Recensione
IL MANIFESTO DI BENIAMINO BIONDI

di Sebastiano Saglimbeni

Manifesto si intitola la recente silloge di testi scenici e poetici di Beniamino Biondi di Agrigento, la famosissima, in tutto il mondo, città siciliana, che non può non stimolare, a proporre scritture di vario genere, chi vi è nato e convive con l’antico, rosicchiato dal tempo, e con il nuovo volgare e malandrino. Beniamino Biondi, della classe 1977, pare fervido di umori e, come tale, vuole esistere, libero, in nome della conoscenza e della scrittura. Che certamente non avvilisce, anzi, può elevare chi si ostina ad intenderla e a curarla, in qualunque modo, e pure può valere come un resistere al disonore umano. Questa sua scrittura può qualificarsi come una sfida, soprattutto, a tanta poesia che indugia nella forma lineare ed ancora si esprime con tanto di metro e di rima. Che non mi disdegna, poi. Lontano, pertanto, da forme poetiche del genere Biondi, che nel suo titolo (Edizioni Progetto Cultura, Roma, 10 euro), suddiviso in due parti (Meccanica e Frammenti), ferma testi privi, alcuni, di interpunzione e dalla grafica stramba o bizzarra. A questi testi, che non rifanno o non conquistano agevolmente, possono accostarsi solo i veri fruitori della creatività nuova, quale quella, per fare un esempio, degli autori del Gruppo 63 e degli epigoni di questo movimento che rimane antologizzato ma che non genera, come nella sua esplosione, interessi di contributi critici. La silloge Manifesto è stata prefata da un poeta di valore, da uno studioso di poetiche classiche e contemporanee, Cesare Milanese. Egli, fra l’altro, scrive: “La dicitura ‘Manifesto’ si presta ad essere ambigua, perché può valere sia come sostantivo, sia come aggettivo, sia come verbo. Ma è preferibile quest’ultimo: mettendoci davanti il pronome soggettuale, l’io, si ottiene un ‘ragionamento’ completo: Io manifesto, anzi Io mi manifesto”.

Ho letto ed ho riletto la semina verbale di Bionndi. Mi sono un po’ riconosciuto con questo autore singolare, , soprattutto, in due testi, “17 marzo “ e “ “23 marzo”, i mesi che captano spesso i poeti, i mesi dell’esplosione dell’algida stagione e dell’incipit di una metamorfosi naturale. I due testi, che trovo lineari, rispetto agli altri, e più leggibili, contengono certa riflessione dell’autore caustica, di un realismo crudo e nudo, come nei versi: “La morte puzza di uova marce,/ un drappello di corpi senza tomba.// Una croce arrugginita soverchia/ un uscio globulare…” O come nei versi: “spiove la Sicilia al viottolo/ scuro/ tetti obblighi & e fumo dei camini/ qui, un altare per il padre/ il paese dei morti: un catoio di gramaglie,/ la dispensa coi barattoli di salsicce & la neve”.

Una scrittura, questa di Beniamino Biondi, che potrei definire sfiziosa (si noti il ricorso a due congiunzioni espresse come nei testi commerciali, che piacciono agli studenti), che pure vuole essere il verso amaro a questa nostra temperie storica grottesca e disumana, che i giovani intendono, rispetto agli anziani, con più acume.  



Sabato 28 Gennaio,2012 Ore: 14:26