I DIVERSI VOLTI DELLA FORTUNA

di Sebastiano Saglimbeni

La fortuna. Questo sostantivo astratto ti mostra diversi volti o maschere, sia colto dalla scrittura classica greca e latina sia dalla cultura delle tradizioni popolari o subalterna, così come la definiscono i dialettologi.
Non dimentico l’espressione di amara protesta “La sorte con me è stata mascherata”, che spesso pronunciava un contadino del sud Italia poi emigrato in terra di Argentina. Un’emigrazione “coatta”, la sua, al fine di sfuggire alla povertà della sua comunità, dalle aride terre, scoscese, impossibili persino all’aratro, ma pure per non subire le accuse, forse infondate, dei suoi compaesani che lo distinguevano come facente parte di un delitto. Il contadino, di nome Vanni, inveiva contro la fortuna, che lo aveva beffeggiato, denominandola “mascherata”, a volte, “fottuta sorte puttana”. Visse, sino alla morte, alla periferia di Buenos Aires, a Quilmes, residenza di diversi emigranti siciliani, calabresi, lucani e campani.
Dalla scrittura dei latini - non accenno a quella dei greci - ho potuto estrarre una brevissima silloge di proposizioni, che di seguito indico con qualche agile commento.
Fortuna caeca est (La fortuna è cieca).
La frase si legge nel De Amicitia di Cicerone. La fortuna cieca rende ciechi pure coloro che abbraccia. Mascherata la chiamava il contadino sfortunato del sud Italia sopraccennato.
In Gente d’Aspromonte, lo scrittore Corrado Alvaro scriveva che “l’invidia ha gli occhi e la fortuna è cieca”. Alvaro non aveva letto probabilmente Cicerone. Ma come Cicerone caratterizzava la fortuna.
 
Fortunae filius (Figlio della fortuna).
La frase si legge nelle Satire di Orazio. Si vuole con questa distinguere una persona pienamente fortunata. Si pensò che Orazio, vicino a Mecenate, fosse lui stesso il figlio della fortuna: per gli agi che godeva in Roma, da poeta. Non era bello, definito dal fisico brevis et pinguis (basso e grasso). Altri poeti godettero agiatezze, ma non pienamente come lui.
Fortuna favet fatuis (La fortuna aiuta gli sciocchi).
La frase ci perviene dal latino volgare. Per la sua efficacia oggi può estendersi a mille idioti, grandi o generici affaristi, professionisti, politici che riescono ad accumulare, pure per i loro discendenti, ingenti ricchezze. Pertanto, sciocchi, baciati dalla fortuna, non di più. La fortuna non arride agli uomini dotati di intelligenza, di ragione e di onestà. E qui non si può non pensare ad un Sardanapalo odierno, capace di acquistare come porci la maggior parte degli italiani ignobili, al maschile e al femminile.
Con una ventata di sbieco, la grande fortuna potrà voltare la sua faccia opaca, avversa.
Fortuna in homine plus quam consilium valet (Per l’uomo la fortuna ha più importanza del senno).
Qui siamo nella commedia Pseudolus di Plauto. La frase un po’ amplia quella precedente.
Levis est Fortuna: cito reposcit quod dedit (La fortuna è leggera, in quanto presto chiede indietro ciò che ha dato).
Una proposizione, questa, di Publilio Siro. Trova riscontro nella massima popolare: “Dalle stalle, alle stelle” e “Dalle stelle, alle stalle”.
 
Nei Carmina Burana, la fortuna è vista mutevole come la luna.
Fortuna vitrea est: tum cum splendet frangitur (La fortuna è di vetro: proprio quando riluce si rompe).
Qui detto diversamente da Tibullo, il poeta elegiaco.
Fortuna multis dat nimis, satis nulli (La fortuna dà a molti troppo, a nessuno abbastanza).
Ce ne parla Marziale. In altri termini, nella voce popolare, recita; “A chi troppo, a chi niente”.
Audaces Fortuna iuvat (La fortuna giova agli audaci).
Questa è la proposizione sulla fortuna di gran lunga diffusa. L’origine è l’allitterazione di “Fortes Fortuna adiuvat” che si legge nella commedia Phormio di Terenzio ripresa nel De Finis di Cicerone e da altri autori. Ma assume il suo pieno e giusto significato nelle Epistolae di Plinio il Giovane, il quale fa parlare lo zio naturalista mentre ordina al pilota della nave che lo porta in salvo di tornare indietro, per osservare estasiato l’eruzione del Vesuvio da vicino. La frase subirà delle varianti in altri autori. Si legge in tutte le lingue europee moderne.
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Pronunciati questi testi latini, debbo concludere ricordando che la fortuna è qualcosa che quotidianamente ogni mortale si augura di avere, non solo in nome di una vita agiata, ma per altro di tanto valido, come la salute e la pace interiore. Io, reso albo dal tempo, in questi ultimi anni che mi restano, la inseguo nella speranza che essa sorridente, non come una giovane baldracca, mi rechi un paniere colmo di salute. Che mi pare tutto. Mi servirà, poi, questa salute per un riordino della mie scritture poetiche e prosastiche. Ma essa potrebbe presentarsi bendata o, se non tale, potrebbe guardarmi con gli occhi storti. Se così, nonostante deluso, con poco tempo davanti, potrei cantare con il poeta ottocentesco Francesco Dall’Ongaro i due stornelli:
Fior di basilico,
è pieno di tempeste il mar che valico
e la vita e la morte è sempre in bilico.
Fior d’argento,
e non ve la prendete per affronto:
è l’ultimo stornello che vi canto.



Lunedì 28 Luglio,2014 Ore: 19:09