INTERVISTA A GIORGIO GABANIZZA

di Sebastiano Saglimbeni

… e l’armonia
vince di mille secoli il silenzio.
Ugo Foscolo
Vivo a Verona da circa mezzo secolo dopo gli anni di insegnamento trascorsi a Treviso e a Pordenone. A Verona buone ed anche durature le mie amicizie. Tra queste, quella con Giorgio Gabanizza che abita a quattro passi dalla mia casa in via XXIV Maggio. Giorgio Gabanizza, di cui ho scritto in un mio libretto dal titolo DES AMIS, ha dedicato, sin da giovanissimo, la sua esistenza alla politica, con ruoli importanti. Si è laureato in Sociologia presso l’Università di Trento. Non ha tuttavia trascurato la passione delle discipline letterarie. I libri e i giornali nella sua casa non si contano.
Di recente una sua sorpresa consistente in una breve silloge poetica risalente agli inizi degli anni Sessanta. Allora, uomo giovanissimo, aveva provato ad elevarsi in luogo d’altro vacuo e deprimente. Ne ho scritto sul giornale on line Il dialogo di Monteforte Irpino con il titolo Ripresa poesia.
Ora, quella silloge si intitola Stagioni ritrovate editata a Roma dal Gruppo Albatros- Il Filo Nuove Voci. A questo politico, emerito consigliere regionale del Veneto, neo poeta, pongo qui di seguito cinque domande.
Mentre studiavi per conseguire la maturità quali nostri poeti e scrittori ti sono rimasti impressi nella mente?
Molti, tra questi fortissima era la mia attenzione per Leopardi, non pochi suoi versi avevano la capacità di emozionarmi, come mi appassionava la sua visione rigorosamente laica. Ma in lui vedevo uno straordinario poeta con grande tensione morale, civile e con una moderna visione politica. In modo diverso, ma ugualmente intenso, mi attraeva la poetica pascoliana, al punto che al compito di italiano su Pascoli agli esami finali ho preso dieci. Non avevo trascurato altri, tra i quali voglio ricordare Foscolo, Verga e Pirandello.
Hai letto, visto che intendi la poesia e ti fregi in casa di molti libri di varia cultura, qualche opera dei Tragici greci, come ad esempio, il Prometeo incatenato di Eschilo, l’Antigone di Sofocle e la Medea di Euripide? Queste opere parlano, dopo oltre due millenni, alle menti contemporanee.
Certo che parlano ancora alle menti contemporanee, per la loro capacità interpretativa dell’essere umano, le loro opere restano “contemporanee”. Ho letto la Medea di Euripide e l’Edipo re di Sofocle ancora alle Medie inferiori. Ero, sin d’allora, appassionato di teatro e sempre in quella giovanissima età ho letto anche Shakespeare, Ibsen, Cechov, Oscar Wilde, Franz Wedekind e molti altri. Andavo ad acquistare la rivista “Il Dramma” diretta da Lucio Ridenti, una testata fondamentale del teatro del novecento che pubblicava in ogni numero una opera teatrale inedita o poco conosciuta.
Vedo che ancora, anziano, intendi, intus et in cute, la politica in questo nostro tempo tragico, reso più tragico dalla peste che continua ad imperversare sul pianeta terra. Intenderai ancora questa passione dopo che sarà divulgata la tua silloge poetica Stagioni ritrovate? Oppure - non è mai troppo tardi - ti dedicherai a scrivere poesie per conquistare giudizi di lettori?
La passione politica che mi ha preso fin da giovanissimo non si è spenta, è ancora viva anche se il mio impegno, per ovvi motivi, è meno pressante. Ho consegnato all’editore i miei esiti poetici di un tempo, la silloge contiene poesie dal 1960 al 1965, non solo perché amici e poeti stimati, come te e Alberto Tomiolo, mi hanno consigliato di farlo, ma anche perché da qualche tempo, nel nuovo millennio, ho ripreso a scrivere.
Nella tua Verona, che hai contribuito a rendere libera e sociale, ci sono, a tuo vedere, autori di libri che hai letto e ti hanno, come si suol dire, conquistato?
Da giovane, quando leggevo intensamente di teatro, letteratura e poesia, ero più attento a scoprire “il mondo”, in questa direzione proseguii anche dopo. Pur con meno tempo, così ho rivolto le mie letture all’esistenzialismo francese, Camus, Sartre, Simone de Beauvoir, ecc., ai poeti maudits francesi, a Hemingway, Henry Miller, alla mia amatissima Anais Nin, alla beat generation, Keruac, Ginsberg, Ferlinghetti, Corso, ecc., al teatro di Brecht, di Durrenmatt, ai russi Tolstoj, Dostoevskj, Evtusenko, Majakoskj, ai poeti spagnoli Lorca, Machado, Jiménez, Rafael Alberti, Juan Goytisolo, al cileno Neruda, per fare alcuni nomi. Ho cercato di perlustrare la produzione culturale italiana, da Pavese a Vittorini, da Calvino a Cassola. Da Moravia a Elsa Morante e Dacia Maraini, da Bassani a Carlo Levi, da Quasimodo a Montale a Ungaretti, da Gadda a Umberto Eco, Fo, Magris, Magrelli, agli scrittori del gruppo 63, a Sanguineti, a Piersanti, conosciuto ai suoi esordi a Urbino quando frequentavo il corso di Giornalismo, a Bandini, conosciuto e frequentato in treno per Venezia durante il mio mandato elettorale in Regione e la sua docenza all’Università veneziana, e molti altri. Una appassionata attenzione l’ho dedicata per molti anni a Pier Paolo Pasolini.
Debbo ammettere una mia carenza nella lettura dei veronesi. Conobbi da giovane e frequentai, per comune militanza politica, Alberto Tomiolo, le cui poesie mi avevano affascinato, come mi aveva colpito lo sperimentalismo della poesia visiva di Franco Verdi, anche lui incontrato e frequentato in comuni battaglie politiche pacifiste. L’impegno politico mi aveva tenuto distante dall’interessante produzione poetica e letteraria veronese, che mi sono sempre promesso di conoscere meglio, a partire dai poeti e scrittori che collaborano con la rivista Anterem, diretta da Ermini, di cui ho letto pregevoli lavori, come ho letto quelli dell’ormai nazionale Matteo Bussola. Mi avevano attratto, giovanissimo, le letture salgariane, vorrei citare alcuni validi veronesi, anche contemporanei, ma ho paura di commettere deplorevoli omissioni. Ne cito uno tra tutti, non conosciuto come poeta. Fui sorprendentemente colpito dalla scoperta dei versi dialettali pubblicati in una silloge dell’amico scultore Mario Salazzari, capaci di trasmettere emozioni. Infine, come ti è noto, ho avuto modo di conoscere a Verona un docente, poeta, saggista, editore, traduttore, giornalista siciliano, da cui traspare evidente l’appartenenza alla cultura della Magna Grecia (da quella cultura proviene fiero), con il quale ho condiviso e condivido amicizia e comuni passioni politiche, etiche, civili e letterarie. Ho letto molto della tua estesa produzione poetica e saggistica, compresi tuoi ultimi pregevolissimi saggi letterari, che ricordano per scritture e respiro gli elzeviri di terza pagina. Ma, Sebastiano, non hai bisogno dei miei complimenti e del mio modesto endorsement, sei un poeta italiano, riconosciuto e studiato nelle scuole. Lo sai che ti esorto a produrre ancora perle di sapere letterario, di sensibilità poetica e di passione civile.
Ora uscito il tuo libro, Stagioni ritrovate, quali parole userai per presentarlo al pubblico?
Penso che il migliore modo di presentare la poesia sia di leggerne i versi. Inizierei con questi che sento particolarmente significativi della mia produzione: “Ci sono giorni/ in cui la polvere del clima etico/incanutisce i nostri pensieri/ ed è come accettare da prodighi/ e farsi assorbire dalla macchia/ del ”quieto vivere”, ma è allora tempo/ di uscita, con le valigie pregne di sole partenze, di vita, di tempo, spazio, dei nostri/ brandelli di uomo, feriti nelle azioni ma liberi/ nel pensare e tutto sarà/ un andare, i posti non contano finché siamo veri e poi/ un vivere a fondo, tutti momenti/ da catalogare nel libro del biografo./ E per gli altri? Agli altri/ lasceremo i nostri/ corpi al sole, per una stagione/ senza notti”.
Dopo brevi note biografiche risponderei alle eventuali domande, magari citando altri miei versi.



Sabato 26 Settembre,2020 Ore: 19:54