Articoli su crisi finanziaria europea e mondiale
a cura di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova
(Elaborazione e traduzioni di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)
da "il Manifesto"
RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI
di Galapagos
13 maggio 2010
La tassa proposta ieri da Obama (un centesimo al barile) è davvero troppo poco fino a sembrare inutile, ma forse è simbolica e propedeutica per provvedimenti da prendere immediatamente. Per limitarci al petrolio, ogni giorno vengono trattati "future" per quasi un miliardo di barili, ben oltre dieci volte in più del petrolio commerciato. I "future" sono pura speculazione e solo in microscopica parte servono a garantire gli operatori dalle oscillazioni dei prezzi. Tassare i barili "future" (ben più di un centesimo al barile) non è peccato, ma cosa giusta e saggia.
Quello che è accaduto prima con i mutui "subprime" e poi con la crisi greca è esemplificativo del dominio della speculazione che ha potuto operare e opera ancora liberamente scaricando ogni volta i costi sui contribuenti.
Mario Draghi, governatore di Bankitalia, alcuni giorni fa ha dichiarato che per battere la speculazione servono tempi lunghi: giusta osservazione, ma l'importante è iniziare, dare segnali concreti, magari piccoli.
Nulla di questo sta accadendo: l'ira dei governi e delle istituzioni mondiali prende sempre di mira la gente comune e i lavoratori, vittime incolpevoli della speculazione. Che opera con la certezza di non essere mai chiamata a pagare per i danni planetari provocati.
L'ultima "decisione" assunta dall'UE, cioè la modifica del trattato di Maastricht, muove in questa direzione. Il rigore viene imposto non alle banche e agli operatori finanziari, ma ai cittadini per interposta persona: obbligando gli stati al rigore.
Tutti gli Stati, perché il fenomeno dell'esplosione del debito pubblico ha dimensioni planetarie. E sul debito pubblico gli affari e la speculazione prosperano. In questa ottica nella cattolica Europa è stato impedito alla Grecia di fallire, dimentichi del "Padre nostro" che sostiene: "Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori". E non serve essere teologi per capire che i debiti non sono solo le nostre offese, i nostri peccati fatti a Dio, ma c'è anche molto di materiale, perché i nostri debitori sono chi ci impedisce di vivere una vita normale e ci impone di sopravvivere in una vita fatta di sacrifici e sopraffazione.
Quello che emerge da Bruxelles è la pretesa di un gruppo di eurocrati, non eletti da alcuno, che vuole imporre un governo forte che regoli le nostre vite. L'alternativa non è tra nazionalismo egoista dei privilegi e presunta sovranità "internazionalista" della UE.
L'alternativa vera - che appare in tutta la sua evidenza con la svolta autoritaria con la quale si cerca di modificare il patto di Maastricht in soccorso del sistema finanziario responsabile della crisi - è tra il neoliberismo che vuole piegare, se non cancellare, la sovranità popolare e, dall'altra, la necessità di una direzione diversa delle varie società nazionali che deve essere orientata sul blocco sociale che la crisi paga e subisce. E che vuole una globalizzazione, a partire dall'Europa, che difenda i diritti, l'occupazione e la produttività (ma non lo sfruttamento attuato con la flessibilità esasperata), la conoscenza e la società civile. E faccia pagare la crisi a chi l'ha provocata. Anche con i fallimenti. Perché - e i liberisti non possono negarlo - i fallimenti sono parte integrale dell'attività economica.
TAGLIAMO IL SISTEMA
di Paolo Berdini
14 maggio 2010
Nelle prossime settimane si aprirà una potente campagna mediatica che, oltre a far scomparire le responsabilità della crisi, tenterà di ridurre la spesa pubblica assestando un altro colpo alle condizioni di vita dei lavoratori. Se non vogliamo far vincere ancora "mano lesta", cioè il partito di coloro che nonostante il tragico fallimento del neoliberismo continuano a proporre le stesse ricette, dovremmo iniziare a fare proposte efficaci e immediatamente comprensibili. Partendo, ad esempio, dalla grande opportunità offerta dalla vicenda della protezione civile.
Diego Anemone, un modesto e giovane uomo d'affari, aveva nel granaio così imponenti provviste economiche da potersi permettere di pagare un milione di euro per aiutare ad acquistare casa ad un solo ministro. Stando alle anticipazioni giudiziarie, c'è una fila interminabile di uomini politici o alti dirigenti statali che non disdegnavano concreti favori da Anemone: ristrutturazioni di case, manutenzioni, fornitura di mobili. Tutti soldi anticipati dall'imprenditore, ma che rientravano nel suo portafogli con giganteschi interessi attraverso l'affidamento di opere pubbliche. Ricchezze che venivano alimentate da una spesa pubblica senza controllo.
Dicono le indagini in corso che il solo Angelo Balducci pretendeva il 10% dell'importo dei lavori. Mettiamoci gli altri soggetti tecnici, dai direttori dei lavori ai collaudatori amministrativi e tecnici e arriviamo a somme da capogiro.
La Corte dei Conti ha stimato in oltre 60 miliardi di euro l'ammontare dei soldi che vengono sottratti dalle casse dello Stato attraverso il sistema della corruzione. Ad ogni cittadino italiano vengono sottratti mille euro all'anno, una impressionante tassa aggiuntiva occulta.
A metterci le mani nelle tasche non è soltanto la cricca. C'è il sistema delle grandi opere, a cominciare dal Ponte sullo Stretto che ha già fatto guadagnare ricche prebende ai soliti noti. C'è il buco nero dell'Anas. C'è l'alta velocità ferroviaria, costata alle casse dello stato 51 miliardi di euro che sono andati ad ingrossare i bilanci di non più di venti grandi imprese nazionali. Ma di questo, ovviamente, la severissima Confindustria non parla: preferisce accanirsi contro ogni spesa a favore dei lavoratori e non ha interesse a mutare questo indecente stato delle cose.
Uno dei centri vitali dello Stato, quello della spesa per le opere pubbliche, è sequestrato da una struttura di potere di uomini politici, di tecnici compiacenti e di imprese che spesso controllano i grandi mezzi di informazione. Tagliando questo sistema malavitoso un comune di duemila abitanti potrebbe avere un ritorno di 2 milioni all'anno. Una cifra utile a interrompere la spirale degli ultimi anni in cui i comuni per fare cassa sono stati istigati a vendere beni pubblici o a incrementare la realizzazione di nuovi inutili quartieri. Con quei soldi si potrebbero mettere in sicurezza le scuole, curare i parchi, i beni culturali o lasciare aperti i pochi servizi sociali ancora esistenti. Il comune di Roma avrebbe in dote quasi tre miliardi all'anno, molto di più dei 500 milioni stanziati dal governo con grandi squilli di tromba.
Mettere fine a un sistema perverso che fa affluire miliardi a pochi speculatori e ad un sistema politico marcio è un modo efficace per evitare un ulteriore taglio dello stato sociale. Ma la sinistra è muta, incapace di incalzare su un terreno estremamente favorevole. Per tornare ad essere credibili basterebbe chiedere che il controllo della spesa per le opere pubbliche e per la sanità sia affidato a galantuomini estranei alla politica e con il conseguente taglio di spesa evitare ogni altra macelleria sociale.
Eurogolpe, ovvero l'ideologia greca di Tommaso Di Francesco 14 maggio2010 Per qualcuno l'autoritarismo era già implicito nella costruzione europea e nel vincolo del patto di stabilità, altri sosterranno che la scelta è oggettiva, visto il livello della crisi, evidente dalla furbizia e dal crack di Atene. Non è così. Con la decisione del 12 maggio, seguita alla maratona notturna di Ecofin e Bce che ha stabilito un fondo prestiti straordinario di 750 miliardi di euro insieme al Fmi per sostenere le crisi finanziarie dell'Eurozona, la Commissione Ue ha avviato una svolta autoritaria, un vero e proprio eurogolpe. Prendendo la palla al balzo. Perché, approfittando della crisi greca, fa di questa materialità una ideologia (falsa coscienza) che rischia di spostare ancora più a destra, se possibile, l'asse politico dei paesi europei.
Già il patto di stabilità era un vincolo di bilancio che non poteva essere sforato per la "correttezza dei conti", essendo il debito l'oggettività primaria di una Europa senza istituzioni politiche ma con la sola entità monetaria dell'euro. Non altre priorità, come l'occupazione, la formazione, le innovazioni tecnologiche e ambientali. Questo è l'Europa, solo una moneta. Che ora diventa governo, anzi direttorio di brocker. Va da sé che la centralità è la presunta oggettività dei bilanci, come se ad essi non presiedessero scelte politiche, indirizzi di spesa, individuazione di priorità sociali e strategiche ad esaltazione o a deprimento di altre. Come se nei bilanci non si individuasse la ragione politica delle scelte di classe di un governo e di quelle democratiche dei parlamenti. Il patto di stabilità era, fin qui, un'ombra che già aveva contaminato l'intera vicenda dei beni comuni, con l'obbligo delle privatizzazioni ovunque, la cancellazione di ogni ipotesi di nazionalizzazione o di controllo sociale dei beni. Eravamo finora al solo indirizzo, pericoloso, che ha di fatto modificato i comportamenti delle leadership politiche di destra e di sinistra che si sono avvicendate alla guida dei paesi europei.
Ora con la svolta di Bruxelles presentata da un Barroso sempre sornione e inutilmente sorridente, siamo al diktat attraverso la definizione di strutture istituzionali e modalità che azzerano le aspettative di allargamento della sovranità popolare in Europa intesa come segno più alto e democratico per una cessione di sovranità nazionale.
La Commissione europea ha infatti deciso: di controllare preventivamente i conti pubblici degli Stati, di valutare e giudicare le varie finanziarie prima dei Parlamenti, di estendere al debito pubblico verifiche finora concentrate sul rispetto del 3% nel rapporto deficit/pil; inoltre vara strumenti di cauzione e penalty e in più un semestre di "sessione" speciale, quasi un presidio dedicato a queste priorità.
Qualcuno ci leggerà la nascita finalmente dell'Europa. Eppure è evidente che questa novità. se sottolinea una dura e forte intenzione politica, la mette subito al servizio del dominio dell'attuale sistema finanziario che tiene nelle mani il mondo e determina le sue diseguaglianze, e che è stato fin qui responsabile sia della crisi americana che di quella greca ed europea. Verso il quale nessuno intende proporre - figuriamoci - alcun controllo o penalty secondo interessi.
Ne derivano alcuni stravolgimenti dell'agenda politica. Mentre già tutti corrono ad adeguarsi, come fa Zapatero che, vale la pena ricordarlo, così facendo costruisce probabilmente la sua uscita di scena, del resto anticipata dal disastro sociale della disoccupazione spagnola arrivata alla soglia del 20%. E mentre il ritorno dei tories al potere in Gran Bretagna nell'inedita coalizione con i lib-dem, avviene sotto il segno smaccato dell'antieuropeismo e della rivendicazione anti-euro, per stare ancora di più fuori dai meccanismi e dai costi dell'Unione.
Già. Perché la centralità del cosiddetto debito pubblico, vuole ideologicamente azzerare la differenza sostanziale tra debito sociale (quello che lo stato deve ai suoi cittadini, stipendi del pubblico impiego, pensioni, servizi, protezione sociale, welfare ecc. ecc.) e il debito finanziario, quello che prende la forma dei titoli emessi dallo Stato e che va sul "libero" mercato. Solo quest'ultimo naturalmente può essere rimesso, cioè rimborsato prioritariamente, salvaguardato, sostenuto e diventare mercanteggiamento tra prestiti vantaggiosi per chi li fa e paesi "Pigs" così indebitati e per questo impoveriti come la Grecia. L'altro naturalmente non ha protezione, non viene difeso.
Parole giuste come "interventismo publico" e "cessione di sovranità nazionale" acquistano così, con le brutali decisioni di Bruxelles, non il senso di un allargamento dell'Unione Europea politica e della sua democrazia, come avrebbe dovuto essere, ma una svolta autoritaria e unilaterale in difesa del rigore di bilancio a salvaguardia degli interessi del mercato, in primis finanziario.
Chi ci guadagna? Al di là delle banche, già responsabili delle crisi in corso, si produce un'ulteriore dinamica politica che chiameremmo l'ideologia greca. Con esaltazione di un nuovo "centro politico" per l'occasione rinnovato - vedi le manovre oltre-Berlusconi in Italia - e se necessario, anche populista e anticorruzione, da casa Scajola a CasaPound per intenderci. Perché bisognerà pure cavalcare insieme l'autoritarismo necessario al "rigore del debito" e la drammatica divisione sociale che esso produce.
Né è da escludere che, formalmente ma significativamente, anche nel cuore d'Europa, in Germania - sforatrice anch'essa del patto di stabilità - il Parlamento protesterà, a sinistra ma soprattutto a destra, contro questa rivendicazione centralistica di Bruxelles che pure va nell'interesse di Berlino. E addirittura in Italia, alle prese con il "federalismo fiscale" dei privilegi.
E a sinistra? Non basta davvero appellarsi ad Obama: è il miglior Presidente per gli Stati Uniti, ma la sua America ci guarda interessata, per scaricare costi della sua crisi e per vigilare che le soluzioni qui non contraddicano l'ipersostegno alla finanza privata approntato già negli USA. E pensare che l'allargamento forzato a 27 dell'UE ha avuto origini e radici nella necessità strategica americana, attraverso l'Alleanza atlantica, di includere-annettere come satelliti della Germania i paesi dell'est-Europa.
A questo punto, in quanto a protesta sociale e dei lavoratori, non basteranno più i tetti su cui salire, né la rabbia greca, né una prospettiva solo sindacale, se non si affronta il nodo di una alternativa sulla ripartizione equa del lavoro alienato e sulla nuova natura sociale (di cittadinanza?) del salario. Visto che già si avventano come cani rabbiosi sullo "spreco" della cassa integrazione e già perfino la Ggil si prepara ad una buona accoglienza dei tagli imposti dalla Commissione UE.
Comunque, il fatto è che "la sinistra che abbiamo conosciuto" non solo non c'è più in Italia - come scriveva Luigi Pintor - ma tantomeno in Europa. E invece questa potrebbe essere l'occasione per sparigliare il gioco sporco, invertire il senso comune della crisi e raccontarla diversamente. E diversamente ricostruire un agire dal basso.
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Sosteniamo la resistenza del popolo greco contro la dittatura dei creditori!
Comunicato stampa di CADTM del 3 maggio 2010
Fondato in Belgio il 15 marzo 1990, il Comitato per l'Annullamento del Debito del Terzo Mondo (CADTM) costituisce una rete internazionale formata da membri e comitati locali con sedi in Europa, in Africa, nell'America Latina ed in Asia.
(traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)
3 maggio 2010
Il nuovo piano di austerità annunciato domenica 2 maggio è un'autentica catastrofe per la popolazione greca, per i salariati del privato come del pubblico, per i pensionati e per coloro che hanno perso il lavoro.
Congelamento dei salari e delle pensioni della funzione pubblica per 5 anni; Soppressione dell'equivalente di 2 mesi di stipendio per i funzionari; Diminuzione dell'8% delle loro indennità già amputate del 12% dal precedente piano di austerità del governo guidato dal PASOK (Movimento Socialista Panellenico) ; L'imposta principale dell'IVA che, dopo essere passata dal 19 al 21%, viene portata al 23%, (anche le altre tasse subiscono un incremento, dal 5 al 5.5% e dal 10 all'11%); Le tasse sui carburanti, sugli alcolici e sui tabacchi aumentano per la seconda volta in un mese del 10%; I pensionamenti anticipati (collegati alla perdita del lavoro) sono vietati prima dell'età di 60 anni; L'età per legge dell'andata in pensione delle donne è portata dai 60 ai 65 anni entro il 2013; Per gli uomini, l'età legale dipenderà dalla speranza di vita; Saranno necessari 40 anni di lavoro (e non più 37, salvo studi e disoccupazione) per ottenere una pensione ad importo pieno; Questa pensione verrà calcolata non più in funzione dell'ultimo salario ma secondo il salario medio sulla totalità degli anni lavorati (equivalente ad un abbassamento dell'ammontare della pensione del 45 fino al 60%) Lo Stato ridurrà le sue spese di funzionamento (sanità, istruzione) di 1,5 miliardi di euro.
Gli investimenti pubblici verranno ridotti ancora di 1,5 miliardi di euro.
Viene creato un nuovo salario minimo per i giovani e per i disoccupati di lunga durata (equivalente al CPE francese, la legge sul contratto di primo impiego che, a detta dei sindacati e delle stesse associazioni giovanili, penalizza fortemente il primo lavoro e aumenta il precariato dei giovani, respinta in Francia dai giovani e dai sindacati).
Miliardi di euro per salvare la Grecia dalla sua crisi monetaria: si tratta di una cuccagna per i mercati finanziari e il capitale! I trasporti, l'energia e alcune professioni riservate allo Stato dovranno essere liberalizzate e aprirsi alle privatizzazioni; Il settore finanziario (le banche in particolare) beneficierà di un fondo di sostegno con l'aiuto del Fondo Monetario Internazionale e dell'Unione Europea; La flessibilità del lavoro sarà rafforzata; I licenziamenti verranno facilitati; L'economia greca viene posta sotto il controllo del Fondo Monetario Internazionale.
La Grecia, restando nella zona dell'euro, non potrà svalutare la sua moneta, né giocare sui tassi di interesse. Neppure il debito potrà essere ristrutturato, le istituzioni finanziarie europee ne detengono i due terzi. Queste stesse banche continueranno ad attingere denaro dalla Banca Centrale europea ad un tasso dell'1% per prestarlo agli Stati (dietro remunerazione!).
Per contropartita a queste misure, i paesi della zona euro, uno ad uno, stanno prestando aiuto da 100 a 135 miliardi di euro alla Grecia nell'arco di 3 anni, ad un tasso del 5% (45 miliardi solo per quest'anno). Dunque, gli Stati ricchi e le banche guadagneranno soldi sulle spalle del popolo greco. Christine Lagarde, ministra delle finanze francese, prevede un utile di profitto pari a 150 milioni di euro all'anno. Con questa operazione andranno ad accrescere il debito pubblico per consentire allo Stato greco di pagare i suoi creditori speculatori! La crisi greca è la dimostrazione a grandezza naturale della tripla pericolosità del Fondo Monetario Internazionale, dell'Unione Europea e dei mercati finanziari.
Il FMI, screditato a giusto titolo per i suoi catastrofici "piani di aggiustamento strutturali", ritorna a galla nella zona euro, dopo avere infierito in questi ultimi due anni in molti paesi dell'Europa orientale. Oggi, il Fondo utilizza le medesime procedure messe in atto ieri conformemente agli interessi dei medesimi suoi sponsor: i mercati finanziari e le multinazionali. Oggi, come ieri, questa è la sua autentica natura di pompiere piromane che si rende manifesta alla luce piena del sole. L'Unione Europea e la sua commissione hanno in ugual modo riaffermato i loro paradigmi al servizio della "libera concorrenza, non falsata". La Banca Centrale Europea non è al servizio delle popolazioni di Europa, ma unicamenteque a quello delle banche e degli organismi finanziari.
I mercati finanziari, dopo avere provocato e fatto precipitare la crisi greca, attraverso le agenzie di rating remunerate dalle grandi banche statunitensi, esigono trarre ancor più profitti dalle loro strategie speculative. Il governo del PASOK, l'Unione Europea e il FMI hanno fornito loro l'occasione su un piatto d'argento.
Alle spalle dell'industria finanziaria ci sono le multinazionali dell'industria, del commercio, dei servizi.
Se stiamo stigmatizzando a ragione i fondi speculativi, le agenzie di rating e l'industria finanziaria, noi non perdiamo di vista che tutto questo non è altro che l'albero che nasconde la foresta! Questa sfrenata speculazione che strangola le popolazioni povere è stata resa possibile per due ragioni principali: Le deregolamentazioni successive dei mercati finanziari dopo gli anni ottanta del secolo scorso; Le scelte volontarie e coscienti del grande padronato di destinare i loro nuovi profitti alla speculazione piuttosto che verso la produzione e la creazione di posti di lavoro. E questa accumulazione di nuovi profitti trova la sua origine nella recente ripartizione della ricchezza a beneficio del profitto e a detrimento della parte spettante ai salariati. Questa parte è diminuita di circa il 10% del PIL in 25 anni nella media dell'insieme dei paesi sviluppati.
Questo orientamento economico, sostenuto dall'ideologia neoliberista, è la causa principale della crisi economica e finanziaria che noi oggi abbiamo sotto gli occhi.
Anche i differenti governi che si sono succeduti nel corso di 30 anni, in Grecia come negli altri paesi del Nord del mondo, portano una parte pesante di responsabilità nell'aumento dei debiti pubblici. Le politiche fiscali, condotte in favore dei benestanti più agiati e delle grandi imprese (imposta sul reddito, imposta patrimoniale e imposta sulle società), hanno diminuito in maniera considerevole le entrate di bilancio ed aggravato il deficit pubblico, obbligando gli Stati ad accrescere il loro indebitamento.
I responsabili della crisi vengono risparmiati ed è alla gente che viene presentato il conto.
Nel piano di austerità congegnato da PASOK-UE-FMI ed imposto al popolo greco in pratica è possibile riscontrare la presenza solo di piccoli provvedimenti senza effetto per stabilire l'inizio di una giustizia fiscale e assolutamente nulla per combattere l'evasione fiscale dei profitti delle grandi imprese. Le "soluzioni" del PASOK, dell'UE e del FMI precipitano la Grecia verso l'approfondimento della sua crisi. Per il 2010 viene già programmata una recessione minimale di 4 punti del PIL. I piccoli artigiani e i commercianti, le piccole imprese dovranno affrontare una lunga serie di fallimenti e di blocchi delle attività. La disoccupazione sta esplodendo e gli strati popolari e le classi medie stanno riscontrando che il loro potere di acquisto sta precipitando in caduta libera. Le ineguaglianze si stanno accrescendo e i diritti umani fondamentali (accesso all'energia, all'acqua, alla sanità, all'istruzione.) sono minacciati per la parte più povera della popolazione.
La collera del popolo della Grecia è anche la nostra.
Il CADTM sostiene senza riserve le mobilitazioni contro il piano di austerità.
Esistono soluzioni alternative! Il rimborso del debito pubblico della Grecia deve essere immediatamente sospeso e deve essere condotta una pubblica inchiesta per decidere della sua legittimità o della sua illegittimità.
Devono essere prese misure di abrogazione e i proventi finanziari dal debito devono essere tassati alla fonte al tasso massimo dell'imposta sui redditi.
Provvedimenti fiscali possono essere assunti immediatamente per ristabilire la giustizia fiscale e per la lotta contro l'evasione fraudolenta. All'oggi, secondo le valutazioni del Tesoro greco, i funzionari (designati come capri espiatori) e gli operai dichiarano profitti maggiori di quelli dei liberi professionisti (medici, farmacisti, avvocati) o perfino dei banchieri! La quasi totalità delle grandi imprese (armatori, .) dichiarano i loro profitti in paesi a fiscalità vantaggiosa (particolarmente a Cipro) o li nascondono nei paradisi fiscali.
La Chiesa ortodossa continua a beneficiare di esorbitanti esoneri fiscali sui patrimoni e sulle rendite immobiliari. Esiste denaro in Grecia, ma non là dove il piano di austerità lo vuole prendere! Al CADTM, noi siamo solidali con il popolo greco che scenderà in sciopero generale il 5 maggio prossimo. Dappertutto, in Grecia come negli altri paesi europei, la solidarietà per la mobilitazione deve allargarsi. Attualmente, è la Grecia sotto tiro ma tutti sanno che domani può toccare al Portogallo, all'Irlanda o alla Spagna. In seguito, tutta la zona euro può capitombolare, compresi i paesi più "ricchi" di Europa.
Noi ci rallegriamo per le prime dichiarazioni di solidarietà e per l'inizio delle mobilitazioni di sostegno davanti alle ambasciate greche. Bisogna andare più lontano! Il movimento sociale europeo nel suo complesso deve stare a fianco del popolo greco! I popoli di Europa hanno tutto da guadagnare! Il CADTM, per quanto possibile porterà il suo contributo! ***
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Grecia, "l'ultima tappa della crisi"
di Jorge Altamira
Fonte : http://www.argenpress.info/
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Jorge Altamira è lo pseudonimo di José Saúl Wermus (nato nel 1942 a Buenos Aires), principale dirigente di "Partito Operaio", un gruppo trotskysta fondato nel 1982. Veterano delle lotte sociali e politiche contro le dittature in Argentina fin dagli anni Sessanta, è stato consigliere municipale di Buenos Aires dal 2000 al 2004. È stato promotore di molte legislazioni sociali, fra cui la norma che istaurava la giornata di sei ore lavorative giornaliere per i lavoratori del métro della metropoli e quella sul ricupero dei lavoratori delle imprese abbandonate dai loro proprietari.
È stato candidato a più riprese ad elezioni presidenziali e legislative.
È membro del Comitato di coordinamento per la rifondazione della Quarta Internazionale.
È autore di : La strategia della sinistra in Argentina (1989); Teoria marxista e strategia politica (1999); "El Argentinazo". Il presente come storia. (2002); Una nuova tappa storica: La Rivoluzione Russa nel secolo XXI.
(Traduzione dal francese di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)
Paradosso crudele. È bastato che l'operazione di salvataggio, talmente reclamizzata, della Grecia venisse resa nota che, nel giro di poco più di 24 ore, appariva come evidente che il default (il crollo con la conseguente cessazione dei pagamenti) della Grecia fosse inevitabile. Il raddoppio della somma assegnata al salvataggio, da 60 a 120 miliardi di euro, causava l'effetto opposto a quello che ci si attendeva, dato che la dimensione dell'operazione metteva in rilievo l'insolvibilità dello Stato greco.
La ripercussione internazionale del naufragio ellenico è stata impressionante: il crollo delle Borse di Madrid o di Milano è stato catastrofico, ma nemmeno quelle di New York, di Shangaï o di San Paolo sono state risparmiate Il crollo della Grecia traccia una linea di separazione nei percorsi della bancarotta capitalistica mondiale: la prima fase va dalla crisi della banca d'investimenti usamericana Bear and Stern, nel luglio 2007, fino al fallimento della Lehman Brothers, nel settembre 2008; la seconda fase si estende da questa data all'incombente default della Grecia che è andato a svilupparsi in questi giorni.
Ciò che gli analisti anglo-sassoni denominano come counterparty risk, vale a dire la minaccia di bancarotte finanziarie, ritorna sul palcoscenico del teatro, fatto che si pensava superato grazie alle emissioni massicce di denaro da parte delle banche centrali, specialmente negli Stati Uniti ed in Cina.
Un "aggiustamento" criminale La causa fondamentale del fallimento del piano di salvataggio, addirittura prima che questo venga messo in opera, deriva dall'aggiustamento mostruoso che viene imposto al popolo greco.
La gigantesca limitazione del potere di acquisto della popolazione, a causa delle riduzioni dei salari e delle pensioni; degli aumenti siderali delle tasse sui generi di consumo; dei tagli enormi alle spese sociali; presagisce un acuto inasprimento della recessione economica, che non può se non aggravare l'incapacità da parte dell'erario ad onorare il debito pubblico.
Precisamente per questo, si stima che il debito dovrebbe aumentare nel periodo dell'aggiustamento, non solamente in proporzione al PIL ma anche in valore assoluto (come conseguenza della necessità di dovere pagare dei tassi di interesse molto superiori rispetto alla media dei mercati internazionali). Detto altrimenti, la miseria sociale si accompagnerà ad una accentuazione della vulnerabilità fiscale e finanziaria. La parte essenziale del debito pubblico della Grecia si trova nelle mani delle banche nazionali, quantunque dominate dalle banche francesi e tedesche. Questa situazione ha già provocato una corsa al ritiro dei depositi e alla fuga dei capitali (verso il paradiso fiscale di Cipro).
In Argentina, nel 2001, quando il titolare del ministero dell'Economia era López Murphy, questo ministro aveva tentato una simile operazione deflazionista, benché in proporzioni infinitamente minori. Grazie alla resistenza popolare, il suo fallimento ha suonato la fine del "prima- dell'ultima fase-della crisi" e comunque ha dato la stura all'"ultima" fase, quella di Cavallo.
(N.d.tr.: Domingo Cavallo, è noto per il piano di convertibilità che ha stabilito il rapporto di parità tra il dollaro americano e il peso argentino tra il 1991 e 2001. Tale piano ha ridotto l'inflazione da oltre il 1300% nel 1990 a meno del 20% nel 1992 fino a quasi lo zero nel resto degli anni Novanta, salvo poi provocare l'insolvenza del debito pubblico argentino. Nel 2001 chiamato dal presidente De la Rúa a fare il ministro dell'economia, rinegozia il debito estero con il FMI. La crescita del rischio-paese e la pressione degli investitori internazionali provocano una corsa al ritiro dei capitali dalle banche e alla fuga all'estero dei capitali. Nel novembre 2001, Cavallo introduce una serie di misure per limitare l'uso dei contanti, note come corralito ("financial fence"), per cui si limitavano i prelievi dai conti bancari. La politica economica di Cavallo è da molti considerata tra le principali cause di deindustrializzazione e dell'aumento di disoccupazione e povertà durante gli anni Novanta, come anche della crisi economica e dell'insolvenza del debito pubblico argentino.) Il piano di salvataggio per la Grecia arriva ad assolvere la medesima funzione di "blindatura" organizzata da Cavallo con le banche internazionali, quella di utilizzare il denaro pubblico per finanziare la fuga dei capitali, e così le banche venivano messe al riparo dall'inevitabile default dell'Argentina.
Non c'è alcun dubbio che l'innesco decisivo al salvataggio- aggiustamento della Grecia è stato provocato dalla colossale mobilitazione delle masse della Grecia, che tutti i circoli finanziari davano per scontata e che si è manifestata con lo sciopero generale del 5 maggio.
Nella Grecia ipermilitarizzata, paese che spende per gli armamenti più di tutti nell'Unione Europea, la crisi ha fatto schierare nelle strade il personale della polizia e dell'esercito.
La bancarotta dell'Europa Tuttavia, nello stesso modo con cui ha messo in piena luce l'inevitabilità del collasso della Grecia, il piano di salvataggio ha messo a nudo il fatto che l'epicentro della bancarotta non si trova proprio in Grecia, ma in Germania e in Francia.
L'evidenza che la crisi greca minacciava l'equilibrio delle banche pubbliche tedesche (Landesbank), ha costituito ciò che ha indotto precipitosamente la Cancelliera Merkel a decidersi per il piano di salvataggio, che fino a quel momento aveva respinto con ostinazione. Questo non è dovuto solamente al fatto che le banche tedesche sono fortemente esposte in Grecia: insomma, la Germania è soggetta ad un tasso di disoccupazione dei più elevati al mondo e ad un abbattimento impressionante di ore di lavoro e il suo debito pubblico arriva già al limite massimo consentito dagli accordi dell'Unione Europea. La Germania ha bisogno di denaro, in primo luogo, per se stessa.
Un altro indice della disperazione che ha determinato l'annuncio del piano di salvataggio è stata la decisione della Banca centrale europea di accettare i titoli "spazzatura" del debito greco (detenuti dalle banche locali) come garanzia per accordare dei prestiti in maniera diretta.
Si tratta chiaramente di una operazione di drenaggio del debito greco a beneficio delle banche locali e straniere che sono i creditori.
Il piano di salvataggio non è proprio un'operazione congiunta dell'Europa, ma si fonda su una collezione di prestiti alla Grecia da diversi paesi, fra cui la Spagna, Stato anch'esso in default (tanto sul piano pubblico che, specialmente, sul piano privato), che tuttavia appare nella lista dei salvatori della Grecia. È chiaro che un'operazione di questa natura non ha la possibilità di ripetersi nel caso in cui si rendesse necessaria per altri paesi; è per questo che assomiglia molto al colpo unico nel caricatore. Questo piano ha provocato una corrida speculativa contro i debiti pubblici di qualche altro paese.
L'Unione Europea è stata incapace di finanziare il salvataggio tramite il collocamento del suo proprio debito sui mercati, come hanno fatto, per esempio, gli Stati Uniti.
In altri termini, l'Europa manca degli strumenti di un salvataggio, una carenza che mette a nudo l'impotenza politica dell'Unione Europea. I Tedeschi ricorrono alle banche pubbliche per far fronte alla loro parte del prestito alla Grecia, e queste banche cercheranno di essere finanziate dalla Deutsche Bank e dalla Commerzbank, anche se in termini di precarietà.
Come abbiamo visto, in questa fase, la bancarotta della Grecia ha posto in pieno rilievo la portata della crisi del capitalismo in Europa nel suo complesso.
Ciao, Keynes Tuttavia, noi abbiamo ben compreso che la crisi, in questa fase, ha già una portata molto più larga. L'Europa è rimasta divisa in due gruppi di paesi, con la prospettiva che gli antagonismi fra essi possano via via esasperarsi.
I paesi che flirtano con il default avranno, da qui a poco, un prezzo da pagare in crescendo a causa dei finanziamenti, che li allontanerà dagli Stati più solidi nelle ulteriori fasi dello sviluppo capitalistico. L'Unione Europea entra in una fase centrifuga.
L'altra questione è non meno impressionante: si sta imponendo un programma deflazionista, come è successo nella crisi degli anni Trenta, rovinando le illusioni di una specie di kirchnerismo [la politica dei presidenti argentini Nestor e Cristina Kirchner ] mondiale, che avrebbe dovuto assicurare che il capitalismo ritornava ad una fase di interventismo statalista e di keynesianesimo.
Benché qualsiasi giudizio a riguardo sia prematuro, la caduta della quotazione dell'oncia d'oro di questi ultimi giorni potrebbe solamente spiegarsi in funzione di una prospettiva deflazionistica.
Per alcuni osservatori più qualificati, noi staremmo assistendo ad un piano di parziale smantellamento dell'Unione Europea sotta la bacchetta direttiva della Germania, che avrebbe guadagnato alla sua causa la Francia.
Sotto la pressione degli interessi delle esportazioni dell'industria tedesca, il governo della Germania promuove, in primo luogo, indirettamente attraverso il rifiuto del salvataggio dei Paesi del sud dell'Europa, una svalutazione dell'euro che consentirebbe agli esportatori tedeschi una migliore posizione competitiva rispetto agli Stati Uniti e alla Cina.
In secondo luogo, starebbe organizzando un'uscita nell'assetto delle nazioni sud-europee, che potrebbe anche includere l'Irlanda e il Belgio.
Pur avvenuto il dissolvimento dell'Unione Sovietica, lo smantellamento dell'Unione Europea si trasformerebbe nella testimonianza della disfatta capitalista.
La lotta per il mercato mondiale ha sempre più peso nella crisi, come viene dimostrato dalla controversia cino-statunitense sulla quotazione dello yuan cinese. Malgrado le misure assunte da Obama per potenziare le esportazioni usamericane, queste non riescono a decollare e il deficit commerciale degli Stati Uniti (e per il medesimo motivo il suo debito con l'estero) non cessa di crescere.
In realtà, per numerosi osservatori, la Grecia non è altro che una metafora degli Stati Uniti, di cui il deficit fiscale, l'indebitamento pubblico e il debito nazionale sono, in termini relativi ed assoluti, i più elevati al mondo. Secondo un rapporto del Fondo Monetario Internazionale, non pubblicato, gli USA dovrebbero essere costretti, per non subire il default, ad applicare un taglio di bilancio equivalente al 9% del loro PIL, vale a dire di 1,3 miliardi di dollari.
In mancanza di una tale amputazione, gli USA non potrebbero regolarizzare la loro situazione finanziaria, ossia aumentare i tassi di interesse (che attualmente sono a zero) senza condurre il settore pubblico al fallimento. Ecco la spiegazione del crollo di Wall Street durante tre giornate di seguito, sotto la pressione del fallimento della Grecia. Per dipingere un quadro ancora più fosco, gli analisti sono d'accordo sul fatto che i guadagni annunciati dalle banche usamericane nel primo trimestre del 2010 testimoniano di una situazione del tutto simile a quella che ha provocato la bancarotta, a partire dal 2007, poiché questi guadagni provengono da operazioni speculative sostenute in una proporzione enorme dai debiti.
Da un lato, l'aumento del debito usamericano e, dall'altro, quello di emissione di moneta hanno prosciugato in gran parte le risorse e gli strumenti per far fronte alla spinta della tendenza deflazionista che è apparsa con la bancarotta europea.
Una breve osservazione: la speculazione al ribasso contro il debito inglese è già cominciata.
La caduta del prezzo delle materie prime si è accompagnata con la caduta della quotazione dell'oro, fatto che pone un punto interrogativo sul "ricupero" del Sud dell'America Latina. D'altro canto, si è prodotto un forte ritiro di capitali, testimoniato dal crollo delle borse di Buenos Aires e di San Paolo.
Il fatto che, addirittura prima che la Grecia vada in pezzi, sia in corso in Cina ed in Asia una tendenza finanziaria negativa, come conseguenza del freno che il governo cinese tenta di imporre ai prestiti bancari, alla speculazione immobiliare a borsistica.
Il fatto che i prestiti inesigibili delle banche, che sono stati accordati per contrastare la recessione (che si era brutalmente manifestata all'inizio del 2009), superino il 25% degli attivi, la percentuale più alta al mondo.
Le virate e i contraccolpi della crisi capitalista sono la prova del franare delle relazioni sociali esistenti.
Ed ora, che fare? Come proclamato da uno striscione issato sull'Acropoli, curiosamente dal partito che meno si poteva pensare, il partito stalinista greco: "Peoples of Europe - RISE UP" Popoli di Europa - SOLLEVATEVI! Luned́ 17 Maggio,2010 Ore: 16:01 |