QUASIMODO POETA IN SARDEGNA    

di Sebastiano Saglimbeni

“ Uno dei periodi meno conosciuti e approfonditi della vita e dell’ attività letteraria di Salvatore Quasimodo è legato alla Sardegna, e in particolare al ‘sofferto’ soggiorno vissuto dal marzo 1933 alla fine del 1934 a Cagliari dove, come ricorda l’amico Leonardo Sinisgalli, il poeta siciliano aveva trascorso ‘un breve periodo come geometra del Genio civile’ ”.

L’incipit, questo, di un breve, meditato e fresco saggio (Falzea editore, Messina 2012) scritto da Sergio Di Giacomo, dottore di ricerca, per Salvatore Quasimodo che, trentenne, era stato trasferito da Imperia nel capoluogo sardo. Il poeta - a parte il guiderdone ricevuto in terra di Svezia e le polemiche velenose che seguirono - è noto per le sue avventure amorose, che qui, in questa nota, non giova elencare, in quanto non scriviamo per la stampa di vacuo intrattenimento e di appendice. Da Imperia, il geometra poeta era stato inviato in Sardegna “in seguito ad una delicata e ardita liason sentimentale avuta con la moglie di un direttore d’orchestra di Sanremo suo vicino di casa”.

Un soggiorno nell’isola dei Morlacchi “poco trattato ed approfondito anche nelle più dettagliate biografie quasimodiane in cui viene sbrigativamente definito come un periodo di passaggio”. Il poeta qui troverà “occasioni di scambio culturale e di suggestione poetica”; qui si legherà di un’amicizia con il giornalista e poeta Giuseppe Susini (1906-2002). Un’amicizia intensa di interessi comuni, creativi, divulgata, sia pure in parte, in un carteggio editato nel 2003 da Nicolodi di Rovereto “in un elegante cofanetto” a cura della poetessa Giovanna Musolino, di Messina, l’ “attenta biografa di Quasimodo”.

Quanto va scrivendo Di Giacomo lo fa procedere con note al margine delle pagine. Che, intensificate con dell’altro, sarebbero un raro titolo storiografico sul poeta. Le pagine, a prescindere da questa considerazione, si fanno leggere, scavano in chi intende ancora il sapore della saggistica, quale quella che il versatile studioso messinese, tra pochi, ci sa proporre. Da queste pagine emerge una tersa interpretazione sull’uomo e sul poeta. Di Giacomo della classe 1970 non poteva vivere quell’ arco di tempo che va dagli anni Trenta alla fine degli anni Sessanta, quando, non vecchio, morì Quasimodo. Pertanto, quanto egli scrive su un tratto della vita creativa del poeta isolano in un’isola si legge avulso da influenze generate da opinioni del tempo. Di Giacomo sa estrarre ed analizzare da storiografi del passato, che cita, e con la continenza dello storico contribuisce a divulgare meglio il poeta e la sua formazione creativa in quel clima storico e in quella isola singolare, impreziosita da immagini come Grazia Deledda, Sebastiano Satta e Antonio Gramsci.

Nel sottotitolo “Tracce poetiche” - sorvoliamo su altri tratti del saggio, che rivelano dell’altro mal noto e sconosciuto sulla genesi della poesia quasimodiana nell’isola - Di Giacomo scrive che quel soggiorno costituì per il poeta pure “un momento di ispirazione creativa” e che ce lo testimoniano “i riferimenti lirici” dedicati alla Sardegna, “il cui simbolo naturalistico è quel mirto da lui evocato nei Lirici greci in Mirti e le viole di Ibico e Con una fronda di mirto di Mimnermo. Segue il riferimento a quei testi poetici di Quasimodo “che tratteggiano e raffigurano suggestioni paesaggistiche e intime legate a luoghi isolani, in cui domina il senso del mare che sembra invadere l’animo malinconico e carico di ferite della memoria”. E da qui, descritto dallo studioso, sappiamo di quel poco conosciuto sul poeta; pure sappiamo che nella famosissima silloge Ed è subito sera, nella sezione nuove poesie, il testo Spiaggia a Sant’Antiaco è “ una lirica frutto presumibilmente delle suggestioni vissute durante un’escursione nei luoghi natali dell’amico Susini, nativo proprio di questa isoletta sita nella Sardegna Sud-Occidentale”.

Infine, una fatica, questa, di Di Giacomo che si aggiunge degnamente ai contributi dedicati alla poetica di Quasimodo e firmati da studiosi autentici. Quasimodo in vero ne ebbe, quanto quelli che faziosamente lo denigrarono. Al denigratore Leone Piccioni indirizzò un caustico verso che recita: “Con la mia fava prendo due piccioni”; ai potenti del suo tempo un altro caustico verso, non proprio ritmico, che recita: “Dalla rete dell’oro pendono ragni ripugnati” .




Mercoledì 30 Gennaio,2013 Ore: 17:31