GIOVANNI PASCOLI, MESSINA ED ALTRO

di Sebastiano Saglimbeni

Pascoli e le sorelleGiovanni Pascoli ci ha lasciato in mente tutto il testo “L’aquilone” ed altro, non poco, non semplice, che tuttora suscita interessi di studi, a parte quelli riguardanti la sua esistenza privata.

Eravamo infreddoliti e con scarpe rammendate subito dopo gli anni Quaranta, quando Messina aveva subito un’altra tragedia, non più quella della natura, ma quella della guerra voluta da uomini insani.

Una conquista, una crescita quando all’insegnante di materie letterarie Giuseppe Occhino riuscivamo ad esprimere a memoria, sino alla fine, con tremula pronuncia:

“ Meglio venirci con la testa bionda,

che poi fredda giacque sul guanciale,

ti pettinò co’ bei capelli a onda

tua madre… adagio, per non farti male.”

E imparammo, tanto lontani da Urbino ventosa e dal suo “ciel turchino”, ad imbastire qualche aquilone per farlo librare. Come prologo, questo.

Vi sono 8 lettere autografe di Giovanni Pascoli, che vengono custodite dall’Università di Messina che le ha acquistate da una Casa d’Asta il 24 marzo del 2011. Sette di queste, il poeta le aveva spedite dal 1909 al 1911 a Virgilio La Scola, una a Fulvio Cantoni. Sono lettere del cuore e del dolore, riguardanti quel disastroso terremoto, mai verificatosi in Europa, e che cagionò il 28 dicembre del 1908 circa 150.000 morti a Messina e a Reggio Calabria, rase al suolo. Giovanni Pascoli, che aveva insegnato Latino dal 1897 al 1902 all’Università di Messina, si era pure indignato quando aveva inteso dalla stampa che un frate, predicatore a Roma, aveva interpretato quel disastro come “il castigo di Dio”; condannò, 15 giorni dopo il cataclisma, all’Università di Bologna, dove insegnava, coloro che “credono di aver Dio al loro servizio e al loro guinzaglio”. Virgilio La Scola, docente universitario a Messina, scampato al terremoto, è colui che fa sapere quotidianamente all’amico Pascoli dei colleghi morti e vivi. In una lettera del 21 gennaio del 1909, Pascoli gli scrive:

Mio caro e buon Virgilio, eccomi finalmente a lei, di faccia a lei, nel mio studiolo bolognese, che già fu messinese. Il suo ritratto è in mia compagnia. Oggi è domenica, dopo mezzodì, e possiamo conversare. Perché bisogna che le dica la piccola giunta che ho avuto in questi giorni sopra la crudele angoscia che mi ha martoriato e martoria. Ho avuto (ed ho) sempre lezione. Con la testa e il cuore pieni di altro, di ben altro(…). Almeno potessi scrivere al mio buon Virgilio! Dicevo. E prima d’oggi non ho potuto. E anche oggi debbo esser breve, per forza. Del resto anche scrivessi un volume, non direi tutto quello che ho nell’anima per lei. Vede: gli amici vecchi o non sono più tali, o non ci son più; hanno lasciato o un pianto o un rimpianto, o un dolore acuto o un’amara e lunga interminabile disillusione: sicché mi son detto le mille volte: amici nuovi, niente! Non ci procuriamo nuovi dolori e nuove disillusioni. Ebbene no, ecco un amico nuovo che mi è venuto dalla mia adorata Sicilia, e in un’ora così tremenda. Oh! Ben venuto caro amico Virgilio La Scola, caro e per il nome e per il cognome e per l’intelletto e per il cuore e per l’arte e per la patria sua! Quanta compagnia mi ha fatto, non ostante tutto in questi giorni! I due panorami di Messina sono lì, incorniciati, in una parte al mio fianco; le atroci fotografie del disastro sono poco sotto, e ogni tanto ci vado a pascere la mia tristezza(…).

Questa lettera, così riduttiva, l’ho fatta conoscere il 17 maggio di quest’anno, durante una relazione pronunciata sul poeta da Emanuela Pianezzola in un Caffè di Verona. In quella circostanza, ho voluto ricordare alla relatrice il Pascoli dell’amicizia e degli affetti, con nel cuore la Sicilia e Messina distrutta con tanti lutti. Emanuela Pianezzola ha sviluppato agilmente il tema “Psicopatia e follia nell’opera di un artista: Giovanni Pascoli”. Un Pascoli psicanalizzato, dunque. Gaetano Salvemini, suo collega all’Università di Messina, dal 1901 al 1908, quando perse la moglie, Maria Minervino, i cinque figli e una sorella, ci racconta che il poeta era “simpaticissimo uomo, grasso, mal vestito, sempre in movimento, parlatore a volte impacciato e asmatico, a volte caldo e felicissimo. Da vicino è molto più simpatico che da lontano, perché appare sincero in tutto e per tutto”. Una nota, questa, di un breve saggio dal titolo “Gaetano Salvemini tra politica e storia” (Laterza, 1986), firmato dalla docente di storia contemporanea Michela D’Angelo.

Alla relazione di Emanuela Pianezzola, che è stata proposta dall’umanista Angiolina Lanza, sono seguiti alcuni interventi. Fendente quello dello studioso di poetiche contemporanee, saggista, Michele A. Nigro. Che, dopo, ad una mia richiesta, pure ha ricordato che “Cesare Carboli in Trenta poesie familiari di Giovanni Pascoli (Einaudi,1990) aveva affrontato il problema senza cavarne granché” e che “lo scandalismo non porta (quasi) mai alla scoperta”. Secondo lo scrittore Paolo Pompei, il Pascoli un grande poeta, ma il suo mondo agreste, familiare, sentimentale, lo confina ad una certa datazione. Il poeta, “per la sua contorta passionalità nei confronti delle due sorelle, è oggetto di studi psicanalitici”.

Dal mio canto, voglio ancora ricordare il Pascoli a Messina dove trascorse “cinque anni migliori, più operosi, più lieti, più raccolti, più raggianti di visioni, più sonanti d’armonie” della sua “vita”, come scriveva il 5 luglio del 1910 a Ludovico Fulci. Rivedeva, come in sogno, “la bella falce adunca, che taglia nell’azzurro il più bel porto del mondo” e “il bel monte Peloro verde di limoni e glauco di fichidindia e l’Aspromonte che, agli occasi, si colora d’inesprimibili tinte”. Per la città, che l’aveva ospitato, assieme alla sorella Mariù, quando apprese la notizia della sua distruzione, scrisse parole che sono rimaste celebri. Come: “Tale potenza nascosta donde s’irradia la rovina e lo stritolio, ha annullato qui tanta storia, tanta bellezza, tanta grandezza. Ma ne è rimasta come l’orma nel cielo, come l’eco nel mare, qui dove è quasi distrutta la storia, resta la poesia” .



Giovedì 07 Giugno,2012 Ore: 15:51