modo di mai dimenticare, di convertire la rabbia che trabocca, oggi, in un desiderio sempre più crescente di sapere.
Daniela Zini
Copyright © 2010 ADZ


Luned́ 30 Agosto,2010 Ore: 14:16