CORRUZIONE ANTICA

di Sebastiano Saglimbeni

Abbiamo letto il saggio storico dal titolo Il corrotto/Un’inchiesta di Marco Tullio Cicerone, divulgato da Editori Laterza, a firma di Luca Fezzi, professore associato di Storia romana presso l’Università degli Studi di Padova. Il saggio di cinque parti, con note, alcuni grafici, una Conclusione, un’ Appendice, una Bibliografia e un Indice dei nomi. Fezzi è autore di altri saggi storici di pregio. Tra questi, Catilina/La guerra dentro Roma, Modelli politici di Roma antica e Il Tribuno Clodio, che letti ci consentono altre nuove conoscenze del passato remoto della Roma repubblicana con i suoi fatti e misfatti che, disgraziatamente, si ripetono nel nostro tempo, complici i nostri governatori. L’autore con questa fatica, di 237 pagine, estrae dall’immondezzaio dell’azione umana, che si è fatta storia, l’ex governatore della Sicilia, Gaio Verre, autore di gravi crimini, quali la concussione, il peculato, l’appropriazione indebita, il furto, la vendita di sentenze, la manipolazione di appalti, la corruzione elettorale, il sequestro di persona, la frode, l’intimidazione, la tortura, l’omicidio. Abbiamo letto il nome di Verre nelle pagine dei manuali scolastici di Storia romana e nella Letteratura latina, dalla quale abbiamo appreso delle opere di Marco Tullio Cicerone. Tratti delle sue Verrine sono stati spesso esercitazioni di traduzione nella nostra lingua da parte degli studenti dei Licei classici, delle Magistrali e dei Licei scientifici. Quando si studiava la stupenda lingua dei padri. Le Verrine, un’opera tra le più famose dell’oratoria ciceroniana. Qui, nella scrittura di Fezzi, la Sicilia, il granaio di Roma, che ha conosciuto le infamie di tante razze invasori, è una terra di grandi lavoratori sventurata, straziata, vittima di un potente senatore che l’ha governata e di suoi complici. La lettura della scrittura di Fezzi ci ha motivato a rivedere le Verrine. Nella chiusa della formidabile arringa di Marco Tullio Cicerone, rivolto ai giudici, leggiamo: “se è vero che tutto l’operato di Gaio Verre è costituito da una serie inaudita e unica di misfatti dettati dalla ribalderia e dall’audacia, dalla malafede e dalla lussuria, dall’ avidità e dalla crudeltà, prego inoltre gli dei che, per merito della vostra sentenza, il processo finisca per lui con una conclusione degna delle sue imprese e di una vita come la sua, e che gli interessi dello Stato e il mio senso di giustizia siano soddisfatti in questa sola accusa e che quindi d’ora in poi mi sia piuttosto consentito difendere le persone oneste anziché essere tenuto ad accusare i mascalzoni”(Traduzione di Laura Fiocchi, Cicerone, IL PROCESSO DI VERRE, vol. II, Rizzoli, 2014). Fatta questa citazione per ricordare un tratto conclusivo della grande fonte ciceroniana, Fezzi ha costruito puntigliosamente la vicenda di quel corrotto e vuole, si può intuire, trasmettere ai lettori quanto si ripeta quella corruzione antica, vivissima, con l’ingordigia umana che nutre chi, scelto come guida di un popolo, tradisce lo stesso popolo. Cogliendo dal volume, a pagina 104, si legge il grafico che riproduce parte della carta geografica della nostra Italia, da Roma alla Sicilia, il percorso che avrebbe fatto Cicerone per recarsi nell’Isola. Nella pagina prima, il saggista scrive che “Cicerone partì verso metà febbraio” e che v’erano suoi accompagnatori “il cugino Lucio, che con lui aveva condiviso infanzia e studi e che allora potrebbe averlo affiancato nell’accusa” e che, in quanto si trattava di “ un viaggio di un senatore, vi era anche, con ogni probabilità, un seguito di servi e, forse, una piccola scorta armata”. Prosegue il saggista: L’inverno, veniamo a sapere da rari cenni, era particolarmente rigido. In 15-20 giorni i viaggiatori raggiunsero lo Stretto, quasi certamente via terra, percorrendo più di 600 chilometri su strade non sempre in buono stato e in parte ripide”. Come adesso, ci pare di riflettere. Dal saggio apprendiamo che Messina era alleata di Verre; la città dello Stretto, “ in seguito a tangente, si vide abrogare gli oneri militari, tra cui quello di fornire una bireme armata ed equipaggiata, come registri e testimonianze dei locali avrebbero potuto dimostrare. Proprio là Verre si fece costruire - cosa per altro vietata a un senatore - l’imbarcazione mercantile, della grandezza di una trireme militare, donatagli dal magistrato supremo e dal senato. Essa portò lui stesso e il suo bottino in Italia”. L’avvocato accusatore Cicerone dirà ai giudici che “questa nave, bellissima e perfettamente equipaggiata” l’aveva vista lui stesso a Velia “qualche tempo fa e così l’hanno vista molti alti altri” . Non tutto possiamo dire del saggio di Fezzi, ma, per concludere con questa nostra nota, possiamo ancora dire che Cicerone, il grande accusatore, muore all’età di 64, decapitato, mentre viene raggiunto in fuga dalla villa di Formia. Antonio sapeva che Cicerone “non aveva preso parte, almeno formalmente, alle Idi di marzo del 44. Non gli aveva perdonato le feroci invettive Filippiche. E, più in generale, macchinazioni altrettanto ostili”. Secondo la tradizione, “per ordine di Antonio in un luogo ignoto, che la critica spesso identifica nella lontana Marsiglia si consumò l’omicidio di un personaggio altrettanto famoso ma assai meno illustre Gaio Verre” . Il corrotto viveva da oltre un decennio in “un esilio dorato”, ancora preso dalla febbre di collezionista, mestiere sfortunato in Sicilia. Ed infine, Fezi scrive : «Secondo una versione tarda poco prima di essere ucciso, l’esule ebbe la soddisfazione di venire a conoscenza del ‘selvaggio assassinio del suo accusatore’ ».



Domenica 28 Febbraio,2016 Ore: 16:54